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Sesso e dolore oro-facciale. Uomini e donne sono differenti?

Marzia Segù, Alessandra Lauriola, Valentina Lanteri, Niki Arveda, Vittorio Collesano

Marzia Segù, Alessandra Lauriola, Valentina Lanteri, Niki Arveda, Vittorio Collesano

mar. 5 aprile 2011

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Nel corso degli ultimi vent’anni l’interesse per il “pregiudizio di genere” nella ricerca clinica è indubbiamente aumentato. La comunità medico-scientifica internazionale, in contesti circoscritti ma degni di notevole considerazione, ha iniziato a porre in evidenza tale problematica, sottolineando come nei trial clinici su molte patologie si tenda, troppo spesso, a non tenere in adeguata considerazione la prevalenza numerica del sesso femminile nella popolazione generale, oltre alle differenze biologiche tra uomo e donna.

Questa tendenza può portare riflessi negativi su diagnosi, prognosi e terapia, quindi sull’efficacia delle cure e sulla qualità della vita.
Quando nello studio del dolore si è cominciato a valutare in che cosa consistesse la differenza fra donne e uomini, ci si è resi conto che in molti tipi di dolore cronico le donne denunciavano livelli di dolore più severi, più frequenti e di maggiore durata degli uomini (emicrania, cefalea tensiva, dolore facciale, dolore muscolo scheletrico e osteoarticolare, fibromialgia).
I disordini temporomandibolari (TMD) sono un gruppo eterogeneo di disturbi psicosociofisiologici, caratterizzati da dolore oro-facciale, riguardanti i muscoli masticatori, l’articolazione temporomandibolare e le strutture ad essi associati.
Secondo le più recenti revisioni della letteratura, la prevalenza dei TMD nella popolazione generale riportata dai diversi autori varia tra il 12 e il 60% (a seconda della metodologia di campionamento e dei criteri diagnostici adottati).
La letteratura inerente l’epidemiologia dei TMD evidenzia una prevalenza di tali disordini a carico del sesso femminile (rapporto F:M=4:1) a causa di diversi fattori quali biologici (sex related), psicologici e sociali (gender related), che differenziano i due sessi tra loro.
Sin dagli Anni ’70 è stata analizzata la differenza tra “maschi” e “femmine”, non solo dal punto di vista biologico (sex), ma anche da punti di vista che la cultura e la società attribuiscono a tali differenze biologiche (gender), come la totalità dei tratti della personalità, delle attitudini, dei sentimenti, dei valori, dei comportamenti e delle attività. Questa diversità è un costrutto sociale, che varia negli anni e da società a società(1).
Nel 1975 l’antropologa Gayle Rubin, nel suo The Traffic in Women (Lo scambio delle donne), inizia a parlare di un sex-gender system in cui il dato biologico viene trasformato in un sistema binario asimmetrico, dove il maschile occupa una posizione privilegiata rispetto al femminile, al quale è legato da strette connessioni da cui entrambi ne derivano una reciproca definizione. Dunque, in accordo con la Rubin ed altri autori contemporanei, l’appartenere a una categoria piuttosto che ad un’altra, non è una caratteristica innata, ma è un’invenzione sociale che subisce l’influenza delle diverse culture e dei diversi periodi storici(12).
Era il 1991 quando Bernardine Healy, allora direttrice dell'Istituto Nazionale di salute pubblica americano, in un famoso editoriale sul NEJM(15), parlò di sindrome di Yentl, in riferimento al comportamento discriminante dei cardiologi nei confronti delle donne. Fu solo il primo passo. Nel mondo scientifico iniziò la riflessione su cosa significhi essere donna nel trattamento di diverse patologie; ma non solo. Nella maggior parte degli studi clinici (soprattutto sui nuovi farmaci) le donne in età fertile non vengono arruolate. Questo cosa comporta? E poi: perché alcune patologie sono in maggior parte femminili, e altre soprattutto maschili?
La ricerca medica sta mettendo sempre più a fuoco la cosiddetta “Gender Medicine”, intesa soprattutto come l’insieme delle esigenze e dei problemi di salute specifici di ciascun sesso. Oltre alle già note differenze biologiche tra uomini e donne, i due sessi sono esposti anche a fattori psicosociali diversi che possono minare la loro salute.
Nella gestione dei disordini temporo-mandibolari e del dolore oro-facciale qual è il ruolo del gender? Le differenze di genere come influenzano la percezione del dolore?
Sono stati eseguiti esperimenti di laboratorio che hanno messo in evidenza la diversità con cui il dolore è vissuto dai due generi(4,8), e le donne hanno mostrato una soglia del dolore più bassa e una minore tolleranza nei suoi confronti rispetto agli uomini(16). Per cercare di comprendere questi risultati bisogna considerare diversi fattori, correlati alla differenza di sesso(4,29), che sono stati ampiamente discussi nelle varie revisioni:
- le differenze epidemiologiche nei due sessi(29):
1. le donne sono a più alto rischio per alcuni tipi di patologie come TMD, fibromialgia, cefalea e nevralgia trigeminale(4,22,32);
2. Altre patologie dolorose si riscontrano prevalentemente negli uomini come la cefalea a grappolo.
- Il fatto che il dolore sia percepito in modo diverso nei due sessi per motivazioni biologiche e psicosociali(7,29): in molti tipi di dolore cronico le donne denunciano intensità di dolore più severe, più frequenti e di maggiore durata degli uomini (emicrania,cefalea di tipo tensivo, dolore facciale(26), dolore muscolo scheletrico ed osteoarticolare, fibromialgia), infatti le donne utilizzano più degli uomini prescrizioni di farmaci antidolorifici(29).
- Inoltre, si consideri che le donne riferiscono di affrontare l’esperienza del dolore più frequentemente rispetto agli uomini(14,16,29) e che provano dolore in un maggior numero di aree del corpo, più spesso e più a lungo degli uomini(4,14,29,30).

Ad un gruppo di studenti (156 maschi e 235 femmine) è stato somministrato un questionario sulle aspettative di dolore in base al sesso: il Gender Role Expectations of Pain Questionnaire (GREP), con lo scopo di rilevare la sensibilità al dolore, la resistenza al dolore e la volontà di riportare il dolore, tutto ciò valutato nei due sessi. I risultati sono stati quelli attesi in base alla differenza di sesso: sebbene gli uomini fossero meno volenterosi a riferire il dolore rispetto alle donne, risultavano più resistenti; invece le donne erano più sensibili e meno resistenti al dolore rispetto agli uomini(27).
Qualche anno dopo il GREP è stato somministrato ad un gruppo di studenti universitari sia per analizzare la differenza nella percezione del dolore tra i sessi, sia per esaminare la relazione del GREP con la soglia di dolore indotto con calore ed il limite di sopportazione di questo dolore.
I risultati ottenuti confermano che le aspettative di dolore sono sesso specifiche anche con dolore sperimentale(5).

Le emozioni hanno un ruolo importante(25)?
Le donne vivono il dolore soprattutto da un punto di vista emozionale, mentre gli uomini si concentrano sugli aspetti strettamente fisici(16,31).
Questo approccio gioca a favore degli uomini che riescono, così facendo, a tollerare anche dolori più intensi; al contrario, le donne non fanno altro che aumentare la propria sofferenza, in quanto le emozioni associate al dolore sono tutte negative. Inoltre, le donne hanno un atteggiamento di maggiore preoccupazione nei confronti del dolore e dei suoi sintomi rispetto agli uomini e una maggior consapevolezza e buona volontà ad ammettere i problemi di salute(8). Questo comportamento, in associazione col dolore, interferisce con le loro abituali attività, come il lavoro, e con la loro propensione a prendere parte ad attività sociali(18).
Bisogna infine considerare che le donne hanno carichi di stress addizionali rispetto all’uomo, quali per esempio le mansioni domestiche e la cura dei figli, oltre al lavoro(17,21), e questo le predispone ad essere più sensibili nei confronti del dolore. Per quanto riguarda la differenza nella percezione del dolore dal punto di vista fisico, in letteratura si parla molto dell’influenza degli ormoni steroidei, come estradiolo e testosterone, sui processi nocicettivi e sull’analgesia(3).
Pare che gli ormoni giochino un ruolo importante(7) nei processi nocicettivi in quanto influenzano sia il sistema nervoso centrale che periferico (coinvolti nella trasmissione del dolore) sebbene sia necessario ancora determinare di che grado sia la loro influenza nel processo fisiopatologico del dolore. È importante considerare che condizioni ormonali estreme, come quelle che si accompagnano alla gravidanza o al ciclo mestruale, possono dare importanti variazioni sulle risposte nocicettive(3). Esperimenti eseguiti su animali indicherebbero una ridotta sensibilità agli oppiodi durante la fase luteinica(3).
Una certa variabilità può essere attribuita anche ad altri fattori come l’età, lo stato psicologico, il peso, che potrebbero “oscurare” le importanti differenze “sex related”(3).
Come affermato in precedenza, è continuamente rilevato clinicamente che i pazienti con disfunzioni dell’articolazione temporomandibolare richiedenti un trattamento sono per l’80% di sesso femminile(16).
Sono state condotte ricerche che hanno dimostrato che nelle pazienti affette da TMD sono presenti più alti livelli sierici di estradiolo rispetto al gruppo caso controllo sano(19,20,23). Inoltre livelli serici di estrogeni aumentati e livelli di progesterone nella norma sono stati riscontrati in soggetti presentanti TMD; quindi, questi dati suggeriscono che alti livelli di estrogeni potrebbero essere implicati nella fisiopatologia dei TMD(19,20,23). Sebbene il dolore sia il motivo principale che conduce i pazienti all’osservazione dello specialista, bisogna considerare che molti di questi pazienti riportano marcato grado di stress dovuto al dolore e all’interferenza di quest’ultimo nelle attività della vita quotidiana, e tutto ciò comporta spesso un certo grado di depressione(6,28). Inoltre, i TMD condividono molte caratteristiche delle patologie a carattere cronico, pertanto vengono trattati con gli stessi modelli biopsicosociali di queste ultime. Si può affermare che molti pazienti con dolore cronico sopportano la loro condizione mantenendo in tal modo buoni livelli di vita sociale, invece altri pazienti non ce la fanno e rivelano un certo livello di depressione, somatizzazione e un più basso interesse per la salute, sebbene non si rilevino differenze cliniche, per quanto riguarda la patologia, tra i due gruppi(6).
Per la valutazione dei fattori psicosociali e comportamentali sono state utilizzate, nel corso del tempo, diverse tipologie di scale di misurazione. In particolare, per la stesura degli RDC/TMD, Dworkin si è avvalso di tre specifiche scale: la Beck Depression Inventory (BDI), la Center for Epidemiologic Studies Depression scale (CES-D) e la Symptom Checklist 90 (SCL-90).
È noto il ruolo dei fattori psicosociali (ansia, depressione, stress) nell’insorgenza dei disordini temporomandibolari, in accordo con la teoria multifattoriale.
Nella spiegazione della relazione tra la dimensione fisica e psicologica del dolore vengono inclusi modelli psicodinamici (es. incapacità di esprimere conflitti emozionali, paura, sensi di colpa), cognitivi (es. sentirsi indifesi, mancanza di controllo), comportamentali (ridotto rendimento sul lavoro per stress e per basso guadagno) e biologici (meccanismi di controllo del dolore e di stress)(9,10,11).
Uno studio condotto nel 2006 si è occupato dei livelli di depressione e somatizzazione nei pazienti TMD. È stato preso in esame un campione di 154 pazienti con una o più diagnosi di RDC/TMD. I pazienti sono stati raggruppati in 7 gruppi in base alla diagnosi di asse I. I punteggi di depressione e somatizzazione tra i gruppi sono stati valutati in base al questionario Symptom-Checklist-90.
I risultati ottenuti hanno confermato che il dolore ha conseguenze psicologiche per quanto riguarda depressione e somatizzazione; infatti i pazienti con dolore mio-fasciale e artralgia risultavano essere più depressi dei pazienti con sola dislocazione del disco. Questo conferma che i fattori psicologici giochino un ruolo fondamentale nell’eziopatogenesi dei TMD(2).
È stata compresa l’importanza di un’indagine sulla psicologia dei pazienti TMD. Per questo Dworkin e coll. hanno verificato la validità e l’utilità clinica dell’Asse II – diagnosi biocomportamentale – dei Criteri Diagnostici di Ricerca per i disordini temporo-mandibolari (RDC/TMD), con studi epidemiologici longitudinali, cross-culturali e randomizzati.
Per quanto riguarda il sesso, la depressione è maggiormente presente nelle donne in un rapporto di 2:1, ma solo dopo l’età puberale. La prevalenza del disturbo depressivo in età adulta è del 10-25% nelle donne e del 5-12% negli uomini.
La depressione nelle donne è determinata dalla loro eccessiva preoccupazione per il dolore e dalla severità del dolore stesso, mentre negli uomini dipende dall’inattività più che dall’intensità del dolore(13,16).
Nel 2001 è stato condotto uno studio per esaminare la differenza tra uomini e donne con TMD, utilizzando alcune misure biopsicosociali.
Sono stati reclutati 233 pazienti con TMD nella fase acuta, di cui 161 donne e 72 uomini, dai 18 ai 65 anni, senza preferenza di razza, con dolore oro-facciale e con almeno una diagnosi di asse I dagli RDC/TMD. Ognuno di essi è stato sottoposto a dei questionari di valutazione psicologica tra cui il BDI.
I risultati di questo studio mostrano che donne e uomini non rispondano alle valutazioni biopsicosociali nello stesso modo: gli uomini che vanno incontro a cronicizzazione dei TMD sviluppano disturbi della personalità in misura maggiore rispetto alle donne, invece le donne che vanno incontro a cronicizzazione dei TMD mostrano maggiore somatizzazione e maggiore ansia. Per quanto concerne la depressione, le donne con cronicizzazione dei TMD totalizzano punteggi di depressione da moderati a severi, invece gli uomini nella stessa condizione risultano non essere depressi. Da questi risultati possiamo concludere che le donne tendono ad esprimere e ad ammettere il loro disagio in modo più forte degli uomini, e questo contribuisce ad incrementare il numero di donne che richiede terapie per i disordini temporo-mandibolari, mentre gli uomini danno meno importanza ai loro sintomi a fanno fatica ad ammettere il loro grado di depressione(16).

Conclusioni
In conclusione, dalla revisione della letteratura emerge che:
- il Gender è un fattore di rischio per i TMD a causa delle diverse caratteristiche psicosociali esistenti tra uomo e donna(44);
- esiste una vera e propria differenza nell’affrontare il dolore TMD tra uomo e donna per motivazioni:
. biologiche: ruolo degli ormoni;
. psicologiche: le donne vivono il dolore da un punto di vista emozionale invece gli uomini si concentrano sugli aspetti strettamente fisici;
. sociali: l’eccessiva preoccupazione per il dolore da parte delle donne interferisce con le loro abituali attività come il lavoro.
- Inoltre, è stato riconosciuto un certo ruolo sia nell’insorgenza dei TMD sia come conseguenza dei TMD ai fattori psicosociali (ansia, depressione, stress, somatizzazione). Anche in questo caso sono soprattutto le donne a rivelare un certo grado di depressione e somatizzazione correlate al dolore TMD e alla sua severità,soprattutto se questo è ad evoluzione cronica.

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