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Riabilitazione conservativa con tecnica diretta e indiretta: case report

I. Franchi

I. Franchi

mer. 16 dicembre 2015

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Il composito nelle sue più recenti formulazioni (microibrido, nano particelle, nano ibrido), grazie alle sue proprietà biomeccaniche ed estetiche, è diventato il materiale più largamente usato per il restauro dei denti posteriori. Le problematiche non ancora completamente risolte sono invece legate alla contrazione da polimerizzazione e all’adesione dentinale, soprattutto nelle grandi ricostruzioni con tecnica diretta.

Questo ha portato allo sviluppo di tecniche semidirette e indirette, che prevedono la completa polimerizzazione del manufatto in composito prima della cementazione in cavità1-3.
In cavità di ampie dimensioni con coperture cuspidali, infatti, trovano indicazione i restauri cementati adesivamente realizzati con tecnica indiretta.
Il vantaggio fondamentale di tali tecniche adesive risiede nella possibilità di ridurre al massimo la contrazione da polimerizzazione del materiale, che avviene al di fuori della cavità, con conseguente beneficio sull’adattamento marginale; l’unica contrazione da polimerizzazione residua, per altro scarsamente influente, sarà a carico del sottile strato di cemento resinoso utilizzato per la cementazione4.
Scopo del presente articolo è la scelta di un piano di trattamento misto, diretto e indiretto, e la relativa realizzazione clinica dello stesso.

Caso clinico
Il paziente C.F., di anni 16, giunge alla nostra osservazione richiedendo una visita odontoiatrica di controllo. L’anamnesi negativa per patologie sistemiche importanti presenti e pregresse; non fumatore, riferisce un’igiene orale abbastanza accurata.
All’esame obiettivo si reperta la presenza di evidenti lesioni cariose interessanti gli elementi 4.7, 4.6, 3.7, 1.7, 2.7, 2.6. Gli elementi 3.7 e 4.7 sono parzialmente erotti con presenza di ipertrofia distale (Figg. 1a, 1b). Considerata l’età, viene posto il dubbio sulla possibile disodontiasi degli ottavi inferiori.
Vengono effettuate due radiografie bite-wing per osservare radiograficamente l’entità dell’estensione delle patologie cariose in atto: si evince ampia lesione cariosa a carico di 1.6, 1.7 e 4.6, lesioni cariose di medie entità a carico di 1.7, 1.5, 4.7, 4.5, 4.4, 3.7, 3.5 (Figg. 2a, 2b). La disodontiasi degli ottavi inferiori viene confermata attraverso esame ortopantomografico (Fig. 2c). Il piano di trattamento di questo caso clinico potrebbe essere basato o su ricostruzioni dirette su tutti gli elementi affetti da lesione cariosa o, come da noi effettuato, su ricostruzioni indirette sugli elementi 1.7, 1.6, 4.6 e da ricostruzioni dirette sulle restanti.
Si è optato per questa soluzione in quanto la sostanza sana residua dentale degli elementi 1.6, 1.7, 4.6 risultava scarsa già all’indagine radiografica: l’adattamento marginale, l’occlusione e la modellazione anatomica sarebbero stati più predicibili con un manufatto realizzato per via indiretta rispetto a quello effettuato per via diretta. Si procede con l’isolamento del campo operatorio per settori. All’esame obiettivo del primo quadrante, previo isolamento sotto diga di gomma, si nota come l’anatomia dentale degli elementi sia perfettamente mantenuta nonostante le destruenti lesioni cariose evidenti solo tramite radiografie endorali (Figg. 3a, 3b). Dopo aver aperto la cavità si prosegue con la toilette completa della cavità, si valutano gli spessori delle pareti vestibolari e linguali che devono essere di almeno 1,5 mm. Le pareti con uno spessore inferiore vengono tagliate abbassandole di 2 mm (Figg. 3a, 3b, 4). Si eseguono quindi le procedure adesive e si applica una base di composito; la dentina è meglio ricoprirla con un leggero strato di composito fluido di circa 0,5 mm e quindi si prosegue con il composito di normale viscosità (Fig. 4a). Per ogni piccolo incremento si effettua la polimerizzazione, infine, si prepara la cavità: la preparazione dei margini è netta e assolutamente priva di biselli (Fig. 4b). Si procede, poi, con l’impronta intraoperatoria in materiale polietere, applicazione di materiale provvisorio al di sopra degli elementi trattati.
Dopo circa 3 giorni, sempre sotto isolamento del campo operatorio, si effettua la cementazione con materiale composito (Fig. 5):

  • pulizia della cavità con paste da profilassi senza fluoro, oppure con l’uso di bicarbonato diffuso a pressione con acqua e aria con apposito diffusore;
  • l’intarsio viene provato valutandone la passività, la precisione e il punto di contatto;
  • la superficie interna dell’intarsio viene sabbiata con allumina a 50 micron al fine di assicurare una buona adesione del cemento; viene poi silanizzata e ricoperta di uno strato di bonding non polimerizzato;
  • la superficie dentale viene trattata con mordenzante, adesivo e bonding non polimerizzato;
  • il cemento che può essere chimico, duale o composito da otturazione foto polimerizzabile (quello da noi utilizzato) viene inserito nella superficie dell’intarsio; si rimuovono gli eccessi e si polimerizza; in questo caso si utilizza lo stesso composito utilizzato nella realizzazione dei manufatti diretti previo riscaldamento all’interno dell’apposito fornelletto al fine di renderlo fluido (Figg. 6a, 6b);
  • si lucida l’intarsio.

Nel settore 2, invece, si procede con la rimozione della patologia cariosa, estremamente destruente nel caso dell’elemento 2.6 a tal punto da rischiare di compromettere la vitalità pulpare (si noti l’esposizione del cornetto pulpare). Siccome non vi era sanguinamento pulpare si è optato per una ricostruzione indiretta senza ricorrere alla terapia canalare (Figg. 6a, 6b, 8, 9a, 9b). A distanza di due mesi l’elemento dentale ha perso la sua vitalità pulpare e si è ricorsi alla terapia endodontica mediante una cavità di accesso occlusale minimamente invasiva, senza effettuare il rifacimento del restauro indiretto (Figg. 17a, 17b, 18a, 18b).
Si è preparato l’elemento dentario con una cavità adeguata di configurazione e geometria: pareti divergenti, lisce e ben definite, angoli interni arrotondati, finitura dello smalto e margini sopragengivali7.
Anche in questo caso è stato necessario effettuare il build-up. Gli elementi 2.4 e 2.5 vengono ricostruiti con tecnica diretta (Figg. 7a, 7b). Più compromessa a livello dei margini interprossimali è stata la situazione nel settore 4, in particolar modo dell’elemento 4.6: a livello distale ci trovavamo border line, ovvero a rischio di dover effettuare interventi parodontali per ottenere margini sopragengivali. L’elemento 4.6 è stato prepara rato per un manufatto indiretto; il 4.7, che preservava le cuspidi e aveva una lesione interprossimale mesiale è stato ricostruito con tecnica diretta (Figg. 10-12). Gli elementi 4.4 e 4.5 sono stati ricostruiti direttamente in quanto la sostanza residua presente è sufficiente per un restauro diretto (Fig. 13a, 13b).
Nel settore 3, invece, si sono realizzati dei restauri diretti sugli elementi 3.7, 3.6, 3.5 e 3.4.
I materiali utilizzati per realizzare questo caso clinico sono gli ENAMEL HRi Function, sistema smalto-composito per ripristinare la funzione in modo micro invasivo rispettando il sistema neuromuscolare e ottenendo un’ottima integrazione estetica. Sono masse soggette a bassa abrasione che si avvicinano a quella degli smalti naturali (Fig. 16).

Discussione

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L’odontoiatria ricostruttiva ha come compito il raggiungimento di alcuni obiettivi fondamentali quali: diagnosi della o delle lesioni; eliminazione della o delle lesioni; ripristino anatomico e funzionale dei tessuti asportati o mancanti; protezione della polpa; garanzia di un risultato esteticamente conveniente; mantenimento del risultato ottenuto con manovre di igiene domiciliari semplici; e prevenzione della malattia cariosa e parodontale5.
I restauri di seconda classe con margini cervicali profondi e ampia perdita di sostanza, in genere implicano, nella fase restaurativa, tre differenti problematiche1:

  • importante perdita di sostanza dentale;
  • chiusure marginali cervicali parzialmente o totalmente in assenza di smalto;
  • margini cervicali subgengivali.

Secondo la classificazione proposta dalla scuola di Ginevra nel 1994, le resine composite possono essere utilizzate nei settori posteriori con differenti tecniche: diretta, semidiretta e indiretta1,5.
La scelta della tecnica è dettata da differenti parametri:

  • generali (igiene orale, cario recettività, parafunzioni, età, esigenze estetiche);
  • locali (dimensione e disegno della cavità, numero dei restauri, posizione dei margini, quantità di smalto residuo a livello cervicale, posizione del dente in arcata).

Le tecniche dirette sono indicate in caso di restauri di prima e seconda classe di piccole e media dimensioni con presenza di smalto a livello cervicale1.
È evidente che suddette condizioni raramente si riscontrano nelle lesioni cariose che si estendono a livello subgengivale. Mediamente, questi ultimi casi sono associati a cavità di ampie dimensioni, spesso con necessità di ricoprimento cuspidale con conseguenti problemi relativi a stress da contrazione.
Gli effetti dello stress da polimerizzazione sono evidenti a due livelli:

  • a_ in corrispondenza delle cavità, con possibilità di distorsioni o microfratture delle pareti stesse;
  • b_ a livello dell’interfaccia adesiva marginale o interna6.

Inoltre, il trattamento foto-termico a cui viene sottoposto il manufatto, migliora il grado di conversione e, di conseguenza, le proprietà fisico-meccaniche del restauro (resistenza all’usura7 e stabilità dimensionale8). Altri vantaggi di tali tecniche riguardano la possibilità di modellazioni anatomiche ideali e riabilitazioni occlusali verificate in articolatore.
Risulta evidente l’importanza di valutare la resistenza all’usura e la durata media dei restauri al fine di poterli utilizzare per restauri estesi degli elementi dentali con ricoprimenti di una o più cuspidi.
Il miglioramento degli adesivi smalto-dentinali, insieme a una minore contrazione da polimerizzazione, consente di ottenere una buona qualità marginale stabile nel tempo limitando in maniera significativa la microinfiltrazione9,10. Il miglioramento delle proprietà chimico-fisiche e una migliore polimerizzazione hanno aumentato in maniera netta la resistenza all’usura11 e almeno nel caso di restauri di media dimensione il problema sembra definitivamente risolto12.
Alla fine degli anni Ottanta, si pensava che la tecnica indiretta fosse migliore della tecnica diretta in quanto favoriva un migliore adattamento marginale e una riduzione della microinfiltrazione in qualsiasi situazione clinica: dalla cavità media alla cavità più complessa e grande. Iida e collaboratori13 hanno dimostrato che il comportamento a lungo termine di restauri diretti e intarsi è sovrapponibile. Spreafico e collaboratori14 dimostrarono che nel caso di cavità medie non esiste differenza per quanto riguarda la durata e la qualità marginale fra restauri diretti e inlay.
Van Dijken15 afferma che quando a livello del gradino cervicale lo smalto è completamente assente gli intarsi prevengono l’infiltrazione marginale meglio delle otturazioni anche nei pazienti ad alto rischio di carie. Il risultato di questi miglioramenti è una longevità dei restauri davvero soddisfacente a lungo termine15-17.

Conclusione

  • I restauri diretti sono indicati per il restauro di cavità piccole e medie18;
  • i restauri indiretti sono indicati per il restauro di cavità molto ampie e soprattutto se una o più cuspidi sono mancanti;
  • nel caso in cui lo smalto a livello cervicale sia ridotto o completamente assente i restauri indiretti sono da preferire a quelli diretti;
  • nel caso in cui nello stesso quadrante vi fossero cavità medio-grandi e multiple la tecnica indiretta è più appropriata per ottenere un’anatomia adeguata.

 

Bibliografia
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18. AIC – Accademia Italiana di Conservativa-Odontoiatria Restaurativa. Procedure di trattamento e prospettive future, Masson, Coordinamento Scientifico Franco Brenna, autori: F. Brenna, L. Breschi, G. Cavalli, W. Devoto, G. Dondi dall’Orologio, P. Ferrari, A. Fiorini, M. Gagliani, F. Manfrini, G. Manfrini, P.A. Marcoli, L. Massai, A. Monari, M. Nuvina, M. Oddena, M. Palazzo, D. Pansecchi, S. Patroni, G. Prando, C. Robello, R. Spreafico, C. Tinti, M. Veneziani.

 

L'articolo è stato pubblicato su Cosmetic Dentistry Italian Edition, dicembre 2015

 

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