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Predicibilità chirurgica della rigenerazione ossea verticale (GBR) nella mandibola posteriore edentula: disegno, gestione e passivazione dei tessuti molli come chiavi principali di successo

M. Ronda, C. Stacchi

M. Ronda, C. Stacchi

ven. 12 ottobre 2012

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L’efficacia della Rigenerazione Ossea Guidata (GBR), quale tecnica utilizzata al fine di promuovere la rigenerazione ossea orizzontale o verticale, è stata ben documentata già fin dai lontani primi anni ’901-4. È stata inoltre ben dimostrata la stabilità dell’osso rigenerato e la sua buona risposta nel tempo, una volta sottoposto a carico funzionale5-8.

La GBR verticale è una tecnica con un grande potenziale, ma che necessita di una minuziosa e attenta applicazione del protocollo chirurgico, e che va affrontata da operatori in possesso di conoscenze e manualità adeguate a garantire una gestione ottimale dei tessuti molli.
Infatti, l’ottenimento di una chiusura dei lembi per prima intenzione e il mantenimento della stessa durante tutto il periodo necessario alla neoformazione e maturazione ossea, è un pre-requisito necessario a evitare esposizioni della membrana: tale evento comporta un’inevitabile contaminazione batterica del dispositivo di barriera e determina, quasi sempre, la compromissione della procedura chirurgica di rigenerazione9,10.
Numerosi studi hanno descritto differenti protocolli clinici riguardanti la gestione dei tessuti molli, sia nell’arcata superiore che in quella inferiore11-17.
In questa analisi retrospettiva vengono descritte le tecniche chirurgiche di gestione dei tessuti molli utilizzate durante l’esecuzione della tecnica di GBR con membrane non riassorbibili in 127 casi di difetti verticali della mandibola posteriore, e valutati i risultati clinici ottenuti.

Materiali e metodi
Nel periodo compreso tra l’anno 2000 ed il 2012 sono stati trattati, con l’utilizzo della tecnica di GBR con membrane non riassorbibili, un totale di 127 difetti ossei verticali in mandibole posteriori edentule.
La tecnica è stata applicata con un protocollo operativo che nel corso degli anni ha subìto modeste variazioni.
Dal 2000 al 2008 è stata utilizzata, come dispositivo di barriera, una membrana non riassorbibile rinforzata in titanio in politetrafluoroetilene espanso (e-PTFE) (Gore-Tex TR9, W.L. Gore & Associates, Flagstaff, USA ) in 72 casi (Fig. 1).
Dal 2009 al 2012 è stata utilizzata, come dispositivo di barriera, una membrana non riassorbibile rinforzata in titanio in politetrafluoroetilene ad alta densità (d-PTFE) (Cytoplast TI250XL Osteogenics Biomedical, Lubbock, USA ) in 55 casi ( Fig. 2).
Tutte le membrane sono state fissate mesialmente e distalmente sul versante linguale utilizzando dei pins in titanio (Helmut Zepf Medizintechnik, Seitlingen, Germania) o delle mini viti (Pro-Fix, Osteogenics Biomedical, Lubbock, USA) (Fig. 3) e, dopo il posizionamento del materiale da innesto intorno agli impianti lasciati protrudenti dalla cresta (Fig. 4), sono state fissate anche sul versante vestibolare con i medesimi dispositivi di fissazione (Fig. 5).
La preparazione dei siti implantari è stata realizzata, per la porzione più coronale dell’osteotomia, con l’uso di frese rotanti e, per la porzione più apicale e prossima all’area del nervo mandibolare, con l’inserto piezoelettrico OT4 (Piezosurgery, Mectron, Carasco, Italia). (Fig. 6).
Gli impianti osteointegrati (Spline Twist and Tapered Screw-Vent, Zimmer Dental, Carlsbad, USA) sono stati inseriti lasciando la loro porzione più coronale protrudente dalla cresta per una lunghezza pari alla rigenerazione ossea verticale programmata.
Solo in alcuni casi, in cui non è stato possibile ottenere un’adeguata stabilità primaria nell’esigua quota di osso residuo, si è proceduto dapprima alla rigenerazione ossea verticale e, solo successivamente, al posizionamento delle fixture (Figg. 7,8).
Si è proceduto quindi all’effettuazione di perforazioni multiple della corticale creando dei fori di osteopromozione con l’inserto piezoelettrico OP5 (Piezosurgery, Mectron, Carasco, Italia), per stimolare l’afflusso ematico e cellulare dagli spazi ossei midollari alla zona della rigenerazione18,19.
Nell’arco temporale preso in osservazione, sono stati utilizzati differenti materiali da innesto, da soli o combinati, in associazione alle membrane: osso autologo, fosfato tricalcico, DBM (Dynagraft, Keystone Dental, Burlington, USA), MFDBA (Puros, Zimmer Dental, Carlsbad, USA ) o combinazioni di osso omologo mineralizzato e demineralizzato (MFDBA e DFDBA - enCore, Osteogenics Biomedical, Lubbock, USA).

Gestione Chirurgica dei Tessuti Molli
Tutte le chirurgie e le visite post-chirurgiche sono state eseguite da un singolo operatore.
Per ogni paziente è stato eseguito un progetto terapeutico, analizzando ceratura diagnostica e CT o CBCT scan eseguito con mascherina, con la finalità non solo di posizionare gli impianti dove la quantità di osso residuo lo consentisse, ma di posizionare le loro piattaforme su quella linea ideale situata circa 2 mm al di sotto della linea amelo-cementizia dei denti adiacenti.
Dopo aver praticato un’anestesia locale (articaina 4% con adrenalina 1:100.000, Septanest, Ogna, Muggiò, Italia), è stata eseguita un’incisione orizzontale mediocrestale in gengiva aderente, a spessore totale, che si estendeva dal margine distale dell’ultimo dente adiacente alla regione da trattare alla branca montante, continuando su di essa per circa 1 cm coronalmente al piano osseo del corpo della mandibola. Il disegno del lembo terminava con un’incisione di rilascio sulla faccia esterna del ramo. Nell’area del secondo molare, per preservare l’integrità del nervo linguale, il bisturi deve essere inclinato approssimativamente di 45 gradi con la punta in direzione vestibolare, e la lama deve essere in contatto con la linea obliqua esterna durante l’esecuzione dell’incisione in direzione distale e buccale. Nella zona prossimale vestibolare, l’incisione proseguiva intrasulcularmente a livello degli ultimi due denti adiacenti alla regione da trattare per terminare con un’incisione di svincolo verticale a mazza da hockey, mentre a livello linguale proseguiva intrasulcularmente a livello dell’ultimo dente fino allo zenith della sua parabola gengivale, per poi proseguire orizzontalmente per circa 1 cm nello spessore della gengiva aderente.
I lembi venivano quindi scollati a spessore totale e veniva isolata l’emergenza del nervo mentoniero. La mobilizzazione e il rilascio del lembo vestibolare veniva ottenuta per mezzo di un’incisione orizzontale del periostio praticata con una lama nuova per l’intera lunghezza del lembo, dallo svincolo distale a quello mesiale. Questa incisione decorre longitudinalmente, circa 5 mm apicalmente dall’incisione crestale, e deve coinvolgere le sole fibre periostali.
La passivazione del lembo vestibolare così ottenuta permette un’elevazione coronale media del lembo di circa 20 mm, che sono la risultante della quota di tessuto presente al di sopra della linea di incisione periostale (5 mm), sommata alla distensione del lembo a seguito dell’interruzione del periostio (15 mm) ( Figg. 9, 10).
Il lembo linguale è sollevato anch’esso a tutto spessore fino a raggiungere la linea miloioidea. Questa manovra consente di ottenere un’elevazione coronale media dello stesso di circa 15 mm (Fig. 11). A questo punto, seguendo la tecnica già descritta dagli autori17, viene individuata l’inserzione di uno dei capi del muscolo miloioideo sulla superficie interna del lembo linguale, circa 5 mm apicalmente alla linea di incisione crestale. Questa inserzione, con l’utilizzo di uno strumento smusso, viene dapprima isolata (Fig. 12) e poi distaccata dal lembo applicando una leggera forza di trazione. Questa manovra consente di raddoppiare mediamente la passivazione del lembo linguale, portando l’elevazione coronale dello stesso da circa 15 mm a circa 30 mm. (Figg. 13, 14).
I lembi così passivati possono essere suturati al di sopra della membrana senza tensioni, usando due linee di sutura differenti: una sutura a materassaio orizzontale con filo in d-PTFE di diametro 3/0 (4/0 Usp percepito), circa 5 mm apicalmente alla linea di incisione crestale (Cytoplast, Osteogenics Biomedical, Lubbock, USA) e una serie di punti staccati con filo in d-PTFE di diametro 4/0 (5/0 Usp percepito) a completamento del sigillo dei lembi.
I tagli di scarico vengono suturati con fili riassorbibili (6/0 - 7/0) (Serafit, Serag Wiessner, Naila, Germania).
Le suture vengono rimosse dopo circa 12/15 giorni e durante questo periodo il paziente esegue sciacqui con clorexidina 0,2%, due volte al giorno per un minuto.
Viene inoltre prescritta terapia antibiotica (amoxicillina/acido clavulanico 875+125mg) e antinfiammatoria (ibuprofene 600 mg) per una settimana.
Dopo un periodo di circa sei mesi, durante il quale si ottiene e si completa la neoformazione ossea, il paziente viene sottoposto al secondo step chirurgico durante il quale si rimuove la membrana, i suoi sistemi di fissazione e si procede alla gestione dei tessuti molli. (Figg. 15, 16).

Risultati
I risultati di questo studio vogliono essere la registrazione delle complicanze verificatesi in fase chirurgica e postchirurgica in 127 casi di GBR verticale con barriere non riassorbibili, fino al momento della rimozione della membrana: questi eventi, in una notevole percentuale dei casi, possono portare al fallimento dell’intera procedura rigenerativa. Per l’elencazione e l’analisi delle complicanze, è stata utilizzata la classificazione proposta da Fontana et al. (2011).20
Per ciò che concerne le complicazioni chirurgiche, al di là delle normali sequele transitorie legate all’atto chirurgico (edema, stravaso ematico ed ematomi), si sono registrate delle complicanze di carattere neurologico (B secondo Fontana 2011) in 3 casi (2.4%). Si è trattato di parestesie, dovute alle manovre di passivazione del lembo vestibolare che hanno verosimilmente provocato uno stiramento di alcune fibre del nervo mentoniero. I sintomi parestesici sono scomparsi in tutti e tre i casi entro un mese dalla chirurgia.
Per quel che riguarda il periodo di guarigione, non si sono verificate in nessun caso esposizioni della membrana (nessuna complicanza di classe I, II e III secondo Fontana), mentre in 9 casi (7.1%) si è verificata una sepsi nella zona dell’innesto in assenza di esposizione della membrana (classe IV secondo Fontana).20 Tutte le complicanze di tipo IV si sono verificate entro il primo mese dall’effettuazione della chirurgia rigenerativa.

Discussione
Lo scopo di questo lavoro retrospettivo è quello di porre l’attenzione sulle complicanze della tecnica chirurgica di rigenerazione verticale con membrane non riassorbibili, per valutare il livello di predicibilità chirurgica che questa tipologia di soluzione terapeutica può garantire al clinico, malgrado essa sia comunemente considerata ad alta difficoltà operativa.
Dall’analisi dei risultati descritti si osserva come la percentuale generale di insuccesso si attesti, relativamente alla casistica proposta, al 7,1%.
Appare però evidente che, con l’applicazione delle convenzionali tecniche di passivazione e l’introduzione della nuova tecnica di management del lembo linguale, l’entità dello spiazzamento coronale dei lembi garantisce al clinico una quota di tessuto sufficiente a suturare i lembi al di sopra dell’area di rigenerazione in modo passivo e privo di tensioni. Ciò viene confermato dal fatto che, nella serie di casi esaminati, non si è registrata alcuna esposizione della membrana in 127 siti trattati.
La causa principale di fallimento di questa tecnica, dall’esame dei nostri dati, risulta essere la contaminazione batterica del complesso impianti-innesto-membrana. La contaminazione microbica può avvenire già in fase operatoria (gestione inadeguata dello strumentario chirurgico, contaminazione dell’innesto da batteri presenti nella saliva) o in fase post-chirurgica (mancata chiusura per prima intenzione dei lembi o esposizione precoce della membrana). Come si è visto, un’adeguata tecnica di gestione dei tessuti molli consente, se eseguita correttamente, di ottenere una chiusura primaria dei lembi assolutamente passiva ed ermetica e di mantenerla per l’intero periodo di guarigione. Il problema ancora irrisolto resta quello dei casi in cui la sepsi dell’innesto ha luogo nonostante la chiusura dei lembi sia perfettamente mantenuta: in quest’evenienza, che si presenta sempre nel corso del primo mese dopo l’intervento, gioca un ruolo fondamentale la contaminazione intraoperatoria dell’innesto.
Vista la complessità del mantenere perfettamente isolato il campo operatorio da contaminazioni salivari durante interventi di GBR (soprattutto nella mandibola posteriore), la riduzione dei tempi operatori è una delle chiavi su cui agire per minimizzare il rischio infettivo. In quest’ottica può essere utile prelevare osso autologo da un sito donatore diverso dall’area della rigenerazione, prima di iniziare le procedure di GBR (con un inevitabile aumento della morbidità), o utilizzare graft del commercio da soli, allo scopo di eliminare del tutto il prelievo di osso autologo e, con esso, i rischi infettivi connessi all’allungamento dei tempi della procedura.21

Conclusioni
Le attuali tecniche di passivazione dei lembi a disposizione del clinico hanno ridotto notevolmente la percentuale di insuccesso relativa all’esposizione precoce delle membrane. Possiamo quindi ritenere che la tecnica di GBR sia una soluzione realisticamente percorribile per ciò che riguarda il successo chirurgico (la stabilità nel tempo dei risultati terapeutici è stata già ampiamente dimostrata), malgrado la tecnica venga considerata molto “operatore-sensibile”.
Non è infatti assolutamente da sottovalutare il fatto che la GBR resti una tecnica impegnativa, che richiede adeguate conoscenze, e che la sua applicazione dovrebbe esprimersi al termine di una adeguata curva di apprendimento, che porti il clinico ad acquisire un completo bagaglio di conoscenze teoriche e pratiche, in ambito sia parodontale che implantare.

 L'articolo è stato pubblicato sul numero 3 di Implant Tribune Italy 2012.

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