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L’importanza dell’odontologo forense nell’analisi dei “bitemarks” per riconoscere le fattispecie di reato associate a maltrattamenti e/o abusi

Chantal Milani

Chantal Milani

gio. 4 settembre 2014

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Fra le competenze dell’odontologo forense vi è l’analisi dell’impronta di morsicatura, i cosiddetti “bitemarks”: lesioni configurate, che in modo più o meno chiaro riportano su un supporto alcune caratteristiche del mezzo che le ha prodotte, ossia le arcate dentali.

Tale substrato può essere la cute della vittima che ha subito il morso, così come quella dell’aggressore dal quale la vittima si è difesa. Ciò inevitabilmente mette in relazione i due soggetti. Inoltre, l’impronta di morsicatura può essere impressa anche su un oggetto presente sulla scena correlando oltre che gli attori anche il luogo.
Ma non necessariamente di aggressione vera e propria può trattarsi. Non di rado sulla cute di bambini, ad esempio, si possono riscontrare lesioni di questo genere a opera di compagni di giochi, così come morsi di animali su cadavere e su vivente. Fra i casi più famosi in tema di bitemarks, vi è quello del serial killer Ted Bundy, che ne gli anni Settanta e Ottante compì più di trenta omicidi: l’identificazione dei segni delle sue arcate dentali sul corpo di una delle vittime contribuì alla condanna definitiva. Solo successivamente all’attribuzione del morso a Bundy, egli confessò, consacrando l’analisi dei bitemarks come importante fonte di prova.

Le arcate dentali sono uniche per ogni individuo e le loro caratteristiche si possono trasferire sulla cute, sebbene nella loro interpretazione si debba tenere conto delle caratteristiche di elasticità che quest’ultima possiede. Riconoscere e analizzare un’impronta di morsicatura significa valutarne i diversi aspetti anche quando non si presenta nelle forme più classiche. Essa, infatti, può variare configurazione a seconda della superficie corporea interessata e a seconda di altri fattori quali la dinamica dell’evento o l’intensità del morso stesso. La lettura di questo tipo di lesività, infatti, non è sempre semplice ed è influenzata anche da altri fattori: ad esempio il tempo trascorso dall’apposizione del morso, edema, ecchimosi, escoriazioni o lacerazioni della cute, oltre all’elasticità della cute già menzionata. Nel cadavere, inoltre, bisogna tener conto anche delle trasformazioni post-mortali.
Nella conferenza-corso tenutasi a Torino nel marzo di quest’anno, è stata messa in luce l’importanza dell’odontologo forense nella rilevazione e valutazione di queste lesioni nel riconoscimento di fattispecie di reato associate a maltrattamento e abuso. Il tempestivo intervento è determinante per poter documentare la lesione per poi analizzarla nel modo più corretto.

I primi a riscontrare questo tipo di lesioni nel vivente sono generalmente parenti, pediatri, medici di base o medici di pronto soccorso (si ricorda l’obbligo di denuncia da parte degli incaricati di pubblico servizio per i reati di cui siano venuti a conoscenza a causa o nell’esercizio delle proprie funzioni). Sebbene una iniziale documentazione fotografica possa essere eseguita da chiunque, magari con l’ausilio di un riferimento metrico, a vantaggio della tempestività di acquisizione di una lesione molto mutevole nel tempo, è bene che ogni step successivo sia eseguito altrettanto tempestivamente da un odontologo forense con esperienza nello specifico settore, poiché un’errata registrazione della lesione e una sua mal interpretazione reca con sé responsabilità non indifferenti. Situazione simile accade per il cadavere.
L’odontologo forense, per formazione, ha la capacità di “interpretare” quella lesione in un modo diverso da qualsiasi altra figura professionale. Già l’odontoiatra clinico sin dai tempi dell’università acquisisce la capacità di notare caratteristiche minime nella dentatura di ogni soggetto. Basti pensare che egli non necessita di leggere i nominativi dei propri pazienti apposti sulle impronte in gesso custodite nel proprio studio, anche quando queste sono parziali: spesso gli basta uno sguardo per riconoscerne il “proprietario”. In modo analogo, l’esperienza e la pratica portano l’odontologo forense a vedere ciò che altri non vedono anche in lesioni alterate da diversi fattori e a saper inserire le proprie valutazioni in un contesto medico-legale.

Questo, ovviamente, con tutte le cautele del caso: ciò infatti significa saper riconoscere altresì una eventuale impossibilità a procedere a un’analisi attendibile, nel caso di lesioni poco indicative o molto alterate. Ricordiamo però che anche un’esclusione certa dell’attribuzione di un morso a un sospettato/indagato, dovuta ad esempio alla presenza di caratteristiche certamente incompatibili con la sua dentatura, è un elemento di notevole importanza per le indagini.

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