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Il ruolo dell’odontologo forense nell’identificazione personale

Chantal Milani
Chantal Milani

Chantal Milani

mar. 17 giugno 2014

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Ormai da anni l’odontoiatria non è più solo “denti”: disciplina medica a tutti gli effetti, ha saputo svilupparsi grazie a studi e ricerche delineando il proprio spazio nel panorama nazionale e internazionale.

Anche in ambito “forense” la disciplina mette le competenze odontoiatriche a disposizione del processo penale e dell’investigazione scientifica affiancandosi a pieno titolo alla medicina legale e ad altre scienze forensi. Cadaveri rinvenuti e persone scomparse, purtroppo, sono notizie quasi quotidiane che hanno spinto il Ministero dell’Interno a considerare il problema dell’identificazione personale. Un ambito in cui l’odontologo forense ha un ruolo molto importante: l’acquisizione e la comparazione di dati il cui confronto è determinante per l’identificazione dei soggetti di cui non è nota l’identità. Assieme alla dattiloscopia (impronte digitali) e alla genetica (DNA), l’odontologia forense è una delle tecniche applicate a livello internazionale, anche nell’identificazione di grandi numeri di cadaveri, come nei disastri di massa. Avvalendosi di metodi economici e assai rapidi, altamente specialistici, permette una comparazione pressoché immediata dei dati ante e post-mortem consentendo l’associazione del cadavere con lo scomparso (identificazione positiva) o, informazione altrettanto importante, un’esclusione dell’associazione.

Processo multidisciplinare che vede coinvolto l’odontologo e il medico legale e/o l’antropologo forense, quello identificativo si basa sulla determinazione del cosiddetto “profilo di identità generica”, ossia la determinazione di origine razziale, sesso, età, statura ed eventuali altre caratteristiche dei resti umani in esame, per circoscrivere, fra gli scomparsi, una rosa di soggetti compatibili su cui eseguire – odontologo in primis – una comparazione uno ad uno dei dati dell’autopsia dentale (i cosiddetti dati post-mortem) con quelli raccolti dai famigliari dello scomparso (dati ante-mortem).
Le arcate dentali sono uniche per ogni individuo e la presenza o assenza di un dente, le cure, le protesizzazioni ecc. sono elementi ad altissimo potere identificativo. Anatomicamente determinanti, le strutture ossee e dentali possono offrire un grado di “certezza” identificativa pari a quella di altre metodiche più note.

La conoscenza del valore identificante delle arcate dentali ha radici antiche. Si narra che già nell’antica Roma, Agrippina riconobbe il cadavere della rivale Lollia Paolina, del cui omicidio fu mandante, proprio grazie ad alcune particolarità della sua dentatura. La moderna odontologia forense, naturalmente, segue dettami più rigorosi e scientifici che la vedono nascere ufficialmente come scienza applicata all’identificazione nel 1897 con l’incendio del Bazar de la Charité, a Parigi, in cui persero la vita 126 persone fra cui la duchessa Sofia di Baviera, sorella della più celebre principessa Sissi. Le identificazioni avvennero in gran parte grazie a documentazione dentale. I parametri importanti per una identificazione efficace e affidabile sono principalmente la qualità dei dati ante-mortem e la comprovata esperienza degli odontologi forensi chiamati a intervenire. Naturalmente avvantaggiati i Paesi che hanno un archivio standardizzato e centralizzato a livello nazionale della documentazione odontoiatrica. Ad esempio, si veda quanto accadde per via dello tsunami del 2004: evento che vide l’odontologia forense in grado di identificare ben più dell’80% delle vittime non thailandesi, percentuale molto maggiore rispetto alla popolazione locale di cui non era disponibile la documentazione clinica. In quell’evento le impronte digitali permisero l’identificazione del 9% dei cadaveri, mentre il DNA costoso e di lunga realizzazione fu utilizzato solo nello 0,5% dei casi (fonte: James, 2005).

In Italia secondo l’ultimo censimento del Ministero dell’Interno (30 giugno 2013) si contano 27.000 persone scomparse a fronte di circa 870 cadaveri dei quali non è stato possibile determinare l’identità.
Questi dati dovrebbero risalire al 1974, ma il numero di cadaveri non identificati potrebbe essere sottostimato poiché è estremamente difficile fare un censimento completo, dovuto per lo più alla difficoltà di risalire ai casi più vecchi di cui verosimilmente si è persa traccia. Un tempo, infatti, non esistevano database per archiviare la notizia dei rinvenimenti su tutto il territorio nazionale. Inoltre i corpi senza nome, una volta autorizzata la loro sepoltura, lasciano gli obitori alla volta dei cimiteri e col passare di un decennio o due vengono sottoposti, come di consueto, all’esumazione ordinaria per liberare l’area di sepoltura. Non essendo noti i parenti che potrebbero reclamare la salma, i resti vengono generalmente collocati nell’ossario comune, assieme a milioni di altri resti commisti, perdendone così ogni traccia e possibilità di futuro riconoscimento.

Ecco che una nuova analisi dei resti riesumati da parte dell’odontologo forense e dell’antropologo forense in particolare (vista la tipologia di resti in questione) potrebbe apportare un grande beneficio anche a questa fetta “sommersa” di cadaveri sconosciuti.

 

L'articolo è stato pubblicato sul numero 6 di Dental Tribune Italy 2014.

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