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L’assistente dentale nelle strutture pubbliche e private: il nuovo profilo professionale

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Foto: Assistente dentale (stock.xchng).
Valerio Brucoli

Valerio Brucoli

gio. 7 febbraio 2013

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La proposta del profilo Aso (assistente studio odontoiatrico), s’inserisce in un complesso contesto che vede la contrapposizione tra due modelli di organizzazione della sanità molto diversi.

Da una parte, il modello in cui si riconosce il nostro Codice deontologico e mette al centro un rapporto medico-paziente fondato sulla fiducia, sull’esercizio in scienza e coscienza, sulla libera scelta del medico curante. Dall’altra, un modello di tipo aziendalistico, in cui il binomio medico-paziente è sostituito da quello struttura-paziente o, peggio, struttura-cliente: infatti le ragioni che, in campo pubblico, si rifanno al risparmio di risorse, in campo privato diventano commerciali.
Uno dei modi per risparmiare è quello trovato dalle Regioni Toscana ed Emilia Romagna. In due diverse sperimentazioni, hanno sostituito il medico con figure meno costose (nel caso infermieri), non solo per terapie ma anche per diagnosi. Il passaggio è propiziato dall’identificazione del soggetto curante con un team, inteso come somma di autonome competenze: nella sua accezione più ampia viene fatto coincidere con quella struttura che, nel privato, vede spesso predominare il ruolo dell’investitore.
Consequenziale (logica ricerca di legittimazione) è la richiesta di eliminare il concetto di atto medico e sostituirlo con quello di atto sanitario. Si potrebbe pensare che si tratti di una questione di rivendicazioni di medici con paura di perdere “potere”, a favore di altre categorie professionali: nella realtà non è così perché il tipo di lavoro rimane più o meno lo stesso. Cambia invece totalmente il modo di approcciarsi al paziente.
In questo modello, infatti, diventa centrale l’erogazione della prestazione rispetto al curare: significa che non si vedono più persone, ma casi clinici, o peggio codici, se ragioniamo in termini di DRG. La conseguenza, la si legge tutti i giorni sui giornali: l’aumento dei contenziosi dovuto all’allontanamento da quell’obiettivo di umanizzazione, parte integrante della tutela della salute.
Il modello si porta dietro altre criticità tutte da valutare: il venire meno del concetto di responsabilità diretta può avvantaggiare le zone d’ombra in cui anche l’esercizio abusivo potrebbe, per assurdo, trovare uno spazio di legittimità. Altra criticità, è la promozione della pubblicità rispetto all’informazione (evidente, ad esempio, come stia diventando sempre più difficile distinguere tra campagne di promozione e prevenzione), e così via. Per farla breve si parla di un modello commerciale alla ricerca della propria legittimità giuridica.
Proprio sul piano giuridico, arrivando alla proposta del nuovo profilo professionale, nascono le perplessità. Da precisare: sul piano giuridico, ossia tutt’altra cosa rispetto a quello culturale. Da questo punto di vista sono importanti la promozione e una ricerca di uniformità di preparazione per gli assistenti. Succede già per altre figure ausiliarie con scuole a loro dedicate, che possono essere prese a modello.
Tornando al piano giuridico, e alla proposta di profilo professionale (già di per sé termine interpretabile, perché a metà tra figura professionale e profilo sanitario), è stato chiarito che la proposta non è quella di un profilo sanitario (c.d. laurea breve), bensì quella di un “operatore di interesse sanitario” (ex legge 1 febbraio 2006 n. 43 art. 1 c. 2), figura che ben si conosce esistendo già in Lombardia (è infatti di competenza regionale sia l’individuazione sia la formazione del profilo). Una figura (le c.d. OOSS di cui sarebbe interessante approfondire il profilo giuridico quanto a mansioni che responsabilità) che rientra nei requisiti obbligatori delle strutture da convenzionare con il SSR.
Delle strutture, attenzione, non degli studi monoprofessionali. Infatti, l’istituzione di un profilo professionale con un percorso formativo obbligatorio nell’ambito di un rapporto di dipendenza in uno studio professionale sarebbe un unicum nell’ordinamento giuridico, senz’altri esempi. L’innovazione potrebbe comportare una profonda modifica della natura giuridica dello studio, che diverrebbe quindi struttura, perdendo il riferimento tradizionale che sempre lo identifica con la figura del libero professionista iscritto all’albo di una professione intellettuale.
La questione è intricata, però evidenzia un problema di fondo, sempre più urgente, della distinzione tra strutture e studi monoprofessionali, posto che in ambito sanitario li si voglia far sopravvivere. L’occasione potrebbe essere la doverosa unificazione dei criteri autorizzativi regionali.
Occorre pertanto approfondire la riflessione sulle conseguenze dirette e indirette che l’istituzione di tale profilo potrebbe comportare. Una riflessione serena in cui siamo i primi ad auspicare la crescita culturale di una figura che è stata e sarà sempre di fondamentale ausilio per gli odontoiatri.

 

L'articolo è stato pubblicato sul numero 2 di Dental Tribune 2013 Italy

 

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