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Fra le novità più rilevanti introdotte dalla L. 8 Marzo 2017, n. 24 in materia di responsabilità professionale degli esercenti la professione sanitaria vi è senz’altro l’azione di rivalsa che la struttura sanitaria privata, condannata a risarcire il danno al paziente, può esercitare sul professionista collaboratore resosi materialmente responsabile dell’inadempimento.
Disciplinata dall’art. 9 di detta legge, l’azione può essere esercitata avanti al giudice ordinario, solo se la condotta del professionista sanitario sia stata caratterizzata da dolo o colpa grave. Qualora egli non sia stato direttamente convenuto dal paziente nel giudizio risarcitorio – e sia stata chiamata in causa, dunque, soltanto la struttura in cui opera – l’azione può essere esercitata dalla stessa entro 1 anno dal pagamento, a pena di decadenza. Inoltre, sempre nel caso in cui il collaboratore non sia stato parte del giudizio risarcitorio, la decisione pronunciata dal Giudice non fa stato nel giudizio di rivalsa né può essere opposta al professionista l’eventuale transazione raggiunta fra struttura e paziente.
L’azione si fonda, dunque, sul diritto riconosciuto a ciascun corresponsabile di un evento dannoso di rivalersi sugli altri secondo la ripartizione interna delle rispettive responsabilità. In tal senso occorre tenere presente che, se è vero che la struttura non può trasferire integralmente sui propri collaboratori il rischio dell’attività d’impresa, è altrettanto vero che misura e natura della rivalsa sul collaboratore possono essere oggetto di apposita disciplina in caso di condanna al risarcimento in capo alla struttura.
Perché, dunque, non ragionare in questi termini in sede di redazione del contratto di collaborazione professionale? Potrebbe essere, infatti, questa la sede in cui definire in maniera circostanziata, ad esempio, quali siano le condotte del collaboratore in presenza delle quali si deve ritenere ricorrente la “colpa grave” posta dalla norma per potere la struttura rivalersi verso il professionista.
In tal senso, potrebbero essere considerati rilevanti non solo le gravi inadempienze del sanitario sotto il profilo clinico ma anche, ad esempio, quelle di carattere organizzativo (tenuta della cartella clinica, modalità di informazione e raccolta del consenso del paziente ecc.).
Ancora una volta, dunque, il contratto di collaborazione se correttamente e oculatamente redatto, può semplificare la disciplina dei rapporti fra struttura sanitaria e collaboratore in un settore dove può risultare opportuno chiarire sin da subito che cosa debba intendersi come “colpa grave” e quali condotte del sanitario debbano ritenersi rientrare nella categoria, per, evidentemente, semplificare e rendere più fluidi i rapporti di collaborazione professionale.
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