Philadelphia. Una nuova ricerca del Monell Chemical Senses Center e della Perelman School of Medicine (Università della Pennsylvania) dice che si potrebbe utilizzare un semplice test di assaggio per prevedere quale sarà l’esito della chirurgia del seno. I ricercatori hanno identificato un biomarcatore genetico ‒ un recettore del sapore amaro ‒ che fa intravvedere quale sarà l’esito post-chirurgico in pazienti affetti da sinusite cronica.
La sinusite cronica (CRS) colpisce più di 35 milioni di americani e rappresenta ogni anno 1/5 delle prescrizioni di antibiotici per adulti. Non traendo alcun vantaggio dall’uso di antibiotici o altri farmaci, ogni anno oltre mezzo milione di malati sceglie di sottoporsi ad intervento chirurgico del seno.
«È un intervento chirurgico frequente, perché porta sollievo alla stragrande maggioranza dei malati di sinusite, ma non si è ancora capito perché alcune persone hanno un modesto miglioramento, mentre in altri è eccezionale» dice Nithin D. Adappa, assistente professore di Chirugia presso la Scuola di Medicina di Perelman e principale autore dello studio. «Se si potesse prevedere il miglioramento per ogni individuo basandoci su una diversità genetica innata, ciò contribuirebbe a far nascere aspettative realistiche nei pazienti sull’esito dell’intervento quindi sarebbe un fattore importante nel decidere se farlo oppure no».
Il biomarcatore genetico che i ricercatori hanno esaminato è il T2R38, recettore del gusto amaro. Il gruppo di ricerca aveva già dimostrato che si trova anche nelle vie aeree superiori, dove agisce a difesa dalle infezioni batteriche. «Grazie ad un precedente lavoro siamo giunti alla conclusione che chi ha qualche differenza genetica innata del ricettore T2R38, potrebbe essere meglio predisposto ad affrontare le infezioni respiratorie» dice Noam Cohen, Professore Associato di Chirurgia della testa e del collo a Medicina. «Di qui il quesito: se tale differenza genetica in grado di combattere l’infezione sia correlata al miglioramento dopo l’intervento. In realtà, è proprio quello che abbiamo scoperto».
La ricerca ha preso in esame 123 pazienti affetti da CRS che non avevano risposto alla terapia medica convenzionale, scegliendo invece di sottoporsi ad intervento chirurgico endoscopico funzionale del seno. La presenza del biomarcatore T2R38 è stata geneticamente determinata attraverso il sequenziamento standard del DNA ed i pazienti invitati ad “assaggiare” un composto chimico chiamato phenylthiocarbamide (PTC) riferendo le loro sensazioni. Quelli in possesso del biomarcatore con variante genetica, hanno trovato la soluzione amara e sgradevole, quelli senza la variante generata dal recettore T2R38 spesso non distinguevano la PTC dall’acqua.
I ricercatori hanno esaminato il miglioramento del paziente, tre e sei mesi dopo l’intervento chirurgico utilizzando il risultato del test sino-nasale, una scala comunemente usata per misurare i sintomi nasali e generali di salute legati alla qualità di vita. I pazienti più sensibili al PTC ‒ e di conseguenza al gusto amaro ‒ hanno segnalato nei sei mesi seguenti l’intervento una respirazione più facile attraverso il naso, meno infezioni e sonni più profondi rispetto a quelli meno sensibili.
«Lo stesso recettore dell’amaro che risponde al sapore amaro in bocca risponde anche alle sostanze secrete dai batteri nelle vie aeree. Questo incremento immunitario può aiutare le persone più sensibili all’amaro verso la guarigione e a sentirsi meglio nella fase post-operatoria» dice Danielle Reed, genetista comportamentale di Monell e coautore della ricerca.
«Il prossimo passo sarà chiedere a altri otorinolaringoiatri di correlare i risultati chirurgici della sequenza DNA del T2R38 e/o delle prove di assaggio dell’amaro, per confermare i risultati e determinare se questo effetto si verifica in pazienti di varie aree geografiche, così come in altri gruppi razziali ed etnici, dato che i nostri erano per lo più americani di origine europea» sottolinea Adappa.
Intitolato “TAS2R38 genotype predicts surgical outcome in nonpolypoid chronic rhinosinusitis”, lo studio è stato pubblicato online prima di andare in stampa il 12 novembre 2015, sull’International Forum of Allergy & Rhinology.
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