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La medicina migliore? Il rapporto medico-paziente

Foto: Notes (stock.xchng).
La Stampa

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gio. 6 dicembre 2012

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Un buon rapporto tra medico e paziente, basato soprattutto sulla fiducia e l’empatia può, al pari di una buona medicina, combattere dolore, senso di malessere e lo stress dei pazienti.

Succede quando i rapporti umani acquistano un valore in più, rispetto al semplice buttare giù una pastiglia.
Come una sorta di effetto placebo vivo, il rapporto medico/paziente può in molti casi fare la differenza – e ridurre il ricorso ai farmaci e anche agli esami clinici, quando tutti questi non siano necessari.

La capacità quindi di creare un rapporto di fiducia da parte del medico, e allo stesso tempo la capacità di essere empatici può trasformarsi in una medicina capace di lenire, senza effetti collaterali, dolore, senso di malessere e stress. I medici che sanno pertanto ascoltare, essere più interessati ai propri assistiti hanno una marcia in più.
"Questo è il primo studio ad aver preso in esame una relazione con al centro il paziente, da un punto di vista neurobiologico – spiega nella nota Michigan il dottor Issidoros Sarinopoulos, professore di radiologia presso la Michigan State University – E’ importante per i medici e gli altri che sostengono questo tipo di rapporto con il paziente dimostrare che esiste una base biologica".

I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Patient Education and Counseling e mostrano le reali differenze provocate da un diverso tipo di rapporto tra medico e paziente. Nello studio, infatti, i ricercatori hanno coinvolto un gruppo di volontari che sono stati assegnati a caso a due diversi tipi di colloquio con un medico prima di sottoporsi a una risonanza magnetica.
Gli appartenenti al primo gruppo, quando si sono recati dal medico sono stati da lui informati circa il tipo di esame cui si sarebbero sottoposti; hanno poi affrontato insieme i possibili dubbi e preoccupazioni circa la procedura. Sono anche state poste loro delle domande aperte con cui potevano parlare liberamente di sé e delle proprie preoccupazioni, del proprio stato salute eccetera.
Gli appartenenti al secondo gruppo sono invece stati solo informati su dettagli tecnici riguardanti l’esame clinico e sono state poste loro domande riguardanti unicamente la propria storia clinica e quali farmaci stavano assumendo.

Al termine di questa prima fase, i partecipanti sono stati invitati a compilare un questionario per valutare il grado di fiducia riposta nel medico. Come previsto, i volontari appartenenti al gruppo che aveva parlato di più con il medico riportavano una maggiore soddisfazione e fiducia nel proprio medico, rispetto ai soggetti del secondo gruppo.
Una seconda fase, che prevedeva la misurazione delle risposte cerebrali a uno stimolo dato per mezzo di lievi scosse elettriche, e misurato tramite la MRI (la risonanza magnetica per immagini), ha mostrato che i pazienti del primo gruppo quando avevano modo di vedere un’immagine del proprio medico reagivano in misura minore – mostrando una ridotta attività nella regione del cervello anteriore detta “insula”. Questi stessi partecipanti hanno segnalato di sentire meno dolore, rispetto al gruppo di controllo.

"Abbiamo bisogno di condurre ulteriori ricerche per comprendere questo meccanismo – sottolinea Sarinopoulos – Ma questo è un buon primo passo che mette un po’ di peso scientifico dietro i casi di empatia con i pazienti, il conoscerli e costruire la fiducia".
In linea generale, ciò che si è evidenziato in questo studio è una migliore risposta agli stress, come quelli che possono essere ingenerati da un esame clinico complesso. Allo stesso tempo, si è mostrato come anche la percezione del dolore fosse ridotta nel caso dei pazienti che avevano un più profondo rapporto con il proprio medico.

 

Fonte: www.lastampa.it

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