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La Dirigenza ANDI a Cernobbio per scrutare assieme agli esperti l’orizzonte della professione odontoiatrica

F. Di Mare, G Prada e A Codazzi.
m.boc

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lun. 16 maggio 2016

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Che il WEO (Workshop di Economia in Odontoiatria) dell’ANDI a Cernobbio stia diventando quasi una tradizione lo ha constatato compiaciuto il presidente Gianfranco Prada, sabato mattina, osservando la folta platea nell’Auditorium di Villa d’Este, ansiosa di sentire, dalla voce di alcuni bei nomi, dove stia andando una società come l’italiana, avviata ad un inesorabile invecchiamento.

Tutti ansiosi ovviamente di arrivare al dunque: che cosa ne sarà della futura Odontoiatria? Quali gli scenari possibili? Interrogativi che più stavano a cuore all’uditorio formato in pratica dai responsabili locali dell’ANDI, Consiglio Direttivo in testa, e di molti esponenti ordinistici. In tutto, circa 200 persone, e quindi sala piena.

Invecchiamento o “ageing” che fa più fine, vuol dire come annunciava il programma, “analizzare lo stato attuale della professione caratterizzato dalla necessità di prolungare il periodo di attività lavorativa” senza mettere in crisi il cosiddetto patto generazionale, ossia il passaggio del testimone dall’anziano professionista (ma quando si diventa anziani?) al giovane, che scalpita, desideroso di emergere. Una sintesi immediata, prima ancora che i relatori parlassero, è stata avanzata da Franco Di Mare, giornalista tv arguto coordinatore del workshop, citando la frasetta che bisogna “cambiare o perire”.

Se non si coglie infatti il mutamento precipitoso dei tempi, l’evolversi delle esigenze, ma soprattutto, se non ci si reinventa, si rischia grosso. Ne sanno qualcosa i 270 mila avvocati italiani la cui attività professionale è stata depauperata dalla pletora (mal comune con i dentisti!) e da provvedimenti legislativi “sottrattivi” (es. mediazione). I notai resistono, ma ormai non vi è categoria che non sia a rischio di veder mutare le regole economiche o giuridiche del gioco con conseguenze (di ruolo e reddito) anche pesanti. Basti pensare alla fine di migliaia di mediatori falcidiati dalla crisi del mercato immobiliare.

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Per fare un esempio pratico di come si può, anzi si deve essere pronti a reinventarsi Di Mare ha richiamato l’esempio del gestore di un locale pubblico d’Israele che dopo aver rischiato il fallimento in seguito alla costruzione del muro a fianco del locale, lo ha trasformato in un luogo alla moda, grazie agli affreschi su quello stesso muro. I revival ci sono, basta trovarli. L’analisi dettagliata dell’ageing (o shrinking) society è stata compiuta da Fausto Colombo, Ordinario di Teoria della Comunicazione alla Cattolica di Milano, che dopo aver sottolineato l’“elasticità” del termine anziano e aver ricordato esserci in Italia oltre 13 milioni di over 65 (di cui circa la metà “senior adulti” o meglio “giovani anziani”), ha evocato il dilemma proposto da Youth, recente film di successo: “Smettere o continuare”?. Sempreché ovviamente sussistano le condizioni, necessarie e sufficienti, per invecchiare bene e senza comunque tradire le aspettative della nuova generazione, visto che “la terra appartiene alla generazione dei viventi” e che nessun diritto di un anziano oggi può essere esercitato a scapito delle generazioni future.

Dopo aver sottolineato (prof. Maurizio Memo) che ai “neuroni piace lavorare indipendentemente dall’età”, che l’età biologica deve essere sempre inferiore a quella anagrafica e che l’ambiente di lavoro può incidere in maniera molto positiva sulla vita di un individuo, Francesco Verbaro, della Scuola Superiore di Amministrazione, ha interpretato efficacemente l’assoluta necessità di adeguarsi all’evolversi frenetico dei tempi e delle tecnologie, con un breve filmato, quasi comico, in cui si vede una squadra di meccanici indaffarati attorno ad un’auto da corsa in una sosta di gara nel 1950 e la stessa scena 63 anni dopo tratta dal Gran Premio d’Australia.

Nel cuore della “questione odontoiatrica” sono entrati infine Mario Del Vecchio (Università di Firenze) ma ancor più Maurizio Quaranta, vice presidente ADDE che, con la consueta efficacia derivantegli da una visione teorica corroborata da lunga esperienze pratiche, ha parlato soprattutto di studi monoprofessionali, evocando, senza troppi giri di parole come suo costume, il rischio derivante dal non volere (o sapere) programmarne la cessione per tempo. Le soluzioni da lui consigliate per un “atterraggio morbido” verso la quiescenza, variamente intesa? Creare uno staff in grado di procedere autonomamente al momento in cui “si lascia” oppure mettersi a fianco per tempo, un giovane, “coltivandolo” fino a quando potrà subentrare senza traumi. Aspettare può essere assai costoso, non solo in termini economici, ma anche psicologici.

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