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Intervista ad Arnaldo Castellucci

Il dott. Arnaldo Castellucci durante il suo intervento all'Opinion Leader Meeting del Simit Club.
P. Gatto

P. Gatto

gio. 22 giugno 2017

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A Mantova, nel corso dell’Opinion Leader Meeting del Simit Club dedicato all’endodonzia, abbiamo rivolto alcune domande ad Arnaldo Castellucci, 40 anni di pratica come endodontista, uno dei massimi esponenti al mondo che ancora oggi continua nella ricerca e sviluppo di protocolli e nuovi strumenti.

Endodonzia di ieri e di oggi. Che cosa è cambiato?
Negli ultimi 15-20 anni abbiamo assistito a delle vere e proprie rivoluzioni in endodonzia, come forse in nessun altro campo dell’odontoiatria. Basti pensare ai localizzatori apicali, strumenti estremamente affidabili che ci consentono di lavorare con grande precisione, risparmiando ai pazienti inutili dosi di radiazioni; o agli strumenti rotanti in nichel-titanio, che eseguono per noi delle sagomature precise, riproducibili e minimamente invasive; al microscopio operatorio, che ci consente di risolvere casi complessi che anni fa erano destinati o alla chirurgia o all’estrazione; o ancora ai materiali biocompatibili come le bioceramiche, che hanno dimostrato di essere molto affidabili e promettenti per il prossimo futuro; e infine alla possibilità di eseguire esami radiografici tridimensionali con la cone beam computed tomography. Con questo esame oggi l’anatomia endodontica non ha più segreti e non dobbiamo più provare a indovinarla. Il dente può essere esaminato con proiezioni impossibili da ottenere con il classico esame radiografico bidimensionale.

Quanto l’evoluzione strumentale può aiutare il clinico?
Oggi per il clinico è molto più facile eseguire corretti trattamenti endodontici se fa uso di tutto quello che la nuova tecnologia gli ha messo a disposizione. È quello che dico ogni volta ai miei studenti. Una volta fatta una corretta diagnosi e impostato un corretto piano di trattamento, oggi è quasi impossibile cadere negli errori che facevamo anni fa. Una volta superata l’unica difficoltà ancora oggi esistente, il primo sondaggio manuale del canale radicolare, e una volta che si è accertata l’esistenza del sentiero di percorribilità,cioè l’assenza di ostacoli o gradini e la presenza della parete canalare liscia (il famoso glide path), a quel punto anche il neolaureato privo di esperienza può ottenere ottimi risultati, perché la perfetta sagomatura viene eseguita per lui dagli strumenti in nichel-titanio. Ovviamente, questi da soli non fanno miracoli e non sono esenti da rischi, quali la frattura, ma una buona conoscenza dei loro limiti e della giusta sequenza da seguire mette tutti al riparo da qualsiasi frustante incidente.

Parliamo del nuovo strumento, presentato a Colonia e disponibile da giugno in Italia: il nuovo WaveOne GOLD Glider, da lei stesso disegnato. «Non è oro ma vale oro», ha dichiarato nella sua relazione.
È vero e confermo quello che ho affermato a Mantova. Questo strumento fa parte della famiglia degli strumenti in nichel-titanio che hanno rappresentato e rappresentano la più grande rivoluzione endodontica degli ultimi 10 anni. Parlo dei PathFile, poi del ProGlider e ultimo nato il WaveOne Glider. Questi strumenti ci hanno permesso di dire addio agli strumenti manuali in acciaio e quindi addio a tutti gli errori che il loro utilizzo comportava: gradini, false strade, intasamenti. Ne è rimasto solo uno e a questo non è possibile rinunciare se vogliamo lavorare in tutta tranquillità.

Alludo al primo strumento con cui esploriamo e sondiamo il canale. Alludo all’unica difficoltà rimasta anche nelle mani dell’esperto. Alludo alla prima lima in acciaio precurvata con la quale andiamo ad esplorare l’anatomia che abbiamo davanti. La lima manuale in acciaio .08 o .10. Oggi c’è qualche temerario che dice che anche questo non è più necessario. Invito a non dare retta a questa voce che vuole semplificare troppo. È a mio parere estremamente rischioso entrare in un canale radicolare con qualsiasi strumento rotante o reciprocante senza prima avere sondato il canale (e questo si fa con l’acciaio precurvato) ed essersi accertati dell’esistenza del sentiero di percorribilità. Dal 2008 tale sentiero non si allarga più con l’acciaio manuale ma lo si fa con gli strumenti rotanti in nichel-titanio appositamente disegnati per questo scopo. Dal 2011 agli strumenti rotanti si sono affiancati quelli reciprocanti, e per venire incontro ai loro utilizzatori, è stato disegnato e creato lo strumento reciprocante per allargare l’esistente glide path: WaveOne Glold Glider. Questo consente agli utilizzatori dei reciprocanti di non cambiare il settaggio del loro motore, ma di iniziare e terminare la loro sagomatura dopo aver impostato il motore su tale movimento.

La scelta del colore oro da cosa deriva?
Il colore oro deriva dal ciclo di riscaldamento e raffreddamento che lo strumento (già scolpito da sofisticate lame guidate da sofisticati computer) ha subito. A questo colore oro si accompagna una aumentata resistenza alla fatica ciclica (aumentata del 50%) e una aumentata elasticità (accresciuta dell’80%). Tali strumenti della serie Gold si adattano a qualsiasi anatomia e secondo il mio parere trovano la loro migliore indicazione nei ritrattamenti, quando cioè si rende necessario usare strumenti precurvati. Mentre non è facile precurvare i classici strumenti in nichel-titanio, è estremamente facile precurvare gli strumenti Gold grazie alla loro aumentata elasticità.

Quali sono le caratteristiche di questo nuovo strumento?
Le principali caratteristiche sono rappresentate dalla maggiore resistenza e maggiore elasticità. Questo rende di più facile esecuzione il trattamento di anatomie complesse e dei ritrattamenti.

Che cosa ne pensa dell’uso della CTBC e dei software 3D relativamente alla scelta del piano di trattamento? Il collega Shanon Patel sostiene che può addirittura, rispetto alla diagnosi radiologica 2D, cambiare il piano di cura, salvo gli insuccessi maggiori qualora non si conoscano bene le tecniche.
Sono perfettamente d’accordo con il collega inglese Shanon Patel e sono molto felice di avere installato anche nel mio studio tale apparecchio. Mi è servito in più di un’occasione per modificare il piano di trattamento o per scoprire l’esistenza di una radiotrasparenza di natura endodontica non evidenziata dall’esame radiografico endorale classico, bidimensionale. Spero che un giorno diventi lo standard of care, come sta per diventare negli Stati Uniti d’America. Ovviamente non va usato in modo indiscriminato, ma solo nei casi di vera necessità o quando sopravvengono dei dubbi. Di recente stavo lavorando su un incisivo inferiore dal canale completamente calcificato nei due terzi coronale e medio. Stavo cercando la pervietà del canale sotto microscopio e con sottili punte da ultrasuoni, senza riuscire a trovarlo. Ho tolto la diga e l’uncino, ho chiuso provvisoriamente la camera pulpare e ho fatto un esame CBCT. A quel punto trovare il canale nella giusta direzione è stato questione di secondi.

Si parla anche di partire dal progetto del restauro protesico già in fase diagnostica. Cosa ne pensa?
Penso che sia giustissimo, anche se sinceramente la cosa non mi riguarda molto da vicino. Io infatti esercito la sola endodonzia da circa 40 anni e lavoro su pazienti inviatimi da un altro professionista. Ho però una piccola percentuale di pazienti che vengono da soli e che chiedono che anche il restauro venga eseguito nel mio studio. Per questi pazienti ho un validissimo collaboratore, il dott. Matteo Papaleoni, e insieme a lui discuto e preparo il piano di trattamento restaurativo-protesico già in fase diagnostica. Prima di innamorarmi dell’endodonzia, infatti, ho esercitato l’odontoiatria generica per quattro anni, facendo un po’ di tutto, comprese la restaurativa e la protesi. Anche se sono passati molti anni, i principi base li ho chiari in mente.

Davvero nel futuro grazie al lavoro degli endodontisti si metteranno sempre meno impianti?
È esattamente quello che mi auguro per la salute dei pazienti. Ero a Parigi circa due mesi fa invitato a parlare di endodonzia nell’ambito di un congresso di implantologi venuti da tutto il mondo. Anche se sapevo che avrei parlato nella seconda giornata, ho assistito a tutte le varie conferenze dei relatori che hanno parlato prima di me. Confesso che era la prima volta che partecipavo a un simile congresso ed era la prima volta che sentivo parlare del problema molto attuale che riguarda gli impianti: le perimplantiti. Non lo sapevo, ma pare che dopo 5-10 anni tale complicazione si manifesti nel 45% dei casi circa. Al che ho esordito dicendo che se la mia endodonzia dopo 5-10 anni avesse avuto tale complicazione in una simile percentuale, avrei sicuramente cambiato specialità. E ho anche concluso dicendo: «Cari implantologi, vi do una buona notizia. Ho con me la soluzione per eliminare le perimplantiti. Basta fare meno impianti».

Grazie dell’intervista e complimenti anche per le sue capacità oratorie, “condite” da una simpatica ironia fiorentina. 

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