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Impianti oggi: quali, da chi e quando?

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M. Labanca

M. Labanca

ven. 11 marzo 2016

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Vorrei condividere con i lettori alcune brevi considerazioni, dettate dalla lunga militanza in prima linea come operatore, consulente e a volte relatore. Nel mondo, su un argomento scottante come il dolore esiste una sola associazione che se ne occupi, la IASP. Le altre in giro per il mondo, e solo alcune, ne sono solo referenti.

Per quanto riguarda l’implantologia, esistono invece nel mondo un quantitativo di associazioni a dir poco imbarazzante, tanto che spesso diventa difficile pensare che le stesse siano state create davvero per nobili scopi scientifici e non piuttosto per vanagloria personale o per accondiscendenti nepotismi.
Tutto ciò premesso, si assiste innegabilmente a una degenerazione del fenomeno implantologico che mal si coniuga con questa ridondanza di associazioni scientifiche.

Che cosa fanno queste ultime? Utilizzano i loro eventi scientifici per fare davvero il punto sulla situazione, per davvero educare i giovani a una consapevole scelta del loro percorso professionale e a realmente condividere conoscenza e sapere?
Nella mia attività professionale ho sempre cercato di selezionare impianti che fossero sufficientemente validati, al fine di poter dare al mio paziente, prima ancora che per un obbligo legale di mezzi, la certezza etica di aver scelto in scienza e coscienza ciò che di meglio potessi reperire sul mercato (potremmo estendere lo stesso discorso ovviamente al filo di sutura, all’anestetico, ecc.), anche ai fini di una opportuna garanzia di durata del lavoro da me eseguito. Lo stesso dicasi per tecniche chirurgiche proposte, che ho cercato di mutuare da quanto realmente accreditato nel mondo scientifico internazionale, e non solo in relazione a qualche moda passeggera, a qualche opinione personale o qualche trovata pubblicitaria di una sapiente combinazione azienda/clinico. Il nostro paziente vuole garanzie e certezze, e ci dà dei soldi nell’affidarci la sua salute. Non possiamo tradire la sua fiducia, le sue aspettative e i suoi investimenti con scelte men che etiche, se non a rischio di farci correi di quel decadimento della nostra professione.

Impianti cloni acquistati ovunque, spesso in titanio industriale, perni monconi calcinabili pur di risparmiare qualche euro rispetto ai preformati (con il conseguente rischio di rotture di impianti, per esempio), procedure post estrattive con carico immediato solo per compiacere le richieste del paziente o per poter fare cassa in tempi più brevi senza alcuna verifica (quanti di questi operatori usano l’ISQ per verificare la stabilità primaria ad esempio?), sono solo alcuni dei molti drammatici esempi che sono sotto gli occhi di tutti.

Ordini professionali e società scientifiche si spera allora vogliano e possano esercitare adeguatamente il proprio compito, sensibilizzando l’opinione pubblica con campagne rivolte ai pazienti per una maggiore attenzione verso ciò che ricevono («Signor paziente, a cui è stato proposto un impianto, verifichi che impianto è, come si chiama, se esiste la possibilità per lei un domani di ricevere assistenza anche presso altre strutture!»).

E che si facciano interpreti, tramite i loro presidenti e comitati etici e scientifici, presso i loro associati per una maggiore attenzione e rigorosità nel quotidiano operare. Ricordiamoci che se vogliamo essere considerati medici davvero, come tali dobbiamo operare secondo la regola del primum non nocere. Altrimenti a nulla servirà poi lamentarci quando sarà ormai troppo tardi.

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