DT News - Italy - Se il dentista commette un danno quando (e quanto) deve risarcire?

Search Dental Tribune

Se il dentista commette un danno quando (e quanto) deve risarcire?

Enrico Angesia

Enrico Angesia

gio. 20 febbraio 2014

salvare

Dietro l’espressione «risarcimento del danno», nella prassi giudiziaria si cela un microcosmo giuridico che, a rigore, è un qualcosa d’“altro” rispetto alla responsabilità professionale in senso stretto.

Primo punto è la distinzione, sottile, ma frequente, tra “danno-evento” e “danno-conseguenza”. Il primo, il “danno-evento”, è la lesione, nuda e cruda, arrecata al paziente dall’errore medico: ad esempio, si è estratto il dente sbagliato o si è procurata un’infezione. Il secondo, invece, il “danno-conseguenza”, è l’insieme delle conseguenze lesive che ne discendono. Noi tratteremo questo secondo caso.

Innanzitutto, una nota positiva: non esiste nell’ordinamento il cosiddetto “risarcimento punitivo”. In altri ordinamenti (Common law e negli USA in particolare) una volta che il giudice ha stimato un danno gli è anche data facoltà di aggiungere una sanzione: se il professionista deve risarcire al cliente 10, viene condannato a risarcire 15, per punirlo e dare un monito (general-preventivo) agli altri professionisti. Questo risarcimento “punitivo”, tipico della responsabilità extra-contrattuale (ad esempio penale). seppur raramente viene applicato anche dinanzi alla responsabilità contrattuale con il punitive (negli USA) o exemplary damage (nel Regno Unito).

L’entrata in vigore del decreto legge “Balduzzi” sulla “Responsabilità professionale dell’esercente le professioni sanitarie” (art. 3, comma 1) ha introdotto un riferimento all’art. 2043, norma cardine della responsabilità extra-contrattuale, che sembrerebbe far rientrare la responsabilità dell’operatore sanitario nella sfera aquiliana (o extra-contrattuale). Il dentista che commette un errore può star certo, tuttavia, di non dover subire la “gogna” di un obolo ulteriore a titolo di punitive damage, perché la Cassazione, nella sentenza 1183/2007, ha stabilito essere in contrasto con l’ordine pubblico interno.

Scampato tale pericolo, ci si potrebbe chiedere se la catena dei “danni-conseguenza”, cui un sanitario potrebbe essere chiamato a rispondere, sia potenzialmente infinita (come vorrebbe, spesso, il paziente danneggiato) o no. La risposta, anche in questo caso, è favorevole al professionista, per via di due cardini giuridici, che pongono un limite al “danno-conseguenza”: una conseguenza è risarcibile, se in astratto mediamente prevedibile «al momento in cui l’obbligazione è sorta» (art. 1225 c.c.). Il risultato pratico della norma, di fondamento incerto, è escludere dai danni risarcibili quelli di portata straordinaria rispetto all’evento lesivo, che il dentista non era in grado di valutare prima dell’inadempimento. La giurisprudenza parla di “regolarità causale”: quindi non i danni inusuali ma quelli discendenti da un fatto normalmente adeguato a produrlo.

Tornando all’espressione «al momento in cui l’obbligazione è sorta» ossia al tempo in cui dev’essere effettuato il giudizio di prevedibilità, se un dentista ha fatto un preventivo di cura con quattro sessioni a un mese l’una dall’altra e se tale preventivo viene accettato, ma l’errore è commesso in occasione del terzo intervento, qual è il momento in cui l’obbligazione è sorta? Oggi oppure tra tre mesi? Tende a farsi strada l’interpretazione antiletterale per cui si deve fare riferimento non al momento della costituzione del rapporto contrattuale, ma a quello dell’esecuzione.

Una volta messi questi “paletti”, il dentista può eccepire che, se il cliente si fosse comportato correttamente dopo il sinistro, alcuni aspetti pregiudizievoli si sarebbero potuti evitare. Secondo l’art. 1227, comma 2, c.c.: il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare con l’ordinaria diligenza. Il contegno del danneggiato non ha certo contribuito alla causa ma ha comunque prodotto un aggravamento del danno.

Il principio è eccezionalmente ribadito dal citato comma 1 dell’art. 3: «Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo», ossia quella tenuta dall’esercente la professione sanitaria che si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. È presto, però, per cantar vittoria, perché il principio va coordinato con quello costituzionale di libertà del soggetto di non sottoporsi a trattamenti sanitari se non per disposizione di legge (art. 32, comma 2, Cost.).

Il dentista, quindi, difficilmente potrebbe pretendere di non risarcire il danno che il paziente avrebbe potuto evitare mediante interventi chirurgici, l’adozione di protesi, ecc. Inoltre, il dentista non può dedurre dal risarcimento dovuto quanto il paziente riceva da assicurazioni pubbliche e private. Tale indennizzo, infatti, ha una fonte – il rapporto assicurativo o previdenziale di cui l’episodio colposo è “una” condizione per l’attribuzione – diversa da cui deriva il risarcimento.

Una volta superati questi filtri, i danni-conseguenza “superstiti” si possono dividere in 2 gruppi (a loro volta suscettibili di suddistinzioni). A livello sistematico, la materia si è assestata solo di recente, dopo le sentenze della Suprema Corte (11 novembre 2008) che distingue il danno non patrimoniale in biologico, morale, esistenziale. Il primo è la lesione all’integrità fisio-psichica di un soggetto, tutelata dagli artt. 2 e (soprattutto) 32 della Costituzione, distinto a sua volta in due diverse tipologie: «invalidità permanente» («micropermanente», se il punteggio percentuale è fino al 9%, «macropermanente», se si va oltre tale punteggio e, dunque, dal 10% fino al 100% di invalidità) e «inabilità biologica temporanea».

Con il danno morale (pecunia doloris) si tende a riparare il pregiudizio che una persona ha subito per la violazione della dignità, la cosiddetta «dignità umana» (art. 2 Cost.) nonché da fonti extra-nazionali. Comprende sostanzialmente due aspetti: l’afflizione (ossia lo spavento, lo scoramento) che colpisce l’animo del paziente resosi consapevole dell’errore dentistico. Secondariamente, vi è il dolore fisico passeggero prodotto, per esempio per una fastidiosa infezione. In presenza di colpa medica il giudice non può meccanicamente riconoscere all’infortunato il risarcimento del danno morale, essendo egli tenuto a provare le circostanze negative prodottesi a seguito della di prostrazione e/o del dolore fisico.

Quanto al danno esistenziale, si tratta della proiezione “dinamica” della menomazione fisio-psichica su diritti costituzionali. Esempio, se una persona perde l’uso della parola per errore medico, potrà essere danneggiato il suo rapporto parentale con la famiglia (vedi art. 29 Cost.) Dato che la sfera del “danno-conseguenza” è alquanto frastagliata, il consiglio è di verificare che la propria polizza professionale sia atta a coprire tutte le varie fattispecie di danno, patrimoniale e non.

La vera novità, in materia di danno non patrimoniale, però, è rappresentata dall’ art. 3 del decreto legge “Balduzzi”, il cui comma 3 dispone che «il danno biologico conseguente all’attività dell’esercente della professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, eventualmente integrate con la procedura di cui al comma 1 del predetto articolo 138 e sulla base dei criteri di cui ai citati articoli, per tener conto delle fattispecie da esse non previste, afferenti all’attività di cui al presente articolo».

Il DL 7/9/2005 n. 209 cui fa riferimento l’articolo è il cosiddetto “Codice delle assicurazioni private” e gli artt. 138 “Danno biologico per lesioni di non lieve entità” e 139 “…per lesioni di lieve entità”, che però si occupano delle lesioni da circolazione dei veicoli a motore e dei natanti! Trapiantando la normativa al settore della colpa medica, ecco due buone notizie per i medici. Il legislatore con la legge 24/3/2012 n. 27 per le lesioni di lieve entità (vedi citato art. 138) ha ridotto lo spazio di emersione del danno biologico e nel maggio di quest’anno la Cassazione ha “compattato” il danno morale puro in quello non patrimoniale di cui all’art. 138 del Codice delle assicurazioni private.

To post a reply please login or register
advertisement
advertisement