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Il paziente ortodontico verso l’autodeterminazione

Patrizia Biancucci

Patrizia Biancucci

mar. 27 febbraio 2018

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Al Policlinico A. Gemelli di Roma alcuni nomi eccellenti dell’Ortodonzia italiana si sono confrontati il 27 gennaio scorso in una Tavola Rotonda ispirata dalla cosiddetta autodeterminazione del paziente ortodontico, riassumendo in una frase il quesito fondamentale: è possibile una terapia ortodontica senza diagnosi?

All’origine dell’incontro una robusta serie di sollecitazioni via internet rivolte al possibile paziente per convincerlo ad un rischioso “do it yourself” (fai da te), ossia a gestire in proprio il problema ortodontico, facendo a meno dello specialista, considerato praticamente superfluo grazie ad un kit ortodontico di (apparentemente) facile utilizzo. Potenza di internet, senza il quale non sarebbe concepibile questa rivoluzione copernicana per la quale non è più il dentista a gestire il rapporto col paziente, ma è lui stesso che si autoproclama medico, come in questo caso.

Sono due anni ormai che negli Stati Uniti sono in corso le vendite di allineatori trasparenti grazie a due diverse aziende denominate “Smile direct” o simili. La trafila ormai è collaudata. Per rilevare foto e impronte, al paziente viene fornito un kit di auto-documentazione e grazie all’assistenza di centri ad hoc per scansione elettronica delle arcate, alla casa produttrice vengono recapitati i records grazie ai quali il paziente riceverà a domicilio gli allineatori, corredati delle necessarie istruzioni per l’utilizzo. Morale? Basta un pc uno smartphone, una carta di credito e in un mercato che grazie ad internet non conosce ormai più frontiere che quindi può ben definirsi “globale” oggi si può comperare tutto da qualsiasi punto.

Secondo Giuseppe Fiorentino, presidente nazionale SIDO informazione e cultura possono costituire le sole valide risposte. «Noi non siamo gli estetisti del sorriso – dice – e l’informazione deve essere autorevole e certificata. Ma certamente questo non potrà bastare a sconfiggere il tipico e annoso problema dell’abusivismo né questa sua nuova e strisciante forma, che si nasconde sotto il “libero scambio delle merci” specifico della globalizzazione. Informazione e cultura devono condurre ad elevate professionalità di tutti gli “stakeholder”. Se ognuno farà bene la propria parte, la furbizia ed il malaffare dovranno cedere il passo al benessere per il quale lavora da sempre tutta la professione medica!».

Andando alla ricerca delle ragioni di questo fenomeno ci si imbatte in un capovolgimento che si potrebbe tradurre con “da un modello professional centric ad uno patient centric”. In parole povere a monte di tali fenomeni c’è il bisogno crescente dei pazienti di conquistare sulla propria salute una maggior capacità di controllo. Di qui il passaggio degli stessi pazienti a “parte attiva” della comunicazione medica, alla condivisione di informazioni più o meno dettagliate riguardanti sintomi, diagnosi e terapie.

Conoscenza, capacità e consapevolezza sono gli elementi alla base della cosiddetta “autodeterminazione del paziente” in relazione alla propria salute. Informato sui problemi che riguardano la propria salute, convinto di saper riconoscere i propri sintomi, il paziente – è stato detto “segue un processo di empowerment, che ha come risvolto positivo una maggiore attenzione alla prevenzione e alla cura”.

Il risultato è che da una statistica USA risalente al 2013 un individuo su 3 è in grado (o si ritiene tale) di farsi un’autodiagnosi e a fronte di un 41 per cento di pazienti che si trova d’accordo con il proprio medico si contrappone un 18 per cento che non lo è. «La novità, nell’attualità del rapporto con il web 2.0 – dice la prof.ssa Cristina Grippaudo, direttore della Scuola di Ortodonzia della Cattolica di Roma – è che il paziente interagisce in modo attivo nelle decisioni cliniche e elabora un processo di autodiagnosi. Questo passo può essere considerato positivo dal punto di vista del terapeuta, che per questo motivo potenzialmente vede aumentata la richiesta di intervento. Nel nostro campo l’ortodontista visita un paziente che ha consapevolezza di avere un problema, ed è meglio disposto a farsi curare».

Insomma il nocciolo della questione è calarsi in questo nuovo modo di comunicare, apprendendone l’uso per interagire con il paziente e contribuire a un miglior rapporto con lui. Considerando che per ricercare il curante si ricorre al web, strumento al top delle preferenze dei pazienti, occorre per aiutarlo in modo completo ed efficiente, che vengano investite risorse non solo nel privato ma anche nel pubblico. Come si pone l’ortodontista in questo nuovo frangente? Quale il suo compito? Quale dunque il compito? «Certamente non arroccarsi in posizioni anacronistiche ignorando quanto accade ‒ ha detto la prof. Gabriella Galluccio ‒ ma forse l’esatto contrario: essere presenti ed anzi essere negli eventi, giovandosi di tutto quanto la rapidissima crescita del digitale può offrire al miglioramento della professione. Presenti, in modo corretto e consapevole, nella rete, proprio là dove tutti (molti di noi compresi) cercano informazioni ed indicazioni».

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