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Il laser a Diodo non funziona come monoterapia. Caso clinico

Aspetto clinico iniziale. Si rileva un sondaggio di 9 mm sulla superficie linguale del secondo premolare mandibolare di destra.
M. Roncati

M. Roncati

mer. 4 marzo 2015

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Un titolo volutamente provocatorio, ma che esprime una valutazione di assoluto compendio sull’utilizzo del laser a diodo come monoterapia, vale a dire non associato a una congrua strumentazione parodontale non chirurgica. Il caso clinico in oggetto è particolarmente rappresentativo per chiarire tale premessa. Sull’aspetto mesiale del canino mandibolare di sinistra (Fig. 1) si osserva una profondità di sondaggio di 4 mm e un indice di sanguinamento positivo (BoP+).

Nella radiografia periapicale (Fig. 2) si evidenzia una radio-opacità sull’aspetto mesiale del canino, indicativa della presenza di depositi calcificati in sede sottogengivale, evidenziati dalla freccia all’interno del cerchio viola.
Si tratta, dunque, di una tasca parodontale che viene classificata come “lieve”1,2 e di un valore di sondaggio che merita un trattamento parodontale non chirurgico con una alta predicibilità di risultato, come universalmente accettato dalla letteratura evidenced based3,4. Per di più l’elemento dentale in questione è un monoradicolato, in sede anteriore, fattori che favorirebbero la prognosi del caso.
Il condizionale è d’obbligo in quanto il radiogramma della Figura 2 è stato eseguito nel novembre del 2013, mentre la foto clinica (Fig. 1) è stata scattata di recente, nel novembre del 2014.
L’autore ammette, dunque, una propria svista. L’omissione di una corretta ablazione dei depositi sub-gengivali presenti, equivale a un comportamento iatrogeno, che impedisce la guarigione del sito. L’operatore, in occasione di un appuntamento di richiamo, 12 mesi dopo il completamento della terapia causale, esegue la rivalutazione del caso5,6, documentando i parametri parodontali biometrici in cartella (Fig. 4).
Ovviamente non si riscontra alcun miglioramento a livello dell’elemento 3.3, dato che non è stata rimossa la noxa patogena, in tale sede. Viceversa dove il clinico ha eseguito una strumentazione parodontale congrua, associata all’uso aggiuntivo del laser a diodo, si apprezza una variazione significativa dei valori di sondaggio, confrontando la cartella parodontale della Figura 4 rispetto a quella compilata in prima visita (Fig. 3).
Lo status radiografico completo (Fig. 5) documenta una compromissione parodontale generalizzata moderata e localmente severa7.
Nella Figura 6, si evidenzia una profondità di sondaggio di 7 mm e una recessione di 1 mm, con una perdita di attacco clinico pari a 8 mm (CAL), distalmente al secondo premolare, mandibolare di destra, rilevata in occasione della prima visita. La radiografia (Fig. 8) documenta una lesione parodontale, in presenza di una cresta ossea interprossimale, dal contorno irregolare.
Le Figure 7 e 9 ritraggono l’aspetto clinico e radiografico dello stesso sito, a un anno di distanza, in occasione della rivalutazione parodontale. Si apprezza una significativa riduzione della profondità di sondaggio, che ora è di 2 mm, in assenza di sanguinamento, in presenza di una recessione, che si è accentuata di 1 mm (Fig. 7), per una perdita totale di attacco clinico di 4 mm (CAL).
Nel radiogramma periapicale si osserva una lamina dura più rappresentata a livello interdentale (Fig. 9).
Il sito è stato sottoposto a strumentazione parodontale non chirurgica laser assistita (Fig. 10), utilizzando curet manuali (Universal Curet, Micerium, Avegno, Genova, Italy) e apparecchi ad ultrasuoni (Multipiezo, Mectron S.p.A., Carasco (GE) Italia) (Fig. 11). Sull’aspetto linguale si è registrato un miglioramento significativo dei valori di sondaggio: da circa 9 mm (Fig. 12) a circa 2 mm, in assenza di sanguinamento (Fig. 13), a un anno di distanza dalla terapia causale.
Analizzando i parametri biometrici parodontali di un altro sito: sull’aspetto mesiale del secondo premolare mandibolare di sinistra, si osserva una profondità di sondaggio di circa 8 mm (Fig. 14), associata a una leggera recessione di circa 1 mm, per una perdita complessiva di attacco clinico pari a 9 mm (CAL). Sempre a un anno di distanza dal completamento della terapia parodontale non chirurgica, si rileva una profondità di sondaggio di 2 mm, associata ad una recessione di circa 2 mm (Fig. 15).
Anche in questo sito si riscontra un miglioramento del livello di attacco clinico, che da 9 mm si è ridotto a circa 4 mm. Il trattamento ha previsto l’utilizzo della strumentazione parodontale, manuale e ultrasonica (Fig. 17), preceduta dall’utilizzo del laser a diodo, 808 nm, (A2G srl, Roma, Italy) (Fig. 16), oppure dal laser a diodo 980 nm (Wiser, Doctor Smile, Lambda S.p.A.,Vi, Italy) (Fig. 19), utilizzati con i seguenti parametri5.
I principali parametri che caratterizzano il raggio laser sono:

  • lunghezza d’onda, espressa in nanometri (nm) (e.g. 808 nm e 980 nm);
  • potenza, misurata in Watt;
  • modalità dell’impulso: pulsato (pw) o continuo (cw).

I parametri indicati8-9 sono quelli riportati nella Tabella 1.
In occasione dell’appuntamento di richiamo, dopo 12 mesi dal completamento della terapia causale, l’operatore, oltre a eseguire un sondaggio di rivalutazione (Figg. 1, 7 e 14), utilizza la sonda parodontale anche per rilevare eventuali depositi calcificati in sede sotto gengivale, mantenendo lo strumento obliquo, rispetto all’asse verticale del dente, e facendolo scorrere in direzione apico-coronale e corono-apicale (Fig. 21), per accentuare la sensibilità tattile, in questa delicata fase clinica.
Dopodiché, con uno strumento manuale, utilizzato di punta, secondo la tecnica descritta dall’autore in un suo recente testo6, si è rimosso il tartaro ematico ancora presente (Fig. 22). In occasione di un successivo appuntamento di igiene professionale, programmato con scadenza trimestrale, si riscontra la risoluzione dell’infiammazione (Fig. 23) e la radiografia conferma la rimozione completa del deposito calcificato in sede sottogengivale (Fig. 24).
L’utilizzo del laser a diodo è indicato negli appuntamenti iniziali di terapia causale. Successivamente, negli appuntamenti di richiamo, l’autore raccomanda l’uso aggiuntivo del laser a diodo almeno una volta all’anno, per mantenere la stabilità dei risultati clinici ottenuti. Si consiglia inoltre di utilizzare il laser, nella modalità biostimolazione, in occasione di ogni appuntamento di richiamo, che dovrebbe avere una scadenza trimestrale nel primo anno e quadrimestrale negli anni successivi al raggiungimento di una condizione clinica soddisfacente.
Dopo aver inserito sul manipolo del laser l’accessorio per la biostimolazione, si appoggia l’estremità del fotoconduttore a contatto con la zona da biostimolare, irradiando con cicli di 60 secondi e potenza di 0,7 W in modalità continua (CW) fino a completa distribuzione dell’energia sull’intera zona da trattare (Figg. 25, 26) (Wiser, Doctor Smile, Lambda S.p.A.,Vi, Italy).
Il fascio defocalizzato, a bassa potenza, viene assorbito dal tessuto, stimolando processi metabolici e di guarigione, grazie agli effetti foto-chimici del laser. Si verifica un’accelerazione dei meccanismi di guarigione delle ferite chirurgiche, per induzione foto-enzimatica che, aumentando la velocità del ciclo di Krebs determina, di conseguenza, un aumento della produzione di ATP, con mitosi cellulari più frequenti, nell’ambito della zona irradiata10.

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Discussione e conclusioni
Previa diagnosi, il caso è stato sottoposto a terapia causale, secondo un protocollo di 4 appuntamenti, 3 dei quali a distanza ravvicinata, entro una settimana11, seguiti da una quarta seduta a circa 30 giorni di distanza, con l’uso aggiuntivo di un laser a diodo, che ha sempre preceduto la strumentazione parodontale non chirurgica, utilizzando sia curet manuali che apparecchi a ultrasuoni, come descritto in un precedente articolo pubblicato nell’aprile 2014, su questa stessa rivista6.
La terapia causale comprende sempre un’adeguata motivazione del paziente, specifica e personalizzata. Risulta evidente che l’operatore ha concentrato il proprio impegno clinico nelle zone più compromesse, dove una congrua strumentazione, associata all’uso aggiuntivo del laser a diodo, ha determinato un miglioramento dei parametri parodontali biometrici, come documentato nelle immagini cliniche e radiografiche (Figg. 6-19). Viceversa, là dove la strumentazione parodontale non chirurgica è stata incompleta o assente, il solo uso del laser a diodo non si associa ad alcun miglioramento clinico (Fig. 1). Questo risultato clinico avvalora il concetto, sintetizzato nel titolo: il laser a diodo non funziona se impiegato come monoterapia.
Il trattamento dell’infiammazione parodontale non può prescindere dai protocolli tradizionali. Questa affermazione concorda con la posizione ufficiale dell’Accademia americana di parodontologia, espressa in un suo recente position paper, in cui si afferma che il laser come monoterapia determina, tutt’al più, una lieve riduzione del sanguinamento nella fase immediatamente post chirurgica, ma senza alcun altro significativo beneficio12.
Il laser, pertanto, rappresenta una metodica aggiuntiva, rispetto alla strumentazione parodontale non chirurgica e non si deve in alcun modo sostituire all’utilizzo di dispositivi meccanici o di strumenti manuali, per rimuovere biofilm e depositi calcificati, dalla superficie radicolare o implantare5.
Soltanto con una terapia integrata, strumentazione parodontale non chirurgica, congrua e specifica, e trattamento con laser a diodo, utilizzando parametri adeguati e protocolli corretti, si può dunque ipotizzare, limitatamente ai risultati clinici, conseguenti al presente caso clinico con 15 mesi di follow-up, un miglioramento dei parametri clinici parodontali.
Le conclusioni del position paper del 201112, sul laser come terapia aggiuntiva, sono decisamente negative: attribuendo benefici minimi o assenti.
L’autore critica la metodologia di accorpare tutti i tipi di laser, senza distinguere tra laser indicati per il trattamento dei tessuti molli, cioè associati a una terapia non chirurgica, rispetto a quelli indicati per il trattamento dei tessuti duri e/o da utilizzare in fase chirurgica. Questo giustificherebbe la controversia ancora accesa per quanto riguarda una valutazione oggettiva dell’utilizzo del laser a diodo nella terapia causale.

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L'articolo è stato pubblicato su Laser Tribune Italian Edition, febbraio 2015.

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