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Due dentisti “over 50” su quattro sono ipertesi: colpa del sale nel pane?

Stefano Rimondini

Stefano Rimondini

lun. 10 ottobre 2011

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Sul troppo consumo di sale si sta discutendo da tempo in ambiente medico, ritenendolo responsabile di parecchi problemi di salute

Secondo le più antiche testimonianze, probabilmente furono gli Egizi, più di 5000 anni fa, a fare per primi impasti a base di farina, acqua e lievito con aggiunta di aromi. Nei riti religiosi venivano gettati nel Nilo in omaggio agli Dei, mentre i Greci dedicarono templi alla Dea del Pane.
Da noi è il frumento, cereale per eccellenza, a fornire la farina, elemento strutturante da unire all’acqua. Anticamente, furono impiegati soprattutto orzo e miglio, tuttora base dell’alimentazione in molte regioni africane. Il lievito converte i carboidrati in anidride carbonica ed etanolo. L’impasto si acidifica nonostante il forte potere tampone delle proteine e si formano i precursori dell’aroma e del gusto.
Come gli aromi, il sale ha essenzialmente funzione gustativa e, solo secondariamente, quella strutturale di formare legami salini con le proteine del glutine. Proprio sul troppo consumo di sale si sta discutendo da tempo in ambiente medico, ritenendolo responsabile di parecchi problemi di salute, in particolar modo ipertensione arteriosa e conseguenti malattie cardiovascolari, ictus cerebrali ed infarti miocardici. Sembra che il consumo arrivi a 11,5 grammi al giorno a testa, a fronte di un fabbisogno di 2 grammi, con un limite di 5.
Considerando che nel pane, mediamente, viene aggiunto 1 grammo di sale l’etto, e in alcuni anche 2, e valutando che il consumo medio in Italia è di 3,5 milioni di tonnellate annue, 55 kg pro-capite e quindi 150 grammi al giorno, ne conseguono 1,5-2 grammi di sale a testa, neonati e maniaci di diete compresi. Questi ultimi, che consumano grissini e cracker light sono in aumento (sembra che 900 mila italiani non lo mangino mai).
Il sale è decisamente troppo per le valutazioni di Università ed esperti del Ministero della Salute, impegnati nel programma preventivo sul sodio “Guadagnare salute” con l’obiettivo di evitare 6000 morti l’anno.
L’idea è partita nel luglio del 2008 e l’accordo siglato il 21 aprile 2010, ma in Europa le resistenze sono forti, per il rischio di sopravvivenza di molte tipicità locali, come il bretzel tedesco: oltre 3 grammi di sale e quasi altrettanti di zucchero per etto, una vera mina vagante. Dopo lunghe trattative si è concordato con varie Associazioni Panificatori di ridurre il 5% di sale ogni anno, fino ad arrivare al 15% in meno entro il 2011. La Federazione Italiana Panificatori si è comunque impegnata a produrre una tipologia di pane con un contenuto di sale pari al 50%, ossia il “mezzosale”.
Il pane, come prodotto industriale, arriva al 10% della produzione, mentre il rimanente 90% è di origine artigianale, variante da zona a zona. Vi sono 30.000 imprese, con 100.000 addetti, per 250 tipi di pane, “chiamati” con 1500 nomi diversi. Come già diceva Dante nel suo girovagare per l'Italia “…Tu proverai come sa di sale lo pane altrui…”, anche se intendeva dire altro. Il pane toscano insipido, in uso nel centro Italia, ritenuto “responsabile” della relativa bassa percentuale di malattie cardiovascolari nelle stesse regioni, è stato all’origine della scelta di abbassare la percentuale di sale nel pane anche nel resto d’Italia.
“Politicamente concordato” da 1 euro per 1 chilo, in vendita alla COOP Adriatica di Bologna e in altre grandi catene distributive emiliane, il pane in linea con gli accordi contiene 0,85 grammi di sale. Il suo basso prezzo, in riferimento ai 3-4 euro di media al chilo, lo fa erroneamente giudicare di bassa qualità ed è curiosamente in costante diminuzione di vendite (ora è sul 7%.) Fra non molto, avremo chiare etichette con le percentuali di sale contenuto e si potrà così finalmente scegliere liberamente. Molte cose cambieranno nell'immediato futuro. Alcune, come il pane, forse in meglio, e mangiando per tempo quello giusto, le percentuali di ipertesi potranno diminuire: attualmente in Italia sono il 22-24% della popolazione (circa 12 milioni). Ma solo la metà sa di esserlo.
 

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