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Con la Legge Gelli Bianco cambia (in parte) la figura del CTU

M. Turani, Direttivo SIOF.

M. Turani, Direttivo SIOF.

mar. 16 gennaio 2018

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Del Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU) abbiamo già parlato. Oggi cercheremo di definirne gli “aggiornamenti” che lo riguardano, previsti dalla recente Legge Gelli/Bianco 24/2017.

Il danno alla salute viene considerato tale unicamente se accertabile dal punto di vista medico-legale. Ecco allora il Giudice ricorrere a un consulente (cd. CTU) per una consulenza, considerata in giudizio come prova regina dell’esistenza del danno. In linea di principio, non sarebbe tale, bensì uno strumento a disposizione del Giudice per vagliare sotto il profilo scientifico/tecnico elementi di fatto già acquisiti (consulenza deducente). Può però trasformarsi in elemento di piena prova quando rappresenta l’unica possibilità per la parte di dimostrare le proprie pretese (consulenza percipiente).

Il Giudice può però anche decidere di affrontare personalmente le questioni mediche e medico-legali a lui sottoposte, possedendo la qualifica di Peritusperitorum (perito dei periti) senza quindi affidarsi al CTU. È evidente che nella pratica comune non ritiene mai di valutare le questioni tecniche “sua sponte” preferendo affidarsi al consulente di fiducia traendo conseguentemente il proprio convincimento dagli elementi e considerazioni della relazione peritale.

L’art. 61, comma 2, del codice di procedura civile (c.p.c.) stabilisce che la scelta del consulente tecnico e quindi del medico legale, deve essere fatta “normalmente” tra le persone iscritte negli Albi di competenza. La Cassazione tuttavia, facendo leva sull’avverbio ‘‘normalmente” ha sempre ritenuto tali norme non cogenti (non obbligatorie). Pertanto la loro violazione non produce nullità.

Regole speciali sono dettate per l’accertamento del danno alla persona per colpa medica. Già l’art. 3, comma 5, del DL 13/9/2012 n. 158, aveva prescritto che nei giudizi aventi per oggetto la responsabilità sanitaria il consulente venisse scelto tra gli specialisti “tenendo conto della disciplina interessata nel procedimento”.

Tale norma deve tuttavia ritenersi abrogata dall’art. 15, della Legge Gelli Bianco che ha introdotto l’obbligo del giudice di nominare sempre, nei giudizi di responsabilità sanitaria, un collegio di (almeno) due consulenti: un medico legale e uno specialista clinico “con specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento”. Di fatto, salvo drastiche inversioni d’opinione della Cassazione, norme di questo tipo hanno tuttavia valore puramente esortativo.

Secondo il giudice di legittimità, infatti, la scelta dell’ausiliario è riservata all’apprezzamento discrezionale del giudice, il quale può nominare qualunque persona che reputi provvista di competenza specifica in relazione all’oggetto della causa: scelta sottratta perfino al sindacato di legittimità della Cassazione.

Pertanto le norme che disciplinano la scelta del consulente tecnico costituiscono mere “direttive” finalizzate, da un lato, a facilitare la scelta che il giudice deve compiere, dall’altro a favorire un’equa ripartizione degli incarichi, senza costituire un limite al suo potere. La Suprema Corte è assolutamente ferma nell’interpretare in modo elastico le norme del codice che disciplinano la scelta del CTU (artt. 61 e 445 c.p.c; artt 22 e 146 disp. att.c.p.c).

Alla stregua di questa interpretazione il Giudice può quindi nominare chi crede e non è nemmeno necessario “che risulti specialista in medicina legale”. Allo stato attuale quindi si possono in ambito odontoiatrico individuare sostanzialmente tre differenti figure:

  • medico chirurgo specialista in medicina legale;
  • medico chirurgo odontoiatra o specialista in odontostomatologia;
  • laureato in odontoiatria.

Qualora il giudice decida tuttavia di non nominare un collegio di (almeno) due consulenti come impone la nuova Legge si potrebbero creare incomprensioni interpretative per carenze dell’ausiliario nominato, che fornirebbero al Magistrato valutazioni incomplete inducendo una scorretta interpretazione delle risposte del CTU trasformandolo in tal caso in “occhiale offuscato del Giudice” e ingenerando, di fatto, nella pratica quotidiana, uno stato di confusione e di inutili contrapposizioni fra le parti e fra di esse e lo stesso CTU.

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