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La tecnica del carico immediato con impianti one-piece stabilizzati con ago sincristallizzato: case report

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La sutura e il moncone preprotesico.
M.E. Pasqualini, G. Comola, L. Grivet-Brancot

M.E. Pasqualini, G. Comola, L. Grivet-Brancot

ven. 2 dicembre 2016

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Gli autori presentano una metodologia implantoprotesica usando degli impianti a vite emergenti che vengono saldati a un ago di titanio per garantire la stabilità primaria. La stabilizzazione di un impianto one-piece mediante la saldatura di un ago permette il carico immediato in sicurezza e promuove l’osteointegrazione finale. Questa metodologia è stata usata per sostituire la mancanza di un dente frontale superiore in una zona edentula con grave compromissione del tessuto osseo.

Introduzione
Dal punto di vista della resistenza alle sollecitazioni occlusali statiche e dinamiche, anche gli impianti monofasici verticali, profondi, possono essere avvantaggiati da strutture di supporto che, facendo corpo unico con essi, ne estendano il piano d’appoggio su una superficie più ampia.
Un naturale esempio proviene dalla morfologia delle radici dei molari, destinati a sopportare la maggior parte delle sollecitazioni statiche della masticazione e della deglutizione e che, oltre a essere bloccati nell’osso compatto della “lamina dura”, disperdono il carico su aree maggiori delle loro superfici occlusali1 (Fig. 1).
Il bilanciamento profondo di un impianto, si ottiene mediante l’infissione di un ago divergente rispetto all’asse dell’impianto principale, che deve raggiungere e impattare l’osso corticale profondo ed essere saldato alla vite, all’emergenza dall’osso2.
Gli impianti a vite in generale, e i minimpianti MUM in particolare, possono essere avvantaggiati, dal punto di vista della resistenza alle sollecitazioni statiche e dinamiche, da strutture di supporto che, facendo corpo unico con essi, ne estendano il piano d’appoggio su una superficie più ampia3-5.
Le strutture di supporto a cui ci riferiamo sono gli aghi in titanio (tipo Scialom) con diametro di 1,2 mm6-7.
Questi devono essere inseriti in direzione divergente rispetto a quella della vite, ed essere spinti in profondità fino a raggiungere e impattare le corticali profonde per poi essere saldati alla vite all’emergenza dall’osso con la saldatrice endorale di Mondani. Solo così possono esercitare la loro funzione stabilizzatrice8.
Oltre ad aumentare la resistenza alle sollecitazioni statiche e dinamiche, il bilanciamento profondo svolge anche un’azione antirotatoria e procura una grande stabilità primaria immediata per via dell’appoggio corticale9.
Vengono così eliminati quei pericolosi micromovimenti inferiori ai 150 micron, particolarmente dannosi e capaci di inibire l’osteointegrazione degli impianti10.
Il bilanciamento profondo è particolarmente utile in tutti i monoimpianti (compresi quelli post estrattivi e quelli con osso scarsamente mineralizzato) per i quali è previsto il carico immediato.
In presenza di osso con spessore particolarmente ridotto, quando non si possono o non si vogliono eseguire interventi di augment, risulta comunque quasi sempre possibile inserire impianti monofasici di diametro ridotto a forma di vite tipo: Tramonte, Garbaccio e Pasqualini11-13.

Materiali e metodi
Nel caso presentato si è usato un impianto MUM titanio grado 4 (certificato UNI CEI EN ISO 13485.2012) (Cami-Pedrazzini Srl, Milano, Italia), diametro 2,1-2,6 mm alla spira. Un ago tipo Scialom si usa come struttura di supporto per il bilanciamento profondo. L’elemento possiede un diametro di 1,2 mm e la lunghezza è variabile in modo che si possa ottenere sempre il bicorticalismo. Gli impianti ad ago vengono realizzati in titanio grado 4 e certificati per uso medicale (certificato ASTM F67 ISO 5832-2) (Acerboni implantologia, Casargo LC, Italia). L’inserimento dell’ago avviene in direzione divergente rispetto all’impianto principale; pur sempre mantenendo l’integrità dei denti contigui, esso deve essere spinto in profondità fino al raggiungimento della corticale profonda. In seguito, una volta raggiunta la profondità di impatto viene saldato tramite la saldatrice endorale di Mondani. La fusione avviene in corrispondenza dell’emergenza osteomucosa per formare un unico moncone protesico. La biocompatibilità della saldatura che avviene in bocca sulle parti sporgenti degli impianti è dovuta al tempo estremamente ridotto in cui passa la corrente tra anodo e catodo (2 mms), oltre alle caratteristiche intrinseche del titanio (cattivo conduttore di corrente) che la rendono totalmente sicura anche in presenza di sangue, saliva e acqua14-16.

Tecnica chirurgica
Per preparare il sito dell’impianto monofasico, dopo l’apertura del lembo, vengono utilizzate le frese autocentranti di Pasqualini, con diametro progressivamente crescente fino a 2,5 mm17,18. Queste vengono montate su micromotore con raffreddamento liquido (soluzione fisiologica). Si comincia con una fresa sonda del diametro di 1,1 mm con la quale si raggiunge la corticale profonda. In seguito si realizza un controllo radiografico e si riporta la misura ottenuta sulle frese autocentranti terminando così la preparazione del sito implantare. La punta delle frese autocentranti è di forma triangolare tagliente mentre il dorso mantiene la forma triangolare ma risulta smussato. Questa forma particolare permette la creazione di tunnel osteotomici atraumatici e particolarmente precisi19,20.
L’inserimento dell’ago sfrutta la stessa preparazione iniziale con la fresa sonda da 1,1 mm per il raggiungimento della corticale profonda. Nel foro osseo così ottenuto si inserisce l’ago di 1,2 mm e lo si accompagna lungo il tragitto preparato con tecnica press-fit mediante un martelletto chirurgico.
La metodica indicata prevede l’utilizzo di anestesia plessica e copertura antibiotica. In base al paziente, si preferisce una terapia a scopo precauzionale con amoxicillina + acido clavulanico, cps 2 g per 5 giorni e antinfiammatori del tipo naprossene sodico, cps 550 mg al bisogno. Il carico immediato si realizza con corone in resina acrilica mentre la protesi definitiva viene realizzata in metallo-ceramica.

Caso clinico
Il caso (Figg. 2-25) si riferisce a una giovane paziente di razza caucasica di anni 24 (anno 2000) arrivata alla nostra attenzione con un ponte da 2.1 a 2.3. La paziente riferì che la soluzione del ponte le era stata proposta dopo il tentativo di innesto di tessuto osseo eterologo per la collocazione, in seguito, di un impianto osteointegrabile bifasico. Il fallimento dell’innesto ha comportato una notevole perdita dello spessore del tessuto osseo impossibilitando l’inserimento dell’impianto. La correzione dell’edentulia caratterizzata da marcata atrofia ossea è stata effettuata utilizzando la metodica sopra descritta e finalizzata protesicamente con una corona definitiva in oro-ceramica. Il caso è stato seguito clinicamente per 16 anni (2000-2016).

Discussione e conclusione
Alla luce del risultato clinico riportato e considerati altri casi risolti (e pubblicati da diversi autori)21-23 con questa tecnica è possibile affermare che in casi di atrofia importante dei settori mascellari, l’utilizzo di impianti, pur di dimensioni esigue, consente il raggiungimento di buoni risultati terapeutici, funzionali ed estetici. La metodica consigliabile per un successo a lungo termine è che questi impianti vengano, durante la stessa fase chirurgica, solidarizzati con un ago di titanio che consente l’ottenimento del bilanciamento profondo24,25. Tale condizione garantisce una serie di vantaggi funzionali che permettono l’immediato carico sempre nel rispetto delle regole dell’equilibrio occlusale statico e dinamico26-29.
Il carico immediato è particolarmente indicato nelle monoedentulie e quando le condizioni estetiche impongano il pronto intervento terapeutico. Allorquando si procede con tale programmazione è necessario però tenere in debita considerazione alcune caratteristiche dei denti frontali (incisivi centrali, laterali e canini), poiché questi presentano un’inclinazione diversa rispetto a quella di premolari e molari (Fig. 26). Le sollecitazioni occlusali, infatti, non sono coassiali all’asse maggiore delle radici, ma generano forze trasversali. È questa la ragione per cui i “denti frontali” non devono avere contatti nell’occlusione statica fisiologica, ma devono soltanto sfiorarsi. In caso contrario verrebbero gravemente danneggiati durante la fase terminale della deglutizione (sovraocclusione) dalle forze trasversali non coassiali all’asse maggiore delle radici30.

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