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Il paziente scoagulato e cardiopatico in odontoiatria

P. Gatto

P. Gatto

gio. 12 maggio 2016

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Il dott. Maurizio Azzini, cardiologo e dirigente medico presso l’ospedale Fatebenefratelli di Milano, è intervenuto con una relazione intitolata proprio “Il paziente scoagulato e cardiopatico in odontoiatria” al XX Congresso COI-AIOG a Bologna lo scorso 8 aprile. Nel corso della sua attività di consulenza per gli odontoiatri che devono intervenire chirurgicamente, e non solo, con pazienti di questo tipo, il dott. Azzini ha sviluppato alcune importanti riflessioni.

Premesso che il 40% dei decessi a tutt’oggi avviene per malattia cardiovascolare, non è raro incontrare pazienti nello studio odontoiatrico portatori di queste patologie. Per questo motivo l’anamnesi del paziente odontoiatrico è fondamentale, per escludere che ci si trovi in presenza di un paziente scoagulato e cardiopatico. Qualora sia evidenziata nell’anamnesi questo tipo di patologia occorre attenersi ad alcune norme di sicurezza e alle linee guida vigenti. Tra queste, è fondamentale, secondo il dott. Maurizio Azzini, richiedere al paziente l’esito dell’ultima visita cardiologica, effettuata negli ultimi 12 mesi (è indispensabile che l’abbia svolta, perché in un anno le patologie cambiano rapidamente), le ultime analisi del sangue, sapere se il paziente assuma correttamente la terapia farmacologica prescritta.

Mai sospendere la terapia del paziente senza il parere del suo cardiologo, preferibilmente rilasciato per iscritto. Interrompere in particolare le terapie antiaggreganti, quali la comune cardioaspirina, può comportare rischi seri, così come sostenuto negli ultimi anni di letteratura, oltre che enormi conseguenze medico legali. «Eppure può addirittura accadere che alcuni odontoiatri indichino telefonicamente al paziente di sospendere la cardioaspirina!», racconta Azzini. Bisogna interpellare il cardiologo e un cardiologo che conosca il paziente da tempo. In particolare nel caso di pazienti portatori di stent coronarico esiste un Documento di Consenso (del 2012), concordato con tutti i tipi di chirurghi secondo il quale la terapia antiaggregante va proseguita.
Del resto, dice Azzini, non esiste un rischio emorragico in odontoiatria che possa essere considerato alto.
Queste le considerazioni finali:

  • in odontoiatria eventuali sanguinamenti non avvengono in organi vitali o in cavità chiuse;
  • l’anestesia con aggiunta di adrenalina induce ischemia locale e tende quindi a contrastare perdite ematiche;
  • nella fase operatoria sono disponibili vari dispositivi emostatici;
  • dare i suggerimenti al paziente per non traumatizzare la sede di intervento, prevenire e fermare sanguinamenti (tamponamento con garze sterili, ghiaccio, evitare cibi solidi e caldi).

Per gli interventi chirurgici potrebbe essere necessaria la presenza del cardiologo in assistenza. Azzini consiglia di trattare i pazienti in studio con l’assistenza del cardiologo presente (ed eventuale anestesista per il monitoraggio) nei casi in cui:

  • non c’è una diagnosi certa;
  • il paziente ha avuto un infarto da meno di sei mesi;
  • il paziente ha un’angina recentissima o non più controllabile.

Infine mai in studio i pazienti con rischi gravi.

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