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Spigolando in lungo e in largo tra le varie strategie dei restauri implantari

Luigi Grivet Brancot

Luigi Grivet Brancot

mar. 5 marzo 2019

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Il 23 e il 24 novembre l’Auditorium Antonianum di Roma ha ospitato il congresso annuale Sirio Roma “Build Everything, clinica e tecnica delle strategie dei restauri implantari”, iniziativa internazionale in cui sono state prese in esame la clinica e le strategie dei restauri implantari oltre alla ridefinizione di nuove tendenze, ovvero il presente alla luce del passato in proiezione futura: aggiornamenti, nuove tendenze in implanto-protesico e interdipendenze con i tessuti duri e molli.

I bisogni dei pazienti rappresentano il centro dell’operare medico e la crescente richiesta estetica polarizza molti e svariati interessi, il suo studio ha contribuito all’adozione di tecniche chirurgiche raffinate dai risultati sorprendenti. Nel tentativo di coniugare le necessità estetiche con la funzione appare indispensabile assecondare le tendenze di mercato. Di qui l’importanza dell’attuare quanto la ricerca offre alla luce degli studi e delle evidenze scientifiche.

Nell’ambito delle 15 relazioni svolte nelle due giornate di lavori, il là è stato dato a sala gremita da Stefano Gracis, il quale ha valutato 3 parametri per le considerazioni biomeccaniche e occlusali nelle riabilitazioni implantari quali lunghezza e diametro, numero e distribuzione e disegno protesico.

Una puntualizzazione interessante, richiamata anche da Rolf Ewers con l’impiego dei mini impianti, è stata la variazione in aumento fino a 2,5:1 del rapporto tra impianto e corona, nozione ben diversa di quello tra corona e radice, correlato in relazione alla presenza del legamento parodontale o dell’anchilosi ossea. La dimensione dell’impianto dovrà essere in funzione della sua ubicazione sull’arcata. Anche il disegno della protesi sarà correlato agli schemi occlusali e al carico, immediato o differito.

Il punto sulla peculiare scelta tra la protesi su impianti cementata o avvitata è stato fatto da Fabio Galli, considerando la necessità di un innesto connettivale e ha illustrato un algoritmo decisionale utile a stimare la predicibilità del risultato nel carico immediato, che valuta la stabilità primaria, i difetti parodontali nella zona anteriore o posteriore, il biotipo, la presenza o meno della corticale vestibolare. Galli ha inoltre enfatizzato l’impiego di monconi di diametro ridotto per assecondare lo sviluppo del tessuto connettivo, oltre a profili di emergenza che si integrino con gli elementi adiacenti. In armonia con le attuali tendenze per la prevenzione della perimplantite concorda nell’attuazione dei controlli periodici e l’igiene quindi nella prevenzione.

Una delle poche certezze che costellano l’Odontoiatria e in particolare la protesi su impianti è stata scossa il sabato mattina da una relazione che ha destato l’interesse anche dei più distratti. Attraverso una revisione della letteratura sul tema e anticipando i risultati di un suo studio retrospettivo Roberto Cocchetto ha comunicato che lo sviluppo delle ossa mascellari è un processo per la vita, contrariamente a quanto si crede e non cessa con la maturità scheletrica intorno ai 18-20 anni. Il fatto ha notevoli implicazioni, in particolare in implantologia e protesi su impianti. Anche nel giovane adulto e in quello maturo (e oltre), la maggioranza dei pazienti (dal 40 al 100% a seconda delle statistiche), che riceve un impianto, specie in zona estetica, può dopo qualche tempo, notare un progressivo “accorciamento” del dente su impianto rispetto a quelli naturali adiacenti. L’infraocclusione, termine che definisce il fenomeno, si manifesta perché l’impianto è in anchilosi ossea, al contrario dei denti adiacenti e ai loro processi alveolari che continuano lentamente a svilupparsi. La “crescita” si blocca attorno all’impianto esattamente come succede ai denti reimpiantati tardivamente, espulsi a causa di un trauma avulsivo. Sorprende l’assenza di questo termine sui glossari delle principali società scientifiche di implantologia e che il testo più famoso sulle complicanze in implantologia di Stuart Forum, solo nell’edizione più recente (2015) dia conto dell’argomento. Negli USA, dove è maggiore l’attenzione agli aspetti medico-legali e ai profili di responsabilità professionale, rappresenta un problema emergente. Cocchetto mostrando un’importante casistica ha suggerito che nei piani di trattamento in zona estetica si proponga con più prudenza l’uso indiscriminato degli impianti, considerando invece, laddove possibile, anche la protesi tradizionale su denti naturali e grazie ai nuovi materiali metal free, quella adesiva, il vecchio Maryland Bridge rivisitato, meglio se “one wing”, con una sola aletta.

Storico divulgatore assieme a Mirà delle “faccette”, Bernard Touati esordendo con la differenza tra i tessuti parodontali e quelli perimplantari, ha voluto stigmatizzare come altri relatori, alcuni principi di conservazione dei tessuti perimplantari. Focalizzando la necessità di un sigillo mucoso ha invitato a non rimuovere il moncone o la base intermedia a contatto con la mucosa del tunnel, per non interrompere le fibre, evitando così di creare le premesse per la formazione di una tasca mucosa, prodromica all’accesso dei batteri ubiquitari, migranti verso il tessuto osseo. Il moncone o la base svolgono una funzione biologica rappresentando la prima linea di difesa e dovranno quindi essere biocompatibili e decontaminati, permettendo l’adesione delle cellule connettivale ed epiteliali, responsabili della formazione del sigillo mucoso, prevenendo così la mucosite e la perimplantite, presente nel 15-20% dei casi con un difetto osseo superiore a 6 mm. Dinanzi a tale patologia multifattoriale che colpisce il 20% degli impianti a 5 anni, non c’è cura.

Un buon presidio a questo fine è l’uso di impianti con una forte connessione interna ed esterna, la cui sistematica sia dotata di una base di varie altezze, in grado di allontanare la connessione dalla barriera mucosa, creando un profilo di sub emergenza e uno d’emergenza. La base avvitata sull’impianto non dovrà essere più rimossa, permettendo lo sviluppo del tessuto molle sovra implantare con funzione sigillante, trasformando l’impianto da bone level in tissue level.

L’estetica è il parametro più apprezzato dal nostro paziente e Egon Euwe ha descritto i più recenti presidi per raggiungerla, attraverso l’impiego di impianti con diametro ridotto rispetto alla radice del dente da sostituire, la ricerca della stabilità crestale mediata dalla maggior quantità di tessuto molle, ed un’altezza minima di 2mm. In assenza di questo parametro si ricorrerà all’innesto connettivale.

La tecnica Plug Graft, prevede il prelievo di un tassello circolare di connettivo 2-3 mm di diametro superiore alla sede ricevente dell’alveolo post estrattivo, suturato su di esso, trasformando il biotipo sottile in uno spesso predisponendo la zona alla conservazione del tessuto crestale. Il relatore ha presentato alcuni casi dell’innesto a “poncho” di tessuto connettivo in siti post estrattivi, predisponendo dopo congrua maturazione la sede per un corretto sito implantare. Ha inoltre enfatizzando la possibilità di una preparazione sotto gengivale associata all’inserimento di un provvisorio con un margine corto per favorire la migrazione coronale del tessuto molle.

La vasta casistica dalla quale trae le conclusioni Mario Guerra lo ha guidato a scelte in grado di ridurre al minimo l’eventualità di complicanze post-implantari. Operando in una struttura pubblica con migliaia di utenti, anche se le complicanze meccaniche o di altra origine rappresentano il 10% a 10 anni, creerebbero comunque una mole di svitamenti o fratture implantari non gestibili. Forte di queste considerazioni ha adottato impianti a connessione conometrica, i quali allontanano il micro-gap dai tessuti e quando è possibile, cementa la protesi extra-oralmente, ingaggiando poi il moncone protesizzato sull’impianto. Evita così il rischio della perimplantite da cemento, favorendo la creazione di un ambiente per lo sviluppo dei tessuti molli e dell’osso sovra implantare, grazie anche alla svasatura della testa dell’impianto. La guarigione tissutale protesicamente guidata permetterà al tunnel mucoso una maturazione priva di infiammazione in assenza di neutrofili. Inoltre la guarigione per seconda intenzione indotta dalla tecnica di inserzione implantare senza chiusura mediante vite di guarigione, agevola lo sviluppo di una quantità idonea di tessuto rosa, con un risultato estetico ottimale.

Congresso annuale Sirio Roma “Build Everything, clinica e tecnica delle strategie dei restauri implantari”.

Nitzan Bichacho ha illustrato le linee guide in 8 punti per ottenere l’armonizzazione del sorriso, tra cui, di particolare interesse, la necessità di provvedere, incrementando il tessuto osseo o quelli molli, per il conseguimento della convessità vestibolare. Altra necessità è quella di non rimuovere la porzione del moncone a contatto con la mucosa per assecondare un sigillo a salvaguardia dell’osso sottostante. Un punto condiviso anche da altri relatori è stato l’adozione di monconi con un collo di diametro contenuto, per un ottimale sviluppo dei tessuti molli fortemente coinvolti nel risultato estetico. Anche questo relatore ha richiamato l’infraocclusione. Basilare inoltre è la necessità di portare mediante un moncone la connessione da transossea a transmucosa, riducendo così la contaminazione e, quindi, l’azione batterica sul livello dell’osso perimplantare.

Tra ricerca e clinica Luigi Canullo ha mediato i risultati delle nuove evidenze sintetizzandole in una molteplicità di indicazioni applicabili nel quotidiano. Ha invitato a minimizzare il trauma osseo perimplantare durante la preparazione del sito e durante l’inserimento e la protesizzazione, con riguardo particolare a tutti i presidi atti a contenere la contaminazione batterica dei monconi, non sempre manipolati con l’attenzione necessaria. Ha auspicato l’impiego di presidi farmacologici topici a lenta dismissione per il loro mantenimento in condizioni ottimali, conservando l’ambiente circostante in uno stato favorevole allo sviluppo e alla conservazione dei tessuti perimplantari. Ha poi raccomandato l’impiego di monconi costituiti da una porzione inserita contestualmente all’impianto, propedeutica alla formazione di un sigillo mucoso, funzionale alla guarigione ossea peri o sovra implantare. È stato illustrato lo sviluppo del sigillo in funzione della tipologia dei fibroblasti presenti e l’impiego di MUA convergenti oltre ad impianti trans-gengivali con la parte terminale convergente in grado di favorire la formazione del sigillo.

Un titolo ambizioso per una trattazione adeguate quella di Gianluca Paniz, il quale ha considerato i criteri di successo implantari e le loro molteplici correlazioni attraverso l’analisi critica dei vari protocolli protesici, alla luce della letteratura, da cui emergono la necessità dell’inserimento tridimensionale dell’impianto, l’arricchimento del tessuto molle perimplantare, l’adozione del concetto dell’inserimento contestuale del moncone con l’impianto, per la salvaguardia del sigillo mucoso a garanzia dell’integrità ossea adiacente. Ha richiamato il passato considerando l’impiego di pilastri tran-mucosi particolarmente indicati in soggetti a spiccata criticità quali i fumatori, nei casi di edentulie multiple, nel tessuto osseo rigenerato, facendo notare la necessità di orientare le scelte dei materiali considerando le proprietà estetiche, le valenze biomeccaniche e biologiche con un richiamo all’impiego della zirconia e al titanio.

Un aggiornamento di odontoiatria estetica è stato presentato da Gianluca Dellificorelli attraverso l’esposizione di parametri imprescindibili per ottenere restauri corretti armonici e mimetici. Ha esordito richiamando i tre tipi di linea del sorriso, condizionanti ogni trattamento protesico. La dissertazione è proseguita con dovizia di percentuali e immagini sulla molteplicità delle caratteristiche morfologiche e cromatiche che i denti devono avere per rendere piacevole l’impatto al dischiudersi delle labbra, da parte dell’interlocutore. Una sensazione fortemente influenzata dai tessuti rosa che incorniciano il dente naturale o implanto-supportato, questo dovrà essere inserito in posizione tale da permettere, attraverso il condizionamento operato dalla corona temporanea, lo sviluppo dei tessuti molli adiacenti, funzionale al risultato finale proposto al conseguimento del progetto protesico. Si evince che la programmazione implanto-proteica dovrà essere sviluppata attraverso un’attenta valutazione e la messa in atto, di varie specificità operative, non necessariamente padroneggiate da un solo operatore. L’iter espositivo è stato supportato da una serie di casi clinici a conforto delle premesse esposte.

L’impiego di un materiale di derivazione ortopedia è stato illustrato da Giovanni Ghirlanda e dal Sig. Carlo Baroncini. Ispirati da varie ricerche che correlano l’aumento di stress a carico del tessuto osseo con il modulo di elasticità dei materiali e dei dispositivi che interagiscono con l’osso stesso, come gli impianti, l’hanno adottato anche nelle realizzazioni protesiche. Il PEEK o poliethere ethere chetone (BIOHPP) è un materiale caratterizzato da un modulo di elasticità simile a quello dell’osso. I monconi costruiti con esso hanno evidenziato, a seguito di un’osservazione a medio e lungo termine, interessanti riscontri clinici, contribuendo alla conservazione dei profili dei tessuti duri e molli, infatti è stato impiegato sia per la realizzazione di elementi singoli che nelle ricostruzioni full arch. Adottato nella realizzazione di protesi ispirate a protocolli clinici peculiari quali “l’one abutment one time” ha dati risultati interessanti in relazione alla sua versatilità d’impiego. Confortati dai risultati conseguiti, è stato impiegato nella realizzazione della struttura full-arch a carico immediato, di protesi definitive.

Alessandro e Andrea Agnini duettando dal podio hanno proiettato la platea nel futuro, presentando tecniche e presidi per la protesizzazione dei siti post-estrattivi, con una particolare propensione all’estetica e alla predicibilità nel tempo, mirando alla riduzione dei tempi e alla semplificazione terapeutica. Invitando a padroneggiare il maggior numero di terapie correttive, in grado di soddisfare ogni esigenza e scenario anatomico. La preservazione dei tessuti duri e molli associata all’inserimento immediato dell’impianto in un alveolo post-estrattivo è una delle sfide più complesse che il team odontoiatrico deve affrontare attualmente. Diversi studi hanno dimostrato l’efficacia estetica e l’integrazione biologica nell’utilizzo dei materiali per la rigenerazione ossea con la contestuale protesizzazione temporanea, o di una vite di guarigione personalizzata a sostegno dei tessuti peri-implantari. Un approccio definito Dual Zone Terapy. Un abbondante evidenza scientifica supporta la possibilità di complicanze estetiche in soggetti con fenotipo tissutale sottile, di qui la necessità di un approccio terapeutico alternativo quale Partial Extraction Therapy, che sfrutta l’azione svolta dal mantenimento in situ di una porzione della parete vestibolare della radice o il Protocollo Surgical Veneer Grafting, in grado di arricchire la Dual Zone Terapy mediante un innesto connettivale, suturato all’interno di un lembo a busta a spessore parziale sul lato vestibolare dell’alveolo post-estrattivo. Questi approcci terapeutici mirano a contrastare o evitare (come la PET), il fisiologico rimodellamento osseo post-estrattivo e la conseguente contrazione volumetrica, responsabile dell’estetica finale svolto dalla protesi. Non esiste una tecnica migliore dell’altra, ma abilità individuali e scenari anatomici oltre che profili di rischio estetici individuali trattabili con la tecnica più appropriata. Il moderno clinico deve fare la diagnosi mediante la radiografia tridimensionale (CBTC) e adottare la tecnica più consona per quel caso.

Durante la trattazione Rolf Ewers ha sostenuto che l’estetica non si ottiene mediante l’all on four o all on three, in quanto le aspettative dei pazienti sono soddisfatte attraverso l’impiego di una protesi fissa su impianti. Ha inoltre precisato che i mini impianti possono essere corti (6-8 mm) o ultra corti (inferiori a 6) e sono di grande ausilio in casi per la risoluzione dei quali sarebbe necessario ricorrere a procedure molto più indaginose. Ha inoltre chiarito che la conicità della connessione conica a 15° crea un sigillo batterico a 360° e una camera di guarigione entro la quale si sviluppa osso. A conforto di quanto asserito ha mostrato un istologico di Cohelo. Ha inoltre presentato le protesi eseguite impiegando un materiale il cui nome commerciale è TRINIA, e impianti ultra corti in un mascellare fortemente atrofico. Al controllo dopo un periodo di 65 mesi non vi era stato riassorbimento osseo, ad un follow up a 5-6 anni, 2 soli impianti erano falliti su 18 pazienti e 72 impianti.

Il Sig. Paolo Perpetuini ha illustrato la tecnica per la realizzazione delle protesi su impianti con l’impiego di policeramica direttamente sul moncone e l’adozione di TRINIA che è una combinazione per il 60% costituita da fibra di vetro rinforzata e il 40% costituito da resina epossidica con modulo di elasticità sovrapponibile alla dentina, questo materiale permette estensioni fino a 25 mm. Per il suo impiego è necessario una dimensione verticale di almeno 10 mm. Può essere adottata anche per la realizzazione di corone e ponti oltre che per le protesi full arch. Nel mascellare superiore e nella mandibola hanno costruito protesi su 3 impianti con o senza barra. Attorno agli impianti si crea una rigenerazione ossea tangibile.

Rolf Ewers attraverso alcuni casi ha presentato l’inserimento di un impianto nel canale naso palatino, con inizio dalla preparazione del sito vestibolarmente e tangenzialmente ad esso conservando così la maggior parte dell’osso palatino. Prendendo lo spunto della consensus conference della EDI del 2016 ha invitato ad avvisare i pazienti mediante un consenso informato sulla possibilità di impiegare impianti corti e monconi angolati in alternativa alla rigenerativa che presenta rischi maggiori.

Ignazio Loi ha trattenuto gli astanti nonostante il richiamo delle sirene calcistiche. Il relatore ha ribadito i concetti della (BOPT) Biologically Oriented Preparation Technique, tecnica esportata in molti paesi che protocolla e sovverte alcuni capisaldi della protesi e della parodontologia. A supporto della BOPT ha esibito casi clinici e richiamato, sovvertendo vari assiomi, confortato dall’osservazione nel tempo dal comportamento della mucosa, in seguito alla preparazione del dente o a quella perimplantare. Le immagini esibite hanno confortato la nozione secondo la quale il bordo della corona temporanea a profilo convesso, in alternativa a quello usualmente impiegato “a Lama di coltello”, stimola l’inspessimento della mucosa adiacente, ed il suo allontanandone ne induce la migrazione coronale. Due concetti antitetici ai principi parodontali canonici in grado di aprire scenari molto avvincenti.

Conclusioni
Build Everything ha fornito l’occasione ai molti convenuti di aggiornarsi circa le più attuali propensioni scientifiche maturate in risposta alle ricerche dei pazienti i quali rappresentano la sintesi delle aspettative indotte dalla pubblicità, mediate dai vari canali, attraverso i quali si estrinseca, condizionando inconsciamente i nostri bisogni. Anche noi in parte dobbiamo adeguarci fornendo prestazioni eticamente corrette e armoniche alle richieste del nostro cliente-paziente.

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