DT News - Italy - Restauri in composito: intervista con il dott. Lorenzo Vanini

Search Dental Tribune

Restauri in composito: intervista con il dott. Lorenzo Vanini

mer. 7 dicembre 2011

salvare

Qual è la novità più importante negli ultimi anni nel campo dell’odontoiatria conservativa? Il colore nasce dal rapporto luce-materia e quindi i materiali da restauro devono avere caratteristiche ottiche molto simili a quelle di smalto e dentina naturali. Lo smalto è sicuramente il tessuto più importante nel rapporto con la luce, poiché ricopre, come un sistema fibrottico, il corpo dentinale.

La translucenza e l’indice di rifrazione di un materiale sono quindi molto importanti e devono essere più vicini possibili a quelli dello smalto naturale. La velocità della luce in un mezzo materiale dipende dalla densità del mezzo: la velocità di propagazione della luce nell'aria è superiore a quella di propagazione nell'acqua, che è a sua volta superiore a quella di propagazione in un metallo.
L'indice di rifrazione è il rapporto fra la velocità della luce nel vuoto e quella nel mezzo attraversato. L'indice di rifrazione dipende anche dalla lunghezza d'onda della luce. Possiamo quindi affermare che l’indice di rifrazione indica il rapporto della velocità di propagazione della luce attraverso un corpo rispetto alla velocità della luce nell’aria. Più un materiale è otticamente compatto, più si rallenta la velocità di propagazione della luce. L’indice di rifrazione (n) dello smalto naturale è 1,62, quello dei materiali da restauro, compositi e ceramiche, è in media circa 1,50. L’indice del vetro è di 1,52, quindi i materiali hanno caratteristiche ottiche più simili al vetro che allo smalto dentale. Questo crea problemi nella gestione del rapporto translucenza-valore, in quanto più aumenta lo spessore del materiale, più si abbassa il valore (effetto vetro), mentre il comportamento dello smalto naturale è esattamente il contrario. Lo smalto Enamel Plus HRi, grazie all’indice di rifrazione 1,62, ha un comportamento ottico molto simile a quello dello smalto naturale (Fig. 1): aumentando lo spessore aumenta il valore (Fig. 2). Con questo smalto è possibile gestire meglio il rapporto translucenza-valore e l’integrazione estetica del margine poiché la luce attraversa due corpi (smalto naturale e smalto composito) che hanno lo stesso indice di rifrazione e quindi la luce non subisce deviazioni, problema che a livello clinico si presenta con una linea grigia sul margine; inoltre nei restauri del solo smalto libero incisale si integra perfettamente sostituendo a tutto spessore lo smalto naturale e mantenendo alto il valore senza dover usare masse dentina, cosa impossibile con gli smalti in commercio (Fig. 3, Fig. 4).

Qual è la sua teoria per rilevare il colore del dente?
Generalmente in odontoiatria il colore viene rilevato mediante l’utilizzo di apposite scale che si basano su una teoria del 1898 del pittore americano Munsell, applicata poi all’odontoiatria da Clark nel 1930. Secondo questa teoria nel colore si distinguono tre dimensioni: la tinta, la croma e il valore (Fig. 5). La tinta è il colore base del dente, la croma definisce il grado di saturazione della tinta ed il valore indica la luminosità. La classica scala colori della VITA prevede 4 tinte base (A, B, C e D) e 4 cromi per ogni tinta. In realtà il colore dei denti è una complessa risultante di molti fattori e nasce dall’interazione dello smalto e della dentina con la luce durante i processi di rifrazione e riflessione delle onde luminose; a livello dello smalto predominano le onde più corte vicino al bianco-blu, mentre a livello del corpo dentinale prevalgono le onde lunghe proprie del gialloarancio. Il colore dei denti è la complessa risultante di molti fattori che devono essere attentamente analizzati tridimensionalmente e in modo individuale per catturare quelle caratteristiche che personalizzano e distinguono i denti di ogni persona, cosa non possibile da fare con i tradizionali metodi che si rivelano grossolani e imprecisi. Per rilevare il colore dei denti dobbiamo quindi abbandonare le classiche scale colori e con loro le nostre abitudini, e accedere a un livello superiore di analisi: la teoria di L. Vanini che prevede 5 dimensioni del colore (Fig. 9). Il colore che vediamo è la risultante di diversi fattori dati sia dalle caratteristiche fisiche di smalto e dentina sia dai fenomeni che si generano quando questi vengono attraversati dalla luce. La teoria del colore che ho elaborato prevede un’analisi dettagliata dei singoli fattori che concorrono a creare il colore del dente, fattori che possono essere annotati in una cartella colori dedicata e che poi possono essere riprodotti con materiali specifici durante la stratificazione. Per rilevare il colore in modo adeguato il dentista deve essere in grado di guardare attentamente dentro il dente e riconoscere le cinque dimensioni del colore e gli accordi cromatici che le colorano. Per fare questo abbiamo bisogno innanzitutto di lampade a luce costante a 5000 °K, che molti studi hanno dimostrato essere l’ideale per la rilevazione del colore (Fig. 6); poi è fondamentale avvalersi dell’aiuto della fotografia digitale che ci permette in pochi istanti di analizzare il dente sul computer e di studiare in modo più approfondito le varie dimensioni del colore; sottoesponendo l’immagine e aumentandone il contrasto è possibile evidenziare meglio le dimensioni del colore e amplificare le tonalità ambra e azzurre dell’aureola incisale. I dati che rileviamo devono poi essere annotati in modo semplice; a questo scopo ho ideato una cartella colore specifica per registrare le cinque dimensioni del colore che ci permette anche di annotare con quali masse otterremo gli effetti desiderati. La cartella diventa quindi il progetto per il restauro del dente e la sua corretta compilazione è in realtà fondamentale per il buon esito della ricostruzione. Nella parte frontale della cartella (Fig. 7), oltre ai dati anagrafici del paziente, ci sono due spazi azzurri a forma di dente: in quello a sinistra sono riportate le cinque dimensioni del colore, mentre in quello a destra sono riportate le sigle delle masse composito con le quali riprodurremo gli accordi cromatici presenti nelle diverse dimensioni. Nella parte posteriore (Fig. 8) della cartella sono raffigurate le classificazioni degli intensivi, delle opalescenze e delle caratterizzazioni. Ogni dimensione fa riferimento ai biotipi per età, ognuno dei quali prevede dimensioni ricorrenti per forma e saturazione cromatica. La prima dimensione da rilevare è la cromaticità di base (BC). La cromaticità di base esprime la media delle cromaticità del corpo dentinale che di norma presenta una desaturazione dal terzo cervicale a quello incisale. La BC viene rilevata a livello del terzo medio del dente con l’aiuto di una scala colori fatta con lo stesso composito che si utilizzerà per la stratificazione. Nella parte sinistra della cartella viene registrata la cromaticità di base rilevata, mentre nella parte destra le masse dentina che verranno usate nella stratificazione del corpo dentinale. Ogni biotipo presenta 3 cromaticità di base, due pure e una ibrida: il biotipo giovane prevede cromaticità da uno a due (1-1,5-2), l’adulto da due a tre (2-2,5-3) e l’anziano da tre a quattro (3-3,5-4). In questa fase bisogna anche identificare la forma del corpo dentinale e capire bene il contorno dei mammelloni incisali per poi poterli riprodurre fedelmente nella stratificazione. La seconda dimensione da registrare è il valore (o luminosità dello smalto) che è alto nel biotipo giovane (3), medio in quello adulto (2) e basso in quello anziano (1); il valore può essere ben valutato analizzando una foto del dente in bianco e nero. Per determinare gli intensivi, le opalescenze e le caratterizzazioni ci avvaliamo dei disegni presenti nel retro della cartella e può essere utile valutare una foto del dente sottoesposta e ipercontrastata. Gli intensivi sono maggiormente rappresentati nel biotipo giovane dove sono ricorrenti il tipo 1 (a macchia) e il 3 (a fiocchi di neve) Nei biotipi adulto e anziano invece ricorrono più frequentemente gli intensivi di tipo 2 (a nuvoletta) e di tipo 4 (a bande orizzontali). Le opalescenze nel biotipo giovane appaiono come sfumature grigiobluastre di tipo 1 (a mammellone) e 2 (a mammellone sdoppiato), nel biotipo adulto come sfumature grigio-bluastre di tipo 3 (a pettine) e 4 (a finestra), e nel biotipo anziano come una sfumatura ambrata di tipo 5 (a macchia). Le caratterizzazioni più ricorrenti nel biotipo giovane sono quelle dei mammelloni (tipo 1) che possono apparire biancastri o ambrati creando un limite netto con l’opalescenza, e quella del margine incisale (tipo 3) che può avere un bordino bianco o ambra. Nel biotipo adulto ricorre frequentemente la caratterizzazione di tipo 2 che si presenta come una fascia orizzontale bianca sfumata o ambrata che si estende verticalmente nelle zone interprossimali e le caratterizzazioni a macchia (tipo 4) di colore ambra o marrone che si trova prevalentemente a livello del terzo incisale, e quella a crepa (tipo 5) a livello dello smalto, data dalle fessure, che si pigmentano e appaiono scure, e dalle incrinature che appaiono invece bianche opache. Nel biotipo anziano possiamo trovare tutte e cinque i tipi di caratterizzazione (Fig. 9).

In cosa consiste la sua tecnica di stratificazione anatomica del dott. Vanini e quali materiali vengono usati?
La tecnica di stratificazione anatomica che ho elaborato consiste nell’imitare l’anatomia del dente, ripristinando lo smalto e la dentina nelle sedi anatomiche e negli spessori naturali allo scopo di ottenere un rapporto luce-composito-colore simile a quello dei tessuti del dentela tecnica di stratificazioni delle IV classi prevede pertanto nell’ordine la ricostruzione dello smalto palatino e interprossimale, del corpo dentinale ed infine dello smalto vestibolare (Figg. 10a-10b, 11a-11b). La stratificazione è guidata dalla cartella colori dove sono state annotate le caratteristiche delle cinque dimensioni del colore e le masse dedicate a tale tecnica con cui riprodurle; solo così è possibile raggiungere gli scopi della stratificazione anatomica che sono la desaturazione graduale e armonica della tinta da cervicale a incisale e da palatale a vestibolare, la creazione di un contrasto nella regione incisale tra corpo dentinale, smalto libero e buio della bocca, e la diffusione della luce all’interno del dente per dare tridimensionalità al restauro. Per ricostruire nella giusta posizione anatomica la parete di smalto palatina, nelle IV classi è importante avere una mascherina-matrice in silicone che funge da supporto durante l’applicazione della massa smalto. La mascherina in silicone viene realizzata in laboratorio, previa presa dell’impronta ed esecuzione di una ceratura diagnostica, o direttamente in bocca utilizzando del silicone a media viscosità dopo avere ricostruito provvisoriamente la parte mancante del dente con del composito sul dente asciutto modellato ed aggiustato nella forma e nella guida incisale con delle frese. Una volta indurito il silicone, la mascherina viene rimossa e adattata in modo che si posizioni in modo stabile sui denti; si elimina quindi la parete vestibolare in corrispondenza del dente da ricostruire e di quello vicino per consentire il miglior accesso buccale. Dopo aver rimosso il vecchio restauro (Figg. 12-13), si isola il campo con la diga di gomma si ricontrolla l’adattamento della mascherina, quindi si prepara la cavità e si eseguono le procedure adesive. Nelle IV classi i disegni del margine che soddisfano i requisiti richiesti sono la spalla a 90° (butt margin) a livello palatino e interprossimale e il minichamfer a livello vestibolare. Il margine viene inizialmente preparato con una fresa diamantata a grana grossa, a pallina per il chamfer e cilindrica per la spalla. Il margine poi viene rifinito con delle frese dallo stesso disegno a grana fine e poi lucidato con dei gommini in silicone; la superficie liscia dello smalto facilita lo scorrimento dell’adesivo e l’adattamento del composito sul margine (Figg. 14-15). La stratificazione delle IV classi inizia con la ricostruzione della parete di smalto palatina che si ottiene mettendo la massa smalto sulla mascherina prima di adattarla in bocca: lo strato di smalto viene disteso sulla mascherina con uno spessore il più vicino a quello dello smalto naturale, lasciando libere le zone interprossimali. Quindi la mascherina viene posizionata in bocca e dopo aver verificato la presenza di un buon contatto tra massa smalto distesa sulla mascherina e cavità del dente, si polimerizza. Poi con l’aiuto di una striscia di acetato stabilizzata con un cuneo di legno si ricostruiscono le pareti interprossimali con la stessa massa smalto usata per la parete palatina (Fig. 16). Con questi due passaggi la cavità da complessa diventa semplice e otteniamo un guscio, la cui forma e spessore devono essere controllati ed eventualmente corretti prima di proseguire con la ricostruzione. I volumi da riempire sono ora ben visibili e il controllo degli spazi durante la stratificazione del corpo dentinale è facilmente verificabile. Nella costruzione del corpo dentinale si utilizza un numero di masse dentina in rapporto alla grandezza e estensione della cavità: 1 massa nelle cavità piccole, 2 nelle medie e 3 nelle grandi. Ogni dente presenta tre diversi gradi di cromaticità: alta terzo cervicale, media al terzo medio e bassa al terzo incisale; dovremo quindi impiegare una o più masse con saturazioni crescenti per riprodurre queste cromaticità in base all’estensione cervicale della cavità. Se per esempio la cromaticità di base rilevata è UD2 le masse che utilizzeremo saranno: UD2, per una cavità piccola, UD2 e UD3 per una media e UD2, UD3 e UD4 per una grande. In questo modo creiamo un nucleo interno cromaticamente forte che previene una eccessiva perdita di cromaticità del restauro quando viene applicato lo smalto vestibolare; inoltre si riesce a creare una desaturazione della cromaticità da cervicale a incisale e da palatino a vestibolare. La costruzione del corpo dentinale in una cavità grande inizia quindi con la massa più satura posizionata cervicalmente. Nel nostro esempio UD4, poi si stratifica la massa UD3 che copre totalmente la massa UD4, sale sul chamfer vestibolare e si spinge più incisalmente. I due strati vengono a loro volta ricoperti totalmente dalla massa UD2, che sale anch’essa sul chamfer vestibolare e si spinge ancora più incisalmente. Se sono presenti dei mammelloni prima di polimerizzare la massa si eseguono solchi verticali aperti verso il margine incisale per creare la forma dell’aureola (Fig. 17). Con questo tipo di stratificazione riusciamo a ottenere una composizione cromatica del corpo dentinale ricca e differenziata, con cromi diversi in ogni punto e desaturata come nel dente naturale. Terminato il corpo dentinale prima di apporre lo strato di massa smalto vestibolare si passa alla “costruzione” di caratterizzazioni, opalescenti e intensivi. Le caratterizzazioni più importanti sono quella dei mammelloni e quella del margine (Fig. 18) che vengono realizzate con masse di bianco (IW e OA) e di ambra. Dopo la caratterizzazione del corpo dentinale e del margine si crea l’opalescenza utilizzando una massa specifica (OBN) che viene posizionata nei solchi tra i mammelloni e nello spazio tra margine incisale e corpo dentinale (Fig. 19), creando un effetto alone molto naturale. Infine, si riproducono gli intensivi nelle forme registrate durante la rilevazione del colore utilizzando masse bianche opache (IWS, IM). Nell’apporre le diverse masse che creano il corpo dentinale, le caratterizzazioni, le opalescenze e gli intensivi, l’operatore deve stare attento a lasciare lo spazio necessario per stratificare la massa smalto buccale negli spessori adeguati, minori a livello cervicale e maggiori a livello incisale e con il naturale contorno verticale al terzo cervicale, medio e incisale per ricreare la naturale bombatura del dente. La stratificazione termina con la costruzione dello smalto vestibolare che verrà modellato cercando di riprodurre correttamente le linee di transizione e abbozzando sia la macrotessitura (lobi, solchi verticali e depressioni) sia la micro tessitura ricreando le linee di crescita dello smalto con un pennellino (Figg. 20a-20b, 21). Una volta polimerizzato l’ultimo strato di smalto vestibolare, prima di passare alle fasi di rifinitura e lucidatura, è opportuno ricoprire la superficie con uno strato di glicerina ed eseguire un ulteriore ciclo con la lampada in modo da eliminare lo strato inibito dall’ossigeno e ottenere così una polimerizzazione più completa della resina.

Quale protocollo utilizza per la rifinitura e la lucidatura dei restauri in composito?
La ricostruzione termina con le fasi di rifinitura e lucidatura che sono molto importanti perché è in queste fasi che creiamo il rapporto ideale tra restauro e luce, fondamentale per ottenere il successo estetico; inoltre alla fine di queste due fasi avremo delle superfici che riducono l’accumulo di placca e prevengono l’invecchiamento del restauro. Con la rifinitura si dà al restauro la forma, la dimensione e il contorno definitivo e si definisce la tessitura superficiale abbozzata con la modellazione. Con la lucidatura si rende liscia la superficie del composito senza distruggere i dettagli di tessitura superficiale ottenuti durante la rifinitura. La rifinitura comincia con la correzione della forma; in questa fase con delle frese diamantate a media granulometria (30-40 micron) rifiniamo il contorno verticale del restauro seguendo la naturale bombatura del dente, inclinando quindi la fresa con tre diverse angolazioni a seconda che si trovi a lavorare sul terzo cervicale, medio o incisale (Fig. 22). Il contorno orizzontale viene rifinito aggiustando la forma e la lunghezza del margine incisale e degli angoli e poi rifinendo i margini interprossimali interni con delle strisce abrasive e i margini interprossimali esterni sempre con frese a media granulometria: questo è un passaggio molto importante perché la giusta forma e posizione delle linee di transizione (“spigolo” che si forma tra il margine interprossimale e la superficie vestibolare) sono fondamentali per l’integrazione estetica del restauro. Sistemata la forma si passa a rifinire la superficie iniziando con la correzione della macrotessitura: con una fresa diamantata a granulometria media o con una fresa multilama si scolpiscono i solchi e le lobature superficiali. Le linee di crescita dello smalto (microtessitura) vengono create con una punta di carborundum graffiando delicatamente la superficie del restauro (Fig. 23). La successiva fase di lucidatura ha lo scopo di rendere lucenti e brillanti le superfici del restauro senza però perdere i fini dettagli di macro e micro tessitura faticosamente ottenuti con la rifinitura. Per questo motivo il sistema più adatto per lucidare il restauro risulta essere l’utilizzo di paste diamantate applicate su uno spazzolino a ruota in pelo di capra, in grado di seguire senza distruggere le rugosità superficiali create in rifinitura. La lucidatura inizia utilizzando la pasta diamantata a 3 micron e poi si passa quella a 1 micron utilizzando lo spazzolino con abbondante spray d’acqua (Figg. 24-25). Gli spazi interprossimali vengono lucidati utilizzando strisce abrasive a granulometria decrescente impregnate con le paste diamantate. La brillantatura finale si ottiene passando sul restauro una pasta all’ossido di alluminio montata su feltrino inizialmente a bassa velocità a secco e poi a velocità maggiore con abbondante spray d’acqua senza mai premere con forza sulla superficie del restauro (Figg. 26-27).

Come si può apprendere nel dettaglio la sua filosofia?
Nel nostro centro corsi che si trova a San Fedele Intelvi, in provincia di Como, organizziamo numerosi corsi che affrontano nel dettaglio le problematiche legate alla ricostruzione dei denti sia anteriori sia posteriori, non solo sulla tecnica diretta ma anche su quella indiretta (Fig. 28). Durante i nostri corsi, viene data ai partecipanti la possibilità di seguire in diretta un caso su paziente e di eseguire una parte pratica su modelli per poter toccare con mano i materiali utilizzati per realizzare restauri secondo le “cinque dimensioni del colore del dente” (Fig. 29).

embedImagecenter("Imagecenter_1_410",410, "large");

Questo articolo è stato pubblicato sul numero 3 di Cosmetic Dentistry Italy 2011.

To post a reply please login or register
advertisement
advertisement