- Austria / Österreich
- Bosnia ed Erzegovina / Босна и Херцеговина
- Bulgaria / България
- Croazia / Hrvatska
- Repubblica Ceca e Slovacchia / Česká republika & Slovensko
- Francia / France
- Germania / Deutschland
- Grecia / ΕΛΛΑΔΑ
- Italia / Italia
- Paesi Bassi / Nederland
- nordisch / Nordic
- Polonia / Polska
- Portogallo / Portugal
- Romania e Moldavia / România & Moldova
- Slovenia / Slovenija
- Serbia e Montenegro / Србија и Црна Гора
- Spagna / España
- Svizzera / Schweiz
- Turchia / Türkiye
- Gran Bretagna e Irlanda / UK & Ireland
Peggio di noi fanno solo Lituania, Slovenia e Slovacchia. Persino il Portogallo ci supera. Di un soffio, ma sta sopra di noi.
È impietoso in questa classifica il giudizio implicito sulla qualità dei progetti presentati dalle Pmi italiane alla Rea (Research esecutive agency), l’Agenzia europea che gestisce per conto della Commissione i finanziamenti per la ricerca e l’innovazione. Si tratta di 1,4 miliardi di euro per quest’anno che diventeranno 1,6 miliardi l’anno prossimo. In tutto 6,4 miliardi considerando l’intero periodo coperto dal settimo programma quadro. Un bel gruzzolo, destinato a progetti in tutti i settori produttivi, dall’aeronautica al tessile e ai trasporti.
Nel quarto bando “Ricerca per le Pmi” (budget di 204 milioni), i progetti italiani presentati e presi in considerazione dall’agenzia sono stati 784.
Solo Spagna (1.163), Germania (799) e Regno Unito (1002) ne hanno presentati di più.
La capacità di proporsi per chiedere finanziamenti dunque non manca. Ciò che manca è la qualità delle proposte e il modo in cui vengono presentate.
I progetti italiani approvati e finanziati con le risorse comunitarie sono solo 111, un success rate del 14,16%, ben al di sotto del 18,48% che è la media comunitaria.
A distanza incolmabile dal 26,38% della Svezia o dal 23,81% dell’Irlanda. Spagna e Grecia, tanto per restare tra i “Pigs” viaggiano sotto la media comunitaria ma comunque intorno al 16,8%. E pensare che rispetto a bandi precedenti le cose sono migliorate.
Un’incapacità che si traduce in minori risorse, minore ricerca e minore innovazione. Un limite che ci allontana dal resto d’Europa.
Nei giorni scorsi Ciro Maddaloni, project officer dall’agenzia europea, in un incontro con una quarantina di piccole e medie imprese comasche proprio sul tema dei finanziamenti europei, ha sottolineato due difficoltà che ostacolano l'accesso delle imprese italiane a questa importantissima fonte di finanziamento: la barriera linguistica e soprattutto la qualità dei progetti che raramente coinvolgono strutture di ricerca universitarie. Basta scorrere l’elenco dei paesi membri e la percentuale di successo nei progetti di ricerca per capire che “poche centinaia di euro investite per pagare un madrelingua inglese” che controlli il testo del progetto prima di presentarlo sarebbero ben spese e potrebbero aumentare di molto le possibilità di vedersi approvare la proposta di ricerca.
Non è un caso che - Svezia a parte - Regno Unito, Irlanda e Malta siano ai primi posti. Ma questo probabilmente è l’aspetto più banale. Nell’esperienza dell’agenzia ciò che pesa è la qualità dei progetti di ricerca presentati da piccole e medie imprese italiane.
Quasi mai, sottolineano a Bruxelles, le proposte sottoposte alla Rea sono frutto di una collaborazione tra imprese e Università e le dita di una mano bastano e avanzano per citare gli atenei più virtuosi. Manca dunque la “contaminazione” tra Università e imprese o se esiste rimane un fattore sporadico e isolato. Che non fa sistema.
A dicembre si è chiuso l’ultimo bando della Rea e i dati saranno diffusi in estate. Difficile sperare in un cambio di marcia.
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