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Nuovo codice di deontologia medica: commento di Maria Sofia Rini e Marco Brady Bucci

Maria Sofia Rini, Marco Brady Bucci

Maria Sofia Rini, Marco Brady Bucci

lun. 14 luglio 2014

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La stesura del nuovo Codice di deontologia medica, a pochi anni dal precedente (avvenuta nel 2006), ha rappresentato un percorso con numerosi tratti in salita, la sua pubblicazione infatti è stata accolta nel mondo professionale con alcune aspre polemiche.

Il documento segue, in linea di massima, le linee tracciate dal precedente, del quale approfondisce, chiarisce e puntualizza alcuni punti salienti. Molti sono gli elementi di novità e di innovazione, non senza alcuni passaggi critici, che hanno fatto e, di sicuro, faranno ancora discutere. Secondo Amedeo Bianco, presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (FNOMCeO), il Codice tiene conto di nuove realtà e contesti, si confronta con le criticità della professione senza subirle, prende atto delle innovazioni senza temerle, dello sviluppo della medicina, della sanità e dei cambiamenti della società (Marco Blefari – “Sanità Informazione”). Mauro Barni, Consulente FNOMCeO per la deontologia medica, considerava il Codice 2006 un’autentica crescita deontologica al di là dei condizionamenti, dei suggerimenti ideologici, politici e giuridici.

Il mondo medico e odontoiatrico, per contro, non ha accolto con lo stesso entusiasmo questo nuovo Codice, sebbene esso dovrebbe rappresentarne una naturale evoluzione della precedente stesura. Forse ci si aspettava qualcosa di più. La sostituzione della dizione “cittadino” (termine effettivamente poco adatto all’interno di un rapporto di cura) con “persona assistita” non ha trovato consenso unanime e di fatto, pur rappresentando un passo avanti, non tutti ritengono che renda appieno il concetto di relazione di cura tra medico/odontoiatra e paziente.

Intento non nascosto del codice del 2006 era quello di traghettare «da una medicina difensiva ad una medicina responsabile», salvaguardando libertà, indipendenza e dignità professionale, con un complesso di disposizioni atte ad autodisciplinare l’esercizio dell’attività medica al suo interno e a regolamentarne i rapporti con i destinatari dell’attività stessa. Una manifestazione di «autoregolamentazione sociale», pertanto, in grado di individuare una base etica condivisa e condivisibile, con valori di riferimento uniformemente accettati che, al di là delle innovazioni scientifiche e tecnologiche, potesse mantenere l’esercizio della professione nel perimetro di valori etici trasversali. Una crescita culturale importante della classe medica e odontoiatrica, quindi, anche attraverso processi di educazione alla salute e attraverso il rapporto con l’ambiente (art. 5), di qualità professionale e gestionale (art. 6), di sicurezza del paziente e prevenzione del rischio clinico (art. 14), di controllo del conflitto di interessi (art. 30), di informazione sanitaria e di pubblicità dell’informazione sanitaria (artt. 55 e 56).

Anche il nuovo Codice, partendo dal principio inalienabile del dovere di tutela della vita, della salute psicofisica, del trattamento del dolore, del sollievo dalla sofferenza nel rispetto della libertà e della dignità della persona, al di là di ogni tipologia di condizionamento (art. 2), ribadisce che l’esercizio della professione medica è fondato sui principi di libertà, indipendenza, autonomia e responsabilità (art. 4), sottolineando con questo ultimo termine l’onere di rispondere delle proprie azioni proiettandolo anche sulle conseguenze delle stesse a tutela della persona assistita. Libertà, indipendenza, autonomia nell’esercizio delle proprie competenze professionali senza dimenticare i principi di efficacia e appropriatezza, aggiornati allo stato dell’arte, sottolineando l’obbligo alla costante verifica e revisione dei propri atti.
Particolarmente rilevante appare l’articolo 20, in cui si ribadisce l’essenzialità della relazione di cura e della condivisione consapevole e informata delle scelte terapeutiche, là dove “il tempo della comunicazione” viene assimilato al tempo di cura, rivalutando la cura delle relazioni all’interno del rapporto di cura. Tra medico e paziente nasce così una nuova condivisione delle rispettive autonomie e responsabilità.

Il nuovo Codice, pur riprendendo e ribadendo molti concetti cardine strutturati nel codice del 2006, lascia insoddisfatti, come già detto, alcuni autorevoli esponenti del mondo medico e odontoiatrico. Alcuni sindacati, e con loro alcuni presidenti di ordini di popolose città, rimproverano a questo Codice di non aver risolto il nodo del “conflitto di interessi” tra politica e professione. Secondo costoro questo codice non interviene «sul tema del rapporto tra le istituzioni mediche e la politica», nonostante denunci l’invadenza della partitocrazia nel governo della sanità pubblica e delle ASL (Salvo Carli – SMI). Roberto Carlo Rossi, presidente dell’ordine dei medici e degli odontoiatri di Milano, ritiene inaccettabile la definizione delle competenze del medico così come contenuta nell’art. 3, che lascia apparire una figura di un «medico asservito alle innovazioni organizzative e gestionali messe in campo dalle aziende sanitarie pubbliche e private» e che rimanda «il medico, per le competenze cui deve attenersi, al corpus dell’ordinamento universitario delle facoltà di Medicina e Odontoiatria, consegnando così l’autonomia della categoria nelle mani dell’università e delle Regioni». Rossi sottolinea come, nel rispetto rigoroso della legge, il medico, nello svolgimento della sua funzione «deve essere indipendente nel suo giudizio da condizionamenti non solo di natura commerciale e privatistica, ma anche da pressioni di natura pubblica e politico-organizzativa, in primo luogo nell’interesse del paziente». (AdnKronos, articolo del 22/05/2014).

Parimenti Pizza, presidente dell’ordine dei medici di Bologna, in un articolo del giorno precedente, aveva ritenuto inaccettabile la possibilità di comminare «una sanzione deontologica al medico che non rispetta le modifiche organizzative decise dai servizi sanitari nazionali o dalle aziende» (AdnKronos, articolo del 21/05/2014). Sempre in tema di conflitto di interesse, è di sicuro riferimento ma meno incisivo di quanto ci si aspettasse, l’articolo 62 in materia di attività medico-legale. Esso recita testualmente: «L’attività medico-legale, qualunque sia la posizione di garanzia nella quale viene esercitata, deve evitare situazioni di conflitto di interesse ed è subordinata all’effettivo possesso delle specifiche competenze richieste dal caso». Di estrema rilevanza, sebbene anche qui il documento non entri nel dettaglio, il riferimento al «possesso delle specifiche competenze richieste dal caso», che derivano non solo da competenze clinico-tecniche, ma anche, da parte dei consulenti in materia specialistica, di una conoscenza degli elementi di base della medicina-legale che consenta loro di supportare validamente l’attività del medico legale.

Per quanto concerne la materia del nostro specifico interesse, è da notare che gli odontoiatri nel 2006 avevano visto ampiamente riconosciuta la propria professionalità e, attraverso l’articolo 67, in maniera autonoma, si disciplinava con chiarezza il divieto di esercizio abusivo della professione. Disposizioni già contenute nelle precedenti stesure, ma che nel 2006 trovavano maggiore dignità e spessore. L’articolo 64 riconosceva alle CAO (commissioni albo odontoiatri), e in particolare ai suoi presidenti, un ruolo fondamentale nella vigilanza deontologica e disciplinare. Tutti i punti essenziali sono ribaditi anche nella recente stesura, nella quale, in aggiunta, all’odontoiatria viene riservata una posizione di ancor più chiara autonomia rispetto alle altre branche medico-chirurgiche.

L’articolo 69 – sulla direzione sanitaria e il responsabile sanitario – indica, infatti, che «il medico che svolge funzioni di direzione sanitaria nelle strutture pubbliche o private ovvero di responsabile sanitario di una struttura privata […] deve essere in possesso dei titoli previsti dall’ordinamento per l’esercizio della professione ed essere adeguatamente supportato per le competenze relative a entrambe le professioni di cui all’art.1 in relazione alla presenza delle stesse nella struttura». Le professioni di cui all’articolo 1 sono la professione medica e quella odontoiatrica.

Viene espresso con chiarezza che il medico che assume il ruolo di direttore sanitario di una struttura pubblica o privata, o di responsabile di una struttura privata nella quale si eroghino prestazioni mediche e odontoiatriche, se non è in possesso dei titoli previsti dall’ordinamento per l’esercizio sia della professione medica sia di quella odontoiatrica (contemporanea iscrizione all’albo dei medici e a quello degli odontoiatri), dovrà essere adeguatamente supportato per le competenze relative all’altra professionalità per la quale gli mancano i necessari requisiti. Se iscritto al solo albo dei medici necessiterà del supporto di un odontoiatra, al pari del collega iscritto al solo albo degli odontoiatri che dovrà essere supportato da un medico nell’espletamento dell’incarico di direttore sanitario o di responsabile sanitario. Viene identificata, pertanto, la possibilità per l’odontoiatra di assumere la direzione sanitaria di una struttura, se adeguatamente supportato per le competenze relative alla professione medica, laddove questa sia rappresentata. Ne consegue idealmente che, in caso contrario, tale figura risulterebbe deontologicamente sanzionabile.

Tutto ciò rafforza notevolmente l’autonomia e il prestigio della professione odontoiatrica, e c’è da
augurarsi che gli odontoiatri sappiano in futuro adottare le proprie scelte manageriali nel rispetto dell’alta collocazione della professione sanitaria, senza cadere nella mercificazione e nello svilimento della stessa, riducendo un’arte medica a semplice vendita di un prodotto.

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