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Nuova disciplina delle Partite Iva: le virtù (ma soprattutto i vizi) all’esame comparato di due legali

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gio. 18 febbraio 2016

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Con la riforma del rapporto di lavoro, tra gli altri temi è venuto “a galla” anche l’ambiguo ruolo ricoperto dalle partite Iva “fasulle” sostitutive di un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato. Di qui il parere espresso da due diversi giuristi, uno di carattere generale, l’altro riferito in particolare al rapporto di lavoro in ambito sanitario.

Un disegno di legge per un volto più umano del lavoro autonomo e contro le false partite Iva
Dopo la firma del Presidente della Repubblica, la bozza del disegno di legge sul lavoro autonomo, collegato alla Legge di Stabilità 2016, si trova attualmente al vaglio del Senato. Il “jobs act per i lavoratori autonomi”, come definito dallo stesso Matteo Renzi, contiene nuove tutele a favore di professionisti e, in generale, di lavoratori autonomi, dalle quali resterebbero esclusi i soli piccoli imprenditori, artigiani e commercianti, iscritti alla Camera di Commercio.

In effetti, con il Ddl in commento, l’Esecutivo sembra “chiudere il cerchio” delle riforme operate sul mercato del lavoro per renderlo più flessibile in uscita e in entrata, consentendo l’adeguamento della normativa nazionale agli standard della flexsecurity di stampo comunitario.
L’opera riformatrice ha preso le mosse dal tanto discusso contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, introdotto con il decreto legislativo n. 23 del 2015 che, fatte salve poche eccezioni, ha reso la tutela del lavoratore licenziato illegittimamente una questione di tipo prettamente risarcitorio. Si è passati poi al riordino e alla riduzione dei contratti di lavoro, tra i quali quelli a tempo determinato, a tempo parziale e quello di somministrazione, per poi rideterminare i principi su cui, per anni, si sono fondati i rapporti tra datore di lavoro e lavoratore.

A riguardo, uno dei rinvii principali è alla modifica delle mansioni del lavoratore subordinato, divenuta più facile, dopo la riformulazione dell’art. 2103 c.c. operata dal Testo unico di riordino dei contratti di lavoro (D.Lgs. n. 81/2015) con decorrenza dal 25.06.2015 e applicabile a tutti i lavoratori subordinati, anche se assunti precedentemente a tale data.
L’onda riformatrice ha investito anche le collaborazioni coordinate e continuative, o meglio le collaborazioni a progetto, riconducibili nella categoria della parasubordinazione, alternativa al classico rapporto di lavoro subordinato e a quello autonomo, abrogando i cosiddetti co.co.pro. e imponendone la riconversione in altra tipologia contrattuale.

Il Ddl in commento, dunque, si pone su una immaginaria linea di continuità legislativa rispetto alle riforme del jobs act e, in particolare, la prevista riforma del lavoro autonomo dovrebbe costituire il primo testo dedicato ai rapporti di lavoro non riconducibili alla subordinazione e alle collaborazioni. Esso appare concepito per regolamentare in modo unitario il settore del lavoro autonomo e agevolare un sano uso di tale tipologia contrattuale a scapito delle cosiddette “false partite Iva”, che hanno comportato problemi di vario genere, incluso il proliferare di controversie giudiziali che hanno intasato il contenzioso dei tribunali.

Tra gli elementi di novità, da segnalare la possibilità prevista dal Ddl di stipulare con le compagnie assicurative (che stanno già provvedendo a dotarsi dei relativi strumenti) polizze per coprire il rischio di ritardo nei pagamenti di fatture da parte del cliente o del committente. Oggi il lavoratore autonomo, in caso di ritardato adempimento da parte del committente/cliente (fatta salva l’ipotesi di una vertenza per il recupero coattivo del credito) non può che attendere di ricevere il corrispettivo, magari azionando le “leve” messe a sua disposizione dal proprio ordine professionale in termini di servizi di recupero del credito.

Il Ddl sul lavoro autonomo, invece, stabilisce che il lavoratore autonomo possa rivolgersi alla compagnia per essere liquidato direttamente, una volta sottoscritta una specifica polizza dal contenuto regolamentato per legge in accordo con gli istituti assicurativi e di controllo preposti. È auspicabile (e prevedibile) che il premio annuale da versare alla compagnia si possa fiscalmente detrarre. Si tratterebbe di uno strumento di tutela del lavoratore autonomo, destinato a un’ampia fruizione da parte degli interessati e dai risvolti pratici di grande utilità.

La stipula di simili polizze dovrebbe incoraggiare l’esercizio della professione autonoma e consentire una tutela sostanziale della categoria – da sempre esposta a mancati o, quanto meno, tardivi pagamenti delle parcelle – e dall’eventualità che, pur eseguita l’attività e/o il servizio richiesto (legale, odontoiatrico, tecnico ecc.), si resti esposti all’inadempienza del cliente/committente. Oppure al rischio di percepire il compenso solo a fronte di sconti non previsti o prestazioni aggiuntive.
Avv. Marco Lama, avvocato giuslavorista.

Quid iuris per i dipendenti di strutture sanitarie?
La domanda che spesso si è posto l'imprenditore (anche in ambito sanitario) è se risulti più conveniente assumere un lavoratore subordinato oppure cercare una collaborazione a partita IVA. Se è vero che la convenienza economica ha spesso fatto propendere per la seconda soluzione, vi è però da considerare che il proliferare di “partite IVA fittizie” ha portato il Legislatore a regolamentare oggi il “corretto” rapporto di collaborazione, per superare quelle situazioni ‒ che si incontravano molto spesso ‒ di lavoratori giuridicamente qualificati come autonomi ma, di fatto, dipendenti della struttura sanitaria.

A quali conseguenze va incontro l'imprenditore che assume collaboratori per poi “trattarli” come veri e propri dipendenti? È bene chiarire che, in presenza di un rapporto “fittizio”, il collaboratore può adire in qualsiasi momento il Giudice del lavoro per vedersi trasformato il rapporto di collaborazione in un contratto di lavoro subordinato: se viene poi accertata la subordinazione e non dunque l’autonomia del lavoratore, questi diventa a tutti gli effetti un dipendente, con oneri a carico aziendale rilevanti (a livello retributivo e contributivo).

Ma quali sono gli indici in presenza dei quali è possibile capire se un rapporto di collaborazione è correttamente qualificabile come “autonomo”, oppure rischia di essere trasformato in “dipendente”? Per prima cosa è necessario verificare se il lavoratore è assoggettato alle direttive del datore (indice del fatto che l’imprenditore considera il lavoratore un vero e proprio dipendente); in secondo luogo vedere se la prestazione è continuativa, se la retribuzione è fissa e versata a cadenze costanti, se vi è l’osservanza di un orario rigidamente prestabilito, nonché accertare quale tipologia di coordinamento c'è tra il collaboratore e l’imprenditore etc. Tutti questi indici devono essere valutati globalmente e costituiscono validi indizi in forza dei quali il Giudice “ricostruisce” la corretta qualificazione del rapporto.
La difficoltà d’analisi dei rapporti lavoristici risiede tuttavia nel fatto che, molto spesso, la subordinazione può presentarsi “sfumata” ovvero è possibile individuare, in uno stesso rapporto, tratti di subordinazione ma anche elementi d'autonomia del prestatore di lavoro.
Il Legislatore ha cercato negli anni di regolamentare il fenomeno, inizialmente classificando le collaborazioni quali “coordinate e continuative” (CO.CO.CO.), in cui il collaboratore doveva essere contrattualizzato, prevedendo il coordinamento con l’imprenditore e la temporalità della prestazione; ciò tuttavia non “impediva” all’imprenditore di trattare ‒ nei fatti ‒ il collaboratore come un dipendente, eludendo così la normativa sul lavoro subordinato.

La cd. “Legge Biagi” ha superato i CO.CO.CO. introducendo una nuova previsione contrattuale ‒ i cd. “contratti di lavoro a progetto” ‒ tale per cui, senza intervenire sulla natura dell’attività, veniva semplicemente introdotta una forma contrattuale cui ricondurre l’'attività stessa ovvero, in altri termini, bisognava affidare al collaboratore l’attività relativa ad uno specifico “progetto”, in assenza del quale il rapporto acquistava necessariamente natura ordinaria (e quindi subordinata). Anche tale tipologia ha avuto notevoli difficoltà applicative, per l’utilizzo improprio che ne è stato fatto. Spesso infatti si sono rinvenuti “contratti a progetto” in presenza di mansioni elementari e ripetitive (che, per loro stessa natura, non lasciano alcun margine d’autonomia al lavoratore), oppure progetti inesistenti ecc.

Così è stata realizzata una nuova riforma del mercato del lavoro che, (forse) facendo un passo indietro, elimina il contratto a progetto e pare voglia richiamarsi alle (vecchie) collaborazioni coordinate e continuative. Il D.Lgs. n.81 del 2015 ha infatti riscritto le regole finalizzate a comprendere la genuinità della collaborazione. Sotto tale profilo perché la collaborazione con un soggetto a partita iva sia genuina è necessario, secondo la nuova normativa, che non si riscontri:

  • l'esclusività e personalità della prestazione;
  • la continuità del rapporto;
  • le modalità d'esecuzione della prestazione organizzate dal committente, anche con riferimento ai tempi e luoghi di lavoro.

Tralasciando i primi due punti desta perplessità il terzo punto. Molto spesso infatti il collaboratore che opera all’interno di una struttura sanitaria, o in uno studio medico/odontoiatrico, lavora sì in totale autonomia ma sotto una organizzazione eterodiretta. Orbene la normativa appare criptica sotto questo profilo. Se infatti è innegabile che occorra un coordinamento per poter operare all’interno di una struttura sanitaria la domanda che sorge spontanea è: quando le modalità lavorative e di coordinamento diventano così stringenti da far scattare la presunzione della subordinazione?
Il Legislatore pare essersi però accorto della incongruenza di tale previsione ed avervi posto rimedio con un disegno di legge, in corso di approvazione, che sembrerebbe (forse) ridurre la portata della norma. Tale tematica verrà affrontata ed approfondita nel prossimo convegno “Jobs Act e Sanità: quali opportunità nella gestione dei rapporti di lavoro dipendente e nei contratti di collaborazione” nel quale verrà ben spiegata la portata della nuova normativa così da permettere a ciascun imprenditore e datore di lavoro di contrattualizzare correttamente i propri professionisti.
Avv. Adriano Colomban, studio legale Stefanelli & Stefanelli.

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