Il Consulente tecnico d'ufficio (indicato anche come CTU) è l’ausiliario nominato dal giudice nella causa, perché l’organo giudicante può ben accertare i fatti concreti invocati dalle parti a fondamento delle rispettive domande od eccezioni, ma non sa quale significato attribuire ad essi “sub specie iuris”, ossia dal punto di vista giuridico.
Ecco che il CTU appare allora come una sorta di suo “occhiale” indispensabile alla messa a fuoco dei fatti. Derivante dal latino consulere, ossia suggerire-consigliare, il termine consulente si identifica nel codice come “tecnico con particolari competenze” nella materia in cui è chiamato in ausilio. Competenze che rappresentano il requisito (dei tre richiesti dalla legge) determinante per il corretto espletamento dell’incarico affidatogli dal giudice.
Suo principale compito è rispettare il giuramento di “bene e fedelmente adempiere al solo scopo di far conoscere al giudice la verità”. Per far questo gli vengono sottoposti quesiti ai quali dovrà rigorosamente attenersi, senza lacune, evitando divagazioni inutili e pericolose “invasioni di campo”. Il ruolo in cui viene investito il CTU odontoiatrico non significa ovviamente che sia lui ad emettere la sentenza, ma unicamente che può coadiuvare il magistrato a individuare la verità.
Il contenzioso odontoiatrico però è oggi cambiato, aumentando notevolmente in quantità e complessità. Chi scrive lo può tranquillamente affermare dati i numerosi anni di attività odontoiatrica forense. Tempo fa, ad esempio, gli incontri fra CTU e le parti per lo svolgimento dei lavori peritali avvenivano in un confronto sereno ove si cercava di comprendere la problematica in oggetto e rispondere nel modo più chiaro possibile ai quesiti posti dal giudice. Il confronto era “tecnico” cioè sull’argomento odontoiatrico.
Oggi non è più così. Spesso, troppo spesso, la parti attraverso i propri consulenti non perdono occasione di porre sbarramenti capziosi ed inutili nel tentativo di una difesa indifendibile, con comportamenti che palesano un vuoto difensivo che nulla giova alla parte rappresentata, risolvendosi spesso in un maldestro, oltreché illecito, sconfinamento del consulente nella figura del legale rappresentante, se non addirittura del giudice.
Ne è esempio frequente ed eclatante la comparsa, nel corso dei lavori peritali, di documenti non presenti agli atti, prodotti in maniera irrituale e pertanto non acquisibili dal CTU. Acquisizione che non può assolutamente avvenire (salvo ovviamente diversa decisione del giudice al quale va comunicata ogni eventuale richiesta delle parti). Capita quindi che documenti dal fondamentale valore clinico e probatorio non possono essere presi in considerazione perché per lui è come se non esistessero.
Tale situazione pone il consulente nominato dal giudice nella difficile posizione, non tanto di comprendere la situazione che ha dato luogo alla controversia, quanto di non poterla sostenere nel rispondere ai quesiti postigli dal giudice. In parole povere, il CTU non può supplire alle negligenze della parte, addossandosi la responsabilità di una valutazione che manchi di prove o si fondi su prove tardive.
Il consulente del giudice risponderà pertanto solamente ai quesiti postigli, anche se in cuor suo sarà magari convinto delle buone ragioni di chi non riesce a provare le proprie buone ragioni, sapendo che come osserva anche il Manzoni, torto e verità spesso non si possono separare con un taglio netto. Le conseguenze della sua consulenza quasi sempre non saranno da poco, vista la complessità delle problematiche che giungono di solito all’esame del magistrato.
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