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Lenti, sequenziali e costanti: così il comportamento delle persone con autismo

Particolare Fig. 2. Sequenza relativa all’igiene orale domiciliare.
Monica Castellaro, Simonetta Musciacchio, Emilia Seira Ozino

Monica Castellaro, Simonetta Musciacchio, Emilia Seira Ozino

mer. 10 aprile 2013

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Da patologia a modo di funzionare L’autismo è un disturbo di cui attualmente l’eziologia non è nota. È per questo che la diagnosi viene ancora effettuata in base a indicatori comportamentali: ciò significa che, come sintomi, vengono considerati specifici i comportamenti del paziente.

Le conoscenze in merito al disturbo autistico sono in continuo sviluppo e se ne aggiungono di nuove incessantemente, grazie al lavoro di numerosi gruppi di ricerca presenti in tutto il mondo. Il disturbo viene etichettato da Leo Kanner nel 1943: per la prima volta, i bambini con questi sintomi sono raggruppati in una sindrome. Colui che per primo ha identificato la sindrome autistica è invece Asperger, intorno agli anni Venti. Persistono ancora notevoli incertezze in termini di eziologia, di elementi caratterizzanti il quadro clinico, di confini nosografici con sindromi simili, di diagnosi, di presa in carico e di evoluzione a lungo termine. Esistono, inoltre, diversi modelli interpretativi che spiegano il funzionamento della persona autistica, così come esistono trattamenti diversi della patologia.
In questi anni, la Società italiana di neuropsichiatria infantile e adolescenziale (Sinpia) ha stilato le linee guida per creare un riferimento per genitori e operatori. Le linee sono un’insieme di indicazioni, raccomandazioni e suggerimenti basati sulla letteratura internazionale di ricerca e di applicazione delle metodologie riabilitative da parte di professionisti italiani, per permettere alle famiglie e agli operatori di orientarsi nella cura e nel trattamento.
Il manuale di classificazione della patologie usato in Italia, il DSM IV (Diagnostic and statistic Manual of Mental Disorders) usa la categoria nosografica di descrizione e di classificazione dei “Disturbi generalizzati dello sviluppo” (DGSV) o “Disturbi pervasivi dello sviluppo”, in cui sono compresi l’autismo (chiamato “disturbo autistico”) e altri disturbi che, pur distinguendosi da quello autistico propriamente detto, hanno tuttavia con esso alcune affinità: Disturbo di Rett, Disturbo di Asperger, Disturbo disintegrativo dell’infanzia. In pratica, con questi termini ci riferiamo a minori e adulti che, affetti da un disturbo generalizzato di sviluppo, hanno un’alterazione nella normale evoluzione della loro personalità, che si manifesta con compromissioni differenti. I comportamenti più conosciuti sono: difficoltà di interazione sociale reciproca; incapacità di comunicazione; presenza di comportamenti e attività stereotipate; assenza di interessi.
Una persona autistica può essere molto o poco intelligente; le ricerche sostengono che tutti i livelli di Quoziente Intellettivo (QI) possono essere associati all’autismo, anche se in circa tre quarti dei casi è presente un significativo ritardo mentale.

Perché occuparsi di autismo
Uno studio recente dell’Assessorato alla Sanità della Regione Piemonte accerta che nella regione esistono 2,5 minori autistici ogni 1.000 (cioè 1 ogni 400), con una punta di 3,7 nella fascia 6-10 anni (cioè 1 ogni 270). In valori assoluti, il numero di minori con diagnosi ICD10 F84 (Disturbi pervasivi dello sviluppo) è di oltre 1.700; a questi vanno aggiunti altri 370 soggetti di età compresa tra i 18 e i 30 anni. Interessante notare che lo stesso Assessorato nel 2000 riportava dati decisamente più bassi: una prevalenza minima di 4,5 casi per 10.000, con un dato che saliva sopra il 7 su 10.000 per la fascia di età corrispondente alla scuola elementare. Evidentemente il dato era sottostimato a causa di diagnosi non complete.
In Italia si riscontra un caso di autismo ogni 150/200 persone (minori e adulti), ovverosia circa 6 ogni 1.000, che significa circa 285.000-350.000 persone sul territorio nazionale. Ma se si considerano tutti i disturbi dello spettro autistico, il numero aumenta a 550.000. Venti anni fa il rapporto era 1 ogni 1.500/2.000, quindi i casi sono aumentati del 1.000% (mille per cento). I maschi sono 3-4 volte più colpiti.
Anche se non esistono dati aggregati ufficiali in proposito, gli autistici in Europa sono stimati in 5 milioni. Una ricerca sulla diffusione dell’autismo negli Stati Uniti – forse la più seria e completa sull’argomento – anticipa invece i dati che saranno probabilmente rilevati nei prossimi anni in Italia. Si apprende così che ne è affetto un bambino ogni 88, con una diversa percentuale che riguarda maschi e femmine: un bambino ogni 54 e una bambina ogni 225 sono interessati da Disturbo dello spettro autistico. Si tratta di numeri sconcertanti, perché svelano, di fatto, che negli Stati Uniti esistono più bambini autistici che affetti da diabete, Aids, cancro, paralisi cerebrale, fibrosi cistica, distrofia muscolare e Sindrome di Down messi insieme. Sono numeri da oltreoceano che denunciano un aumento dell’autismo del 78% in 5 anni e un aumento di ben dieci volte negli ultimi 40 anni.
Ciò che in sintesi ci interessa come professionisti è la consapevolezza che nel nostro lavoro possiamo incontrare persone con autismo e che il trattamento di cura che queste ci richiedono include da parte nostra la raccolta delle informazioni anamnestiche, la conoscenza del funzionamento del singolo paziente e la predisposizione di un contesto strutturato.
Tuttavia non siamo soli: in questa fase gli operatori e la famiglia della persona autistica possono esserci di grande aiuto.

Autismo/autismi
Sarebbe il caso di parlare di “autismi” piuttosto che di “autismo”, o quanto meno sarebbe opportuno dire “sindrome autistica”, perché le manifestazioni cliniche della sindrome autistica sono alquanto diverse da caso a caso, o almeno da gruppi di casi a gruppi di casi, sia in termini di tempo e modalità di insorgenza, sia in termini di sintomatologia manifesta, con variazioni peraltro anche intraindividuali oltre che interindividuali. Utilizziamo la parola “autismi”, dunque, e non “autismo”; osserviamo bambini che, pur rientrando sotto lo stesso ombrello diagnostico di “sindrome autistica”, risultano apatici o iperattivi, tranquilli o aggressivi, apparentemente con un livello cognitivo integro o insufficienti mentali, infastiditi dai rumori anche lievi o apparentemente indifferenti a suoni e rumori… insomma, capita di osservare e trattare pazienti parzialmente o completamente diversi tra loro, pur risultando tutti affetti da autismo.

Dalle magiche stanze della terapia alla quotidianità
Se il contesto di vita può essere considerato come spazio riabilitativo al di fuori degli ambiti terapeutici, allora è importante diffondere le informazioni e le conoscenze sul funzionamento della mente autistica.
Capire di che cosa ha bisogno l’autistico è possibile con l’aiuto degli esperti e, se comprendiamo il suo funzionamento, diamo significato ad alcuni comportamenti apparentemente inspiegabili e possiamo organizzare un ambiente e una comunicazione che ci metta davvero in relazione con la persona autistica. Gli autistici hanno comportamenti disadattivi per autodifesa, li manifestano per attutire i rumori o perché sono sensibili alla luce o perché bombardati da troppa stimolazione sensoriale. Ai nostri occhi le reazioni a tutto questo sembrano bizzarre, ci creano stupore, sconcerto e talvolta paura. Vediamo alcuni esempi.
Comportamento 1: urlare, lanciare oggetti, spogliarsi, mordere, aggressività…
Gli autistici possono avere problemi di iperstimolazione sensoriale, cioè essere molto sensibili alla luce, ai rumori, agli odori, alla percezione tattile. Tutti noi siamo immersi nel rumore, in una contemporaneità di stimoli, suoni improvvisi e irregolari, imprevedibilità, rumori acuti e continui, ma nel mondo in cui viviamo gli autistici fanno fatica a selezionare le informazioni, provano fastidio e sofferenza. Sovente i loro comportamenti disadattivi nascono dalla confusione dell’ambiente e sono reazioni alle iperstimolazioni. Nei centri, in famiglia, a scuola le persone parlano contemporaneamente o si rivolgono all’autistico da una certa distanza, mentre una televisione è accesa ad alto volume oppure c’è molto disordine sui tavoli: la confusione può essere ovunque. Gli autistici utilizzano molto il senso dell’olfatto e alcuni ambienti sono pieni di odori, che restituiscono loro delle informazioni.
Comportamento 2: movimenti ripetitivi.
Gli autistici possono avere movimenti stereotipati delle mani, manierismi verbali, ripetere parole all’infinito. Sono sequenziali e costanti e non tollerano le interruzioni della routine. Si arrabbiano subito: sono poco reattivi ai cambiamenti dell’ambiente. Sono rigidi e hanno bisogno di fotografare la realtà in modo one-to-one, per loro l’ambiente è mutevolissimo e lo tengono sotto controllo con le stereotipie, movimenti ripetitivi svolti con oggetti o con parti del corpo, come ad esempio lo sfarfallio delle mani davanti agli occhi o lo scorrere di una pallina su una superficie piana. Questi movimenti hanno la funzione precisa di calmare la persona e di resettare la loro mente dalla iperstimolazione e dalla mutevolezza degli stimoli. Le stereotipie, ritenute disadattive da noi, per loro sono adattive, cioè funzionali al proprio benessere. Oggetti che compiono sequenze circolari o ripetitive (come lavatrici, ventilatori, clessidre) li rassicurano, perché è chiaro da dove parte il movimento e dove arriva: non c’è imprevedibilità. Prediligere le sequenze prevedibili è il principio che governa la scelta di rivedere all’infinito film e cartoni animati dei quali conoscono già le battute e la trama.
Comportamento 3: nessun contatto oculare, poca interazione verbale.
Gli autistici sono lenti nel processare le informazioni: Sovente non rispondono alle nostre domande, non ci guardano negli occhi, ma questo non significa che non abbiano udito le nostre parole. Per entrare in contatto, noi dobbiamo segmentare la richiesta; quello che chiediamo deve essere frazionato e proposto poco alla volta. Essi sono visivi, pensano per immagini, quindi nella comunicazione con loro occorre utilizzare foto e immagini come oggetti facilitatori. Per la mente di alcuni di loro le parole sono rigide e poco comprensibili, l’immagine è più efficace.

Approccio clinico all’igiene orale
La sfida non è guarire l’autismo, ma fare in modo che non produca una forte disabilità. Non è l’autismo che limita l’inclusione, bensì la disabilità prodotta dall’autismo, ed è su quella che dobbiamo lavorare, facilitando l’adattamento della persona autistica e rimuovendo gli ostacoli al suo raggiungimento.

Come organizzarsi?
Prima di iniziare a trattare un paziente autistico dal punto di vista odontoiatrico, è necessaria un’approfondita discussione della sua anamnesi personale medica e odontoiatrica, e può essere necessario ottenere alcune informazioni dal medico, dal neuropsichiatria infantile, dal logopedista e dalle altre persone vicine al paziente. Ad ogni seduta dovrebbe partecipare lo stesso personale sanitario, in modo che egli non sia disturbato dai cambiamenti e che non venga perso tempo perché si orienti di nuovo. La famiglia è una fonte di informazione indispensabile poiché può fornire un quadro più preciso delle risorse di cui il soggetto può disporre, come ad esempio:
- cosa piace al paziente e cosa lo tranquillizza (film, musica, immagini...) per poter mettere in atto delle tecniche di distrazione nel caso in cui si dovessero eseguire manovre odontoiatriche che richiedono un tempo di esecuzione mediamente lungo.
- Cosa lo spaventa o se ci sono degli odori o dei rumori che lo infastidiscono.
- Capire il livello di attenzione del paziente e la sua coordinazione oculo-manuale per consigliare la migliore tecnica di spazzolamento o l’uso dello spazzolino elettrico.
- Quali sono le sue isole di abilità, cioè tutte quelle manovre che il soggetto riesce a compiere bene e che lo gratificano (ad esempio, disegnare), per fargliele eseguire dopo la seduta odontoiatrica ed evitare che questa sia associata a un evento altamente frustrante e poi difficile da ripetere.
- Quali sono quali sono le ricompense più gradite per poter rinforzare l’approccio positivo all’ambiente odontoiatrico.

Questi i punti principali, che verranno analizzati nel dettaglio:
1. creare un’agenda iconica o una storia sociale;
2. preparare ambienti adatti con pochi accorgimenti essenziali;
3. usare una gradualità “step by step”.

Creare un’agenda iconica
Un’agenda iconica è un album di foto che ritrae le varie fasi che l’autistico dovrà affrontare per sottoporsi al lavoro del dentista: l’ambiente nel quale si troverà, seguito dalla successione delle manovre operative, dagli strumenti utilizzati e così via. Il sistema di comunicazione PCS (Pictures Communication Sistem) prevede l’utilizzo di una serie di immagini con le quali possiamo supportare la comprensione delle informazioni verbali e con queste comunicare con il soggetto autistico.
Sono stati sviluppati vari insiemi di immagini che non sostituiscono la comunicazione verbale con un simbolo grafico, bensì con un’immagine realistica per rendere concreto tutto ciò che non lo è. Le immagini devono essere ordinate secondo una sequenza logica, che deve avere un inizio e una fine; devono essere orientate secondo l’ordine temporale degli avvenimenti ed essere disposte da sinistra verso destra o dall’alto verso il basso. Le foto vanno prese dal punto di vista della persona autistica e non dal suo esterno. Le angolazioni con cui vengono riprese le foto devono rappresentare quello che lui vedrà, non quello che si farà, altrimenti le immagini potrebbero non funzionare. Il consiglio è di farsi aiutare nella realizzazione dell’agenda dal logopedista, dall’educatore o da un genitore, in genaerale da coloro che conoscono il funzionamento della persona che abbiamo in trattamento. Per rendere più immediata la comprensione di ciò che sta per accadere, bisogna usare dei supporti visivi; nella maggior parte dei casi la mente autistica pensa per immagini. Per preparare il paziente autistico alla visita in studio, tenendo conto di quanto appena detto, potrebbe essere utile disporre un “racconto” che riprenda alcuni concetti delle “storie sociali”. Il racconto è composto da una serie di immagini sequenziali che riproducono esattamente tutto ciò che lui vedrà quando si presenterà in studio: il portone d’ingresso, la sala d’attesa, lo studio operativo, la poltrona su cui si dovrà sedere, e così via (Fig. 1). Il racconto dovrà essere consegnato alla famiglia su formato cartaceo o su file una settimana prima rispetto all’appuntamento concordato, facendolo vedere al paziente tutti i giorni, una volta al giorno.

Preparare l’ambiente
L’ambiente in cui si troverà il soggetto autistico non deve prevedere troppe persone, e le stesse non dovranno usare troppe parole. Se possibile, occorre limitare al minimo gli strumenti utilizzati. In alcuni casi potrebbe essere utile togliere il camice bianco (troppo evocativo di esperienze sanitarie spiacevoli) oppure mettergli una mascherina (tipo quella usata sugli aerei per ripararsi dalla luce) davanti agli occhi. Delimitare lo spazio significa prepararlo e renderlo più funzionale allo scopo. La delimitazione dà la certezza che le cose avvengano in un luogo e in un tempo definiti, e con una modalità precisa: crea nella mente dell’autistico la prevedibilità delle azioni del professionista. In tal modo diminuisce l’ansia che attiverebbe comportamenti disturbanti. Nello spazio aperto c’è confusione e non c’è una definizione precisa di dove le azioni avvengano; l’azione compiuta dal dentista o dall’igienista dentale deve invece sempre avere uno spazio delimitato, un prima, un durante e un dopo. Occorre sempre segnalare cosa gli chiediamo di fare e cosa stiamo realmente facendo.

Gradualità “step by step”
Le sedute previste devono durare un tempo che sia il più breve possibile. Nella prima seduta, l’obiettivo deve essere quello che il nostro soggetto familiarizzi con lo studio dentistico: è consigliabile, infatti, portarlo a vedere il luogo, farlo sedere sulla sedia senza avviare il trattamento (secondo la tecnica dello shaping*) oppure farlo assistere a qualche intervento eseguito su un altro paziente, per dimostrargli, ad esempio, che la trapanazione di un dente o l’ablazione del tartaro non causano la morte del paziente (secondo la tecnica del modeling**). Durante la seduta, occorre parlare poco e insegnargli a fidarsi, facendo esattamente quello che si dice e assicurando, quindi, la coerenza tra le azioni e le immagini mostrate. In questa fase è quindi necessario:
- creare un ambiente tranquillo, privo di stimoli sensoriali fastidiosi per il paziente;
- non utilizzare, preferibilmente, alcuno strumento;
- per le istruzioni, assumere la modalità del “mostrare-dire-fare” (tell-show-do) ripetendole molte volte;
- applicare i procedimenti di modificazione del comportamento usando la collaborazione del genitore per condizionare il paziente;
- presentare le misure preventive o di cura in maniera semplice, passo dopo passo;
- al termine della seduta avvenuta con successo, prevedere rinforzi motivazionali (token) con gratifiche personalizzate sulla base delle informazioni ricevute dagli operatori.

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Igiene orale domiciliare
È molto importante insistere sempre sulla prevenzione domiciliare per inserire corrette abitudini di igiene orale nelle routine di autonomia personale. Anche per quanto riguarda l’istruzione all’igiene orale domiciliare (IOD) può essere utilizzata una sequenza di immagini da posizionare di fronte al lavandino, che riproduca la sequenza corretta delle manovre da eseguire (Fig. 2).
Inoltre, si può fornire ai genitori una tabella che permetta loro di registrare i miglioramenti fatti dal paziente, e mettere in evidenza i passaggi sui quali si nota una maggiore difficoltà, in modo da organizzare dei semplici esercizi a tavolino con lo scopo di sviluppare la coordinazione oculo-manuale (Fig. 3).

Conclusioni
Secondo recenti indagini, i soggetti affetti da autismo risultano tra le categorie ad alto rischio per quanto riguarda la salute orale; questo è dovuto principalmente alla loro difficoltà nel mantenere corrette e costanti le abitudini di igiene orale. Per questi pazienti risulta particolarmente importante essere seguiti fin dall’infanzia attraverso piani di prevenzione primaria delle patologie orali che coinvolgano anche le famiglie e gli operatori che ruotano attorno a loro, al fine di ridurre al minimo interventi odontoiatrici invasivi che potrebbero richiedere, in molti casi, la necessità di un’ospedalizzazione e di un’anestesia generale. Dati i numeri elevati delle persone affette da Disturbo pervasivo dello sviluppo e il loro naturale inserimento nella società, si auspica che, alla sensibilizzazione e all’informazione sui temi dell’autismo e del suo trattamento odontoiatrico, siano dati un giusto spazio, sia nell’ambito dell’aggiornamento sia nella formazione iniziale delle professioni odontoiatriche, e che, sempre di più su tutto il territorio nazionale, siano realizzati servizi adeguati, soprattutto di prevenzione primaria attraverso strutture pubbliche e private.

Note
* Shaping, o modellaggio: è una tecnica per modellare il comportamento che vogliamo venga raggiunto in modo graduale. La persona emette delle approssimazioni successive sempre più precise e simili al comportamento desiderato o richiesto.
** Modeling, o modellamento: tecnica che consiste nel far osservare una persona significativa (meglio se pari) che realizza il comportamento appropriato. La persona funge da modello, ci si basa sul processo imitativo.

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L'articolo è stato pubblicato sul numero 1 di Hygiene Tribune Italy 2013  

 

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