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La gestione dell’alveolo estrattivo nel trattamento implantare alla luce delle più recenti acquisizioni

A. Bermond des Ambrois, L. Savio

A. Bermond des Ambrois, L. Savio

lun. 4 giugno 2012

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La sostituzione di elementi dentari compromessi mediante impianti in titanio osteointegrati è, ormai da molti anni, pratica predicibile, consolidata nei protocolli ed estesa a un sempre maggior numero di operatori. L’osteointegrazione è un fenomeno biologico oggi ben conosciuto, che permette e supporta il successo a lungo termine delle riabilitazioni implantari.

La nuova frontiera, dunque, non è quella di dimostrare che gli impianti funzionano e resistono nel tempo, ma quella di cercare di ottenere la naturale armonia nel rapporto fra denti e tessuti di supporto che molto spesso è vanificata dai fenomeni di rimaneggiamento che interessano l’alveolo dal momento dell’estrazione, coinvolgendo inevitabilmente l’aspetto dei tessuti gengivali soprastanti.
Raccogliere la sfida, oggi, vuol dire gestire il precoce e irreversibile riassorbimento post-estrattivo dell’alveolo, in modo tale da minimizzare gli effetti negativi sull’estetica finale.
Con questo scritto cerchiamo di offrire un modello di comportamento razionale da applicare ogni qual volta decidiamo di sostituire un elemento dentale compromesso, volendo raggiungere un risultato finale che soddisfi, per quanto possibile, la richiesta funzionale ed estetica che la moderna odontoiatria ci impone.

Discussione
Alla luce di ciò che osserviamo nella nostra pratica quotidiana, confermata dall’analisi della più recente letteratura, i fenomeni che caratterizzano il fisiologico rimaneggiamento alveolare dopo l’estrazione, condizionano severamente le nostre scelte operative che dovranno fare i conti molto spesso con volumi di tessuti duri e molli inadeguati per ottenere un completo successo (Amler,1969) (Covani, 2011).
Shropp (2003) ha osservato come le repentine modifiche morfologiche delle creste alveolari nei settori posteriori possono ridurre in modo significativo la possibilità di inserire gli impianti in posizione protesicamente ideale. È stato anche sottolineato che non tutti i siti premolari e molari subiscono lo stesso riassorbimento con la stessa velocità. Una parete alveolare con spessore vicino ai 2 mm resiste meglio nella guarigione post-estrattiva rispetto a quelle di spessore inferiore al millimetro (Ferrus, 2010).
Nevins (2006), con uno studio multicentrico, randomizzato e controllato, ha sottolineato l’importanza e i vantaggi di applicare una tecnica di preservazione dell’alveolo all’atto della estrazione dei denti dell’arcata superiore nel settore anteriore. In questa sede, infatti, a causa dell’inevitabile perdita del sottile bundle bone con l’estrazione, si ha nella quasi totalità dei casi un precoce collasso della bozza radicolare con importante compromissione della naturale morfologia dei tessuti.
Recenti studi anatomici che si sono avvalsi della tomografia computerizzata Cone Beam, confermano che il settore a più alta valenza estetica nel cavo orale, ovvero il settore anteriore del mascellare superiore, è anche quello predeterminato geneticamente ad avere i più sottili e quindi delicati spessori delle pareti alveolari, soprattutto a livello vestibolare (Myamoto, 2011) (Braut, 2011).
Negli anni passati, e ancora oggi, la socket preservation è stata oggetto di molteplici studi con l’utilizzo di diversi materiali di riempimento alveolare (Fugazzoto, 2005) (Cardaropoli, 2008) (Araujo, 2008) (Rasperini, 2010). La predicibilità della metodica è sicuramente buona ma riteniamo che non sia tale da garantirci sempre un risultato soddisfacente, nel senso di un mantenimento ideale delle strutture alveolari con neo-formazione ossea adeguata al posizionamento dell’impianto. Spesso si assiste all’infiltrazione di tessuto fibroso nella compagine intra-alveolare con inevitabile scadimento della qualità ossea finale soprattutto nella variante “aperta”, nella quale l’alveolo viene riempito con biomateriale volendo ottenere una guarigione dei tessuti molli per seconda intenzione (Ten Heggler, 2011). Nuovi materiali di riempimento e recenti ricerche sull’utilizzo di centrifugati ematici derivati dal sangue prelevato dal paziente in grado di concentrare fattori di crescita mirati alla riparazione tissutale, creano motivate speranze nell’ottimizzare questa e altre metodiche nell’ambito della ricostruzione ossea (Rodella, 2010).
Grunder (2011) recentemente propone una tecnica di preservazione dell’aspetto vestibolare anticipandone il collasso utilizzando tessuto connettivo inserito vestibolarmente alle strutture alveolari.
Brugnami (2011) suggerisce un protocollo simile al precedente ma con l’impiego di bio-materiale granulare a lento riassorbimento, indovato in una mini busta ricavata sul tavolato corticale vestibolare all’atto dell’estrazione.

Materiali e metodi
Si propone, quindi, una tavola sinottica che raccoglie in sintesi la maggior parte delle situazioni cliniche con le quali dobbiamo confrontarci quotidianamente.
Si vuole altresì riaffermare che tra gli scopi da raggiungere vi è il ripristino dell’aspetto della porzione vestibolare, in special modo nel settore antero-superiore, laddove la perdita della bozza radicolare in seguito a estrazione penalizza in modo significativo il risultato finale di un impianto che, pur se integrato, non potrà mai simulare l’elemento naturale per il venir meno della normale morfologia dei tessuti perimplantari.
Nelle soluzioni proposte, oltre all’applicazione di tecniche muco-gengivali e di chirurgia ossea ricostruttiva, è spesso necessario utilizzare presidi tecnologici forniti sul mercato che rendono più semplice e predicibile il risultato da ottenere. Riferimento d’obbligo è la piezochirurgia (Surgybone, Silfradent, Italia) che ci permette con notevole precisione e modesto impatto chirurgico, di preparare il sito implantare in modo semplice e veloce.
Altro presidio irrinunciabile è da considerare un impianto adatto a essere utilizzato come post-estrattivo (SPI, Alpha-Bio Tec, Israele), le cui caratteristiche principali possono essere riassunte in una macro-geometria a spire aggressive che creano le condizioni per avere ottima stabilità primaria in pochi millimetri di osso; situazione tipica dell’implantologia post-estrattiva immediata che riduce i tempi complessivi di trattamento, mantenendo intatta la probabilità del successo.
I principi che guidano le tecniche di ricostruzione ossea e quelle di chirurgia muco-gengivale sono certamente richieste all’operatore che vuole offrire al suo paziente una prestazione al passo con i tempi. È quindi raccomandabile che il progetto sia inserito nel punto corretto della curva di apprendimento dell’operatore.

Casi clinici
Caso 1
Si descrive un caso clinico classico di post-estrattivo immediato. La radice dell’elemento ha una prognosi infausta ma l’alveolo presenta ancora una corticale vestibolare integra ed essendo un biotipo gengivale spesso, si ipotizza uno spessore maggiore di 2 mm. La rigenerazione perimplantare (riempimento del gap) viene eseguita con biomateriale di origine bovina deproteinizzato e deantigenato e l’alveolo ricoperto da una membrana in collagene a lento riassorbimento lasciata esposta. Non si cerca intenzionalmente una guarigione di prima intenzione poiché nella fase di guarigione iniziale i tessuti molli migreranno creando una quantità maggiore di gengiva cheratinizzata. Si noti come avendo lasciato la vite chirurgica sull’impianto si è riusciti a ottenere una completa chiusura dei tessuti. Un’alternativa sarebbe stata quella di inserire una vite di guarigione più alta per ottenere una guarigione più simile a impianti “one stage”.

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Caso 2
Si descrive un caso di impianto post-estrattivo differito, scelta operativa legata principalmente all’anatomia residua dell’alveolo. In fase pre-estrattiva si è diagnosticata la perdita della corticale vestibolare ipotizzando un difetto osseo residuo molto esteso e altamente infetto. Volendo ottenere una rigenerazione più predicibile si è optato per l’inserimento della fixture e una rigenerazione perimplantare differita in modo da avere tessuti molli adeguati per ottenere una guarigione sommersa. È stato possibile ottenere una stabilità primaria ottimale della fixture in un difetto osseo molto esteso grazie alla geometria dell’impianto e all’utilizzo di inserti piezoelettrici per una sottopreparazione controllata.

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Caso 3
Si descrive un caso clinico che presenta un difetto osseo post-estrattivo molto esteso con un’infezione cronicizzata. Per questo motivo si è pianificato un intervento di GBR con biomateriale di origine bovina associato a una tecnica CGF (Concentrated Growth Factors) ottenuta da un separatore ematico specifico (Medifuge, Silfradent, Italia). Si noti come il difetto osseo comprende la completa perdita della corticale vestibolare e un’ampia fenestrazione palatina. A distanza di 6 mesi è stato possibile inserire un impianto nel sito rigenerato con un’ulteriore piccola rigenerativa perimplantare.

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Caso 4
Si descrive un caso di rigenerazione post-estrattiva immediata con la ricopertura del biomateriale (beta fosfato tricalcico) mediante una membrana in collagene lasciata esposta all’ambiente orale secondo la tecnica di socket preservation descritta da più autori. Questo ha permesso il mantenimento dei volumi ossei contestualmente all’estrazione, con guarigione dei tessuti molli per seconda intenzione. L’istologia ottenuta a 5 mesi dimostra una guarigione ossea iniziale con presenza di osso lamellare in profondità e woven bone più in superficie. La qualità ossea trovata ha permesso l’inserimento della fixture ma, avendo praticato la rigenerativa alveolare aperta, si è resa necessaria un’ulteriore rigenerativa perimplantare a livello coronale, come spesso accade applicando questa metodica. Tali problematiche sono state ben descritte da autori olandesi nella loro revisione sistematica della letteratura in cui si conclude che probabilmente a tutt’oggi la migliore tecnica risulta l’attesa della guarigione dei tessuti molli che rende possibile una rigenerazione chiusa, più protetta e quindi più predicibile (Ten Heggler, 2011).

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Conclusioni

Considerando le molteplici variabili anatomo-patologiche degli alveoli estrattivi nei siti da riabilitare a diverso “stress estetico”, è necessario individuare di volta in volta l’approccio più idoneo a soddisfare le necessità biologico-funzionali dell’impianto e quelle estetiche del paziente. La scelta del modus operandi, nella realtà dei fatti, dovrà sempre tenere in considerazione altre variabili quali la lunghezza complessiva del trattamento, i costi dei materiali, la gestione del paziente quando sia necessario proporre atti chirurgici che, pur nella ricerca della mini-invasività, saranno necessari per aumentare la disponibilità di tessuti molli con piccoli innesti liberi dal palato e la quota di osso con l’inserimento di biomateriale (Nevins, 2006) (Buser, 2008).

L'articolo è stato pubblicato sul numero 2 Implant Tribune 2012.

 

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