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In un paziente edentulo la ricerca archeologica nella bocca richiede uno scavo complesso

 Luigi Gallo

Luigi Gallo

mer. 27 giugno 2018

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Il cavo orale può apparire come un’antica caverna da cui trarre elementi per risalire agli usi e alle abitudini di chi la abitò. La protesi totale in un paziente edentulo è come una tabula rasa, una pagina vuota con cui il dentista si deve cimentare.

Il cavo orale, (sostantivo qui quanto mai appropriato, trattandosi di struttura anatomica svuotata del suo prezioso contenuto) è per noi una landa priva di riferimenti immediatamente visibili, tuttavia ben custoditi nella memoria del paziente.

Ed è nella memoria del paziente che rintracciamo indizi marginali ma importantissimi: come una sss sibilata appena più del dovuto, bussola fonetica nel deserto anatomico: una volta templum panis et verbi e giunta magnificato da una luminosa chiostra di denti. La soluzione adottata, dopo una diligente analisi, nulla introduce di arbitrario o fantasioso ma la devota ricostruzione di un ordine già turbato dalla durezza del vivere e dalla pinza facile. Cominciamo con la descrizione di un caso clinico, dal momento che anticipa la complessa problematica di costruire un apparato masticatorio partendo da zero.

Era venuto nello studio un anziano paziente che aveva perso quasi tutti i denti. L’alimentazione papposa a cui era costretto gli lasciava sulla lingua una cotenna verdastra e ben aderente. Si trattava di un utilizzo vicariante della lingua: schiacciare e mescolare polpette e purè contro il palato.

Compensava la mancanza di denti trasferendo sulla lingua quelle coordinazioni simboliche, meccaniche e affettive che lo riallacciavano ai primi mesi di vita, quando succhiava il latte dalla mammella schiacciando il capezzolo tra lingua e palato. Il recupero della saliva in esubero avveniva con un rapido quanto disinvolto risucchio agli angoli della bocca che si riverberava a ritroso in un sibilo slabbrato accentuato dalle guance flosce.

Mancando la fitta palizzata di denti non poteva arginare altrimenti le bave. I valli in cera con cui si studia l’estetica, la fonetica e la dimensione verticale del paziente rispettano regole geometriche molto precise. Inseriti in bocca e apportate le modifiche necessarie sulla cera, i valli debbono essere ogni volta riallineati al piano di Camper. Un lavoro manuale estremamente delicato che richiama la geometria delle risaie del vercellese, in cui le piantine di riso, a mazzetti, vengono distribuite per tutto il campo perfettamente livellato e ricoperto con poche dita d’acqua, bene prezioso e non illimitato, che non si vuole ristagni in eccesso in un angolo più declive lasciando asciutto quello opposto.

Per livellare i campi l’agricoltore usa oggi sofisticati sistemi satellitari connessi al trattore, mentre il dentista per livellare la cera in linea col paino di Camper e col segmento interpupillare usa ancora la spatola scaldata sul Bunsen e la forchetta di Fox.

Ci vogliono sedute dedicate, per interrogare, come un archeologo davanti ad antiche rovine, la memoria dello spazio masticatorio, registrata e stratificata a vari livelli: muscolare, propriocettivo, scheletrico e nervoso. Se ben studiata e guidata la mandibola va nella giusta posizione. Così come avviene serrando i denti, quando presenti, ma non essendo questo il caso del paziente edentulo, la ricerca richiede un complesso scavo archeologico.

Lo sterro grossolano si fa col badile, ossia accompagnando il paziente nell’esecuzione di alcuni movimenti. Quindi scopetta e paletta per togliere il terriccio e portare in superficie gli strati via, via affioranti. Questo richiede un udito fine per cogliere piccole differenze di suono quando si provano i denti e si invita il paziente a pronunciare alcune parole. Se facendogli dire “Missisipi” i denti battono, bisogna rivedere l’intera composizione. Con piccoli aggiustamenti si raggiunge infine una qualche armonia fonetica e di movimento che sono i presupposti di una adeguata funzione masticatoria.

 

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