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Il Patch Adams nello studio: effetti terapeutici dell’umorismo

G. Forabosco

G. Forabosco

ven. 19 maggio 2017

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Il paziente seduto sulla poltrona odontoiatrica ha una presenza fisica importante, imponente e robusta. Ma è irrequieto, agitato. L’odontoiatra: «Ma come? Grande e grosso e ha paura del dentista?» Ecco un esempio di battuta di regola sconsigliabile. Ha una formulazione ironico sarcastica e suona scherzosa, ma è poco opportuna. In effetti potrebbe anche funzionare come intervento per controllare le manifestazioni di ansia del paziente che spesso sono di intralcio al lavoro.

Sollecitato nell’orgoglio e non volendo fare la figura del pavido il paziente può sforzarsi e diventare più collaborativo. Ma è probabile che, pur se le manifestazioni comportamentali disturbate e disturbanti si riducono, una quota dell’ansia sottostante comunque rimanga. Con l’aggravante di essere conculcata, repressa e quindi ancora meno sotto il controllo cosciente e volontario. In realtà quello su cui si agisce è un conflitto tra due emozioni negative, la paura e la vergogna. Soprattutto se la battuta sarcastica non è occasionale, le conseguenza possono essere problematiche.

Oltre che lo stato di benessere del paziente può risentirne anche la qualità del rapporto con il curante. Viene messa in gioco la fidelizzazione, la frequenza e la durata delle cure. Il paziente può essere tentato di venire una volta in meno o addirittura di recarsi altrove. Il rischio è di solito minore se il rapporto è datato e consolidato e quindi è presumibilmente più resistente. Prese in giro e battute sarcastiche tra amici non solo non danneggiano ma anzi alimentano l’amicizia. Quando però la relazione è di tipo professionale e in gioco entrano salute, impegno economico, paure razionali e irrazionali, le cose diventano delicate.

L’umorismo è una delle risorse efficaci per rendere favorevole e produttivo un rapporto professionale. A condizione che sia usato in modo opportuno e adeguato. Il “Comportamento spiritoso” (Gulotta e al. 2001) è il titolo di uno dei libri dedicati a questo tema in particolare per quello che riguarda la relazione e la comunicazione. Il filo conduttore è delineare come l’umorismo svolga positivamente e gradevolmente funzioni importanti, specie come facilitatore dei rapporti umani, ma anche come vi siano regole, criteri, indicazioni e controindicazioni.

L’impatto di ampia risonanza di Patch Adams, che ha acquistato popolarità di massa con il film interpretato da Robin Williams, ha segnalato il ruolo benefico dell’umorismo e del riso in ogni ambito, non solo in quello più abituale della quotidianità, dello spettacolo massmediatico e del divertimento in genere. Sofferenza e umorismo fino ad allora erano percepiti come distanti e incompatibili. Il cambiamento è stato radicale. Sono diventate molto numerose le esperienze di interventi come quelli dei clown dottori, dottor sorriso ecc. che entrano negli ambienti ospedalieri con i nasi rossi e portano momenti di distrazione e leggerezza ai pazienti, soprattutto bambini.

L’umorismo è entrato anche nel processo di miglioramento e guarigione sia in senso psicologico che somatico, come coadiuvante dei trattamenti e come fattore per un buon rapporto curante-paziente. Si parla di “terapia dell’umorismo” in senso ampio, come ricerca di benessere (Cerritelli, 2013) ma anche in senso stretto, per esempio in un trattamento psicoterapeutico (Fry e Salameh, 1987).

Anche nello studio odontoiatrico l’umorismo offre i suoi apprezzabili servizi, in particolare per la gestione dell’ansia del paziente. Un’ansia che rispetto al passato ha molte meno ragioni di essere grazie alla tecnologia e alle metodiche per il controllo del dolore e del disagio, ma che per molti pazienti mantiene ancora un’attiva base irrazionale (si veda ad es. Forabosco e Forabosco, 1984).

Nello specifico contesto odontoiatrico non si parla, di nasi rossi o pratiche clownesche che hanno senso e finalità in altri ambiti. Dal dentista il paziente aspira e ha bisogno di avere a che fare con un professionista serio, affidabile. Il che è comunque diverso dal dire distaccato e “serioso”. Nel modo e nel momento opportuno una battuta, un’espressione leggera e spiritosa possono aiutare il paziente a sentirsi più a suo agio, meno teso e più disponibile alla collaborazione.

In uno studio pionieristico condotto presso l’Università di Modena (Belli, 1990), sono stati esaminati gli stili comunicativi di alcuni odontoiatri, dove emerse che lo stile realistico, pratico, concreto, improntato alla serietà era quello più comune. Meno frequente quello caratterizzato da molti riferimenti tecnici, descrizioni dettagliate delle procedure, dei materiali, della strumentazione ecc. Lo stile spiritoso, con contenuti e intonazioni ironiche e scherzose, è risultato molto diffuso ma non tanto come stile prevalente quanto contestualmente e in combinazione con altri. Un dato di notevole interesse è stato che lo stile spiritoso tendeva a comparire in misura maggiore con l’aumentare della severità dell’intervento. L’osservazione che ne derivava metteva in luce il positivo ricorso all’umorismo nella gestione dell’ansia e dello stress.

Nell’attivare l’umorismo va tenuto conto dell’equazione personale del professionista, vale a dire delle sue caratteristiche, tendenze e preferenze. Chi non trova facile e spontaneo essere all’occasione spiritoso può astenersi piuttosto che suonare artificioso. Ma ha anche, volendo, l’opzione di seguire un percorso di tipo formativo, nei corsi che “addestrano” nell’uso dell’umorismo in contesti professionali, come quelli manageriali (v. le esperienze cosiddette di humor training).

A volte è appropriato e sufficiente valorizzare le possibilità offerte dal para-verbale, dal tono cioè in cui si dicono le cose. Si provi, ad esempio, a saggiare i vari “toni” in cui un semplice “come va?” può essere detto, ossia atono, piatto, grave, sarcastico, ansioso, euforico, spiritoso e identificare il più opportuno e funzionale nella circostanza. Un’alternativa, un’osservazione leggera adatta per il paziente di cui si è parlato all’inizio? Le opzioni sono varie e la scelta di quella più adeguata va affidata all’equazione personale e al tipo di rapporto stabilito.

A titolo puramente esemplificativo, una verbalizzazione che cambia la prospettiva permettendo al paziente di alleggerire la sua preoccupazione perché l’odontoiatra ha colto il disagio e ne tiene conto scherzandoci sopra, può essere: «Lo so che lei, sotto sotto, non ha paura di me, perché sono io a dover avere paura di lei!».

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