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Gaetano Calesini: la Natura fonte di ispirazione

Gaetano Calesini (© Gaetano Calesini).
Patrizia Biancucci

Patrizia Biancucci

mar. 11 febbraio 2020

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Il condizionamento dei tessuti molli perimplantari è ormai parte integrante delle terapie implanto-protesiche, soprattutto nelle zone estetiche, con una sequenza che finora ha visto il protesista condizionare i tessuti una volta finita la parte chirurgica.

Ma un nuovo approccio, che permette di iniziare il condizionamento tissutale già nella prima fase chirurgica durante l’inserimento dell’impianto, e utilizzarlo come strumento per cambiare l’anatomia, è filo conduttore nel libro di recente pubblicazione “Implantoprotesi biomimetica - Management Tissutale Morfogenico” a firma di Gaetano Calesini e Agostino Scipioni. Il MTM, fondato su concetti biologici e su processi di ingegneria inversa, promuove gli impianti e le componenti protesiche da semplici strumenti per l’ancoraggio protesico a eccezionali dispositivi per ottenere sia il ripristino anatomico dei tessuti peri-implantari sia la loro stabilità a lungo termine. Approccio biomimetico multidisciplinare e minimamente invasivo, l’MTM consente di ottimizzare l’integrazione mimetica dei dispositivi implanto-protesici in un’unica seduta chirurgica, evitando il ricorso a membrane, materiali alloplastici e procedure chirurgiche invasive e/o multiple. Gaetano Calesini, una vita dedicata allo studio, alla ricerca e alla clinica, past-president della Accademia Italiana di Odontoiatria Protesica, da oltre trent’anni fa attività didattica, con seminari e conferenze in Europa, Asia ed USA. Entriamo con lui in questo universo frutto di una cultura medica prima che odontoiatrica, testimonianza di un approccio diagnostico e terapeutico di ampio respiro, che osserva la Natura per carpirne i suoi segreti.

Dr. Calesini, nel libro “Implantoprotesi biomimetica - Management Tissutale Morfogenico”, di cui è coautore con Agostino Scipioni, troviamo un approccio all’implantoprotesi che sembra rivoluzionare i rapporti biologici tra dispositivo implantare e ripristino dei tessuti peri-implantari. Ritiene che sia alla portata di tutti? Può spiegarlo al dentista medio?
Alla perdita del dente naturale segue, inesorabilmente, il riassorbimento dei tessuti osteo-muco-gengivali. Il riassorbimento tissutale altera il contesto anatomico in cui verrà alloggiato il dispositivo protesico e ne rende difficile, se non impossibile, la mimesi. Mentre le revisioni sistematiche finora pubblicate riportano risultati deludenti per quanto riguarda la reale rilevanza clinica della cosiddetta preservazione dell’alveolo, appaiono affidabili numerose metodiche rigenerative per compensare i deficit tissutali. Quello che però accomuna tutte le tecniche rigenerative fin qui proposte è la loro complessità, la necessità di sottoporre il paziente ad interventi multipli ed il tempo totale di trattamento molto esteso.

Il MTM, un approccio biomimetico che nasce da un processo di ingegneria inversa, usa gli impianti e le componenti protesiche per programmare, ottenere e mantenere nel tempo il ripristino morfologico dell’area edentula, compensando i riassorbimenti tissutali orizzontali.

Il posizionamento dell’impianto e la compensazione dei deficit tissutali si realizzano mediante un unico intervento realmente mini-invasivo (no membrane, no trapianti di osso o di connettivo) e dopo due/tre mesi è possibile intraprendere le procedure protesiche.

Nel testo è descritta l’applicazione dell’approccio MTM in tutte le situazioni che il clinico affronta giornalmente, corredata da un’ampia casistica. La curva di apprendimento dell’approccio MTM è molto meno complessa delle tecniche rigenerative alternative, vale a dire membrane con o senza rinforzo e/o innesti ossei, etc.. Direi che l’approccio MTM è confacente sia alla routine degli specialisti, chirurghi e/o protesisti, sia al dentista generico: infatti il 70% dei partecipanti ai miei corsi formativi residenziali sono dentisti generalisti.

Lei sostiene che il sito implantare deve essere ipercorretto chirurgicamente, altrimenti il risultato protesico ne risente. È questo il concetto su cui si basa il Management Tissutale Morfogenico?
Non proprio, perché l’ipercorrezione chirurgica dei tessuti peri-implantari è un must con qualsiasi approccio utilizzato. Per ottenere una buona integrazione mimetica del dispositivo implanto-protesico è necessario iniziare le procedure protesiche partendo da un sito ipercorretto. Il Management Tissutale Morfogenico rende però facile, sicuro ed economico ottenere questa condizione di base routinariamente.

Quali sono i vantaggi per il paziente?
I vantaggi per il paziente sono numerosi e possono essere così riassunti: minimo disconfort intra e post-operatorio, minimi costi biologici, economici e temporali, massima sicurezza nel risultato finale ma, soprattutto, l’assenza di complicazioni e il mantenimento dei risultati a lungo termine che rappresentano i punti critici delle altre procedure rigenerative attualmente utilizzate in implantoprotesi. Ai vantaggi per il paziente vanno aggiunti quelli per l’operatore e tra i più rilevanti: breve curva di apprendimento, economicità (no membrane o sostituti ossei), intervento unico, morbilità nulla, tempi operativi totali brevissimi (due/tre mesi).

Dr. Calesini, il successo di un trattamento è certamente molto legato all’operatore, ma alcuni credono che la differenza la facciano i materiali utilizzati, forse condizionati dalle pressioni promozionali delle aziende. Lei cosa ne pensa?
In estrema sintesi il successo, o l’insuccesso, in odontoiatria è legato all’esattezza della diagnosi, alle variabili legate al paziente, al piano di trattamento, alle tecniche, ai materiali, al timing operativo ed infine all’operatore. Ma, se analizziamo bene la situazione, chi fa la diagnosi? Chi analizza le variabili inerenti al paziente? Chi formula il piano di trattamento? Chi sceglie le tecniche i materiali ed il timing operativo? La risposta è chiara: l’operatore! Quindi il 100% del successo, o dell’insuccesso, dipende dall’operatore. Inoltre credo che, in linea generale, la salute dei nostri pazienti sia preziosa e vada difesa e preservata da interessi commerciali.

La ricerca di materiali “magici” accompagna la storia della odontoiatria moderna. Negli ultimi trenta anni sono apparsi, e altrettanto rapidamente scomparsi, centinaia di prodotti per la rigenerazione tissutale; questa semplice constatazione, da sola, dovrebbe far riflettere. La natura ha impiegato milioni di anni per ottimizzare i processi riparativi che il Management Tissutale Morfogenico sfrutta a scopo rigenerativo senza utilizzare “additivi”. La natura è il nostro modello, dobbiamo solo rispettare le sue logiche, il resto lo fa lei.

Sebbene tra odontoiatria estetica e odontoiatria cosmetica il confine sembrerebbe sfumato, per molti sono la stessa cosa. È così?
Appartengo alla vecchia generazione con una formazione medica prima di prendere la specializzazione in odontoiatria e fra le materie preferite: Storia della medicina. Dai testi di storia della medicina si evince che, fin dalla notte dei tempi, la missione del protesista è stata quella di ripristinare gli organi lesi o mutilati da trauma o malattia cercando di ripristinare al contempo la funzione dell’organo e la mimesi del dispositivo protesico. Nella mia pratica quotidiana seguo con rigore il principio di far passare sistematicamente inosservati i dispositivi protesici che applico, tutto qui. Il resto mi sembra una questione di lana caprina.

Dr. Calesini, all’ultimo congresso CAO nazionale di Roma ha detto che l’approccio MTM è particolarmente indicato nel trattamento delle agenesie. Perché?
Perché l’osso alveolare, nei siti in cui il dente non c’è mai stato, è perfettamente stabilizzato e non esiste il bundle bone di pertinenza parodontale. In questa situazione anatomica il complesso osteo-muco-gengivale, una volta dislocato buccalmente, mantiene integralmente il suo volume senza andare incontro ad alcun riassorbimento anche a distanza di lustri. Nel libro sono riportati numerosi casi con follow-up ultradecennali nonché la descrizione dettagliata delle procedure operative.

Il contributo dell’ortodontista nei trattamenti multidisciplinari a suo avviso migliora la predicibilità del successo a lungo termine? E perché?
Ripristinare o migliorare le determinanti anteriori, l’asse lungo dei denti, i piani occlusali, l’overjet e l’overbite e in generale le relazioni dentali inter ed infra-arcata prima di intraprendere terapie protesiche, permette senza dubbio di creare le condizioni ideali per il controllo delle forze occlusali che, insieme al controllo della placca batterica, costituiscono le basi per il successo a lungo termine delle nostre terapie. Per oltre trentacinque anni il mio studio specialistico di protesi ha collaborato con studi specialistici in altre discipline (esterni) ma spesso il flusso di lavoro non era “fluido”.

Sette anni orsono ho organizzato il nuovo studio ed ho voluto che al suo interno collaborassero specialisti in tutte le discipline odontoiatriche, compresa l’ortognatodonzia. Devo onestamente riconoscere che la possibilità di abbinare i controlli “in house” con più specialisti ha notevolmente inciso sull’efficienza delle terapie permettendo di ottimizzare tempi, costi e qualità dei trattamenti multidisciplinari.

 La comunicazione all’interno del team è imprescindibile, ma chi ha la leadership?
Per quanto riguarda la comunicazione sono perfettamente d’accordo con lei, i piani di trattamento vanno sempre discussi durante gli staff-meeting e le riunioni dovrebbero essere sistematiche e frequenti. Per quanto riguarda la leadership la mia risposta è lapidaria: la leadership è del protesista ogni volta che i piani di trattamento includono la protesi, mentre negli altri è la prevalenza del trattamento che definisce la leadership.

Nella cosiddetta “era della comunicazione” la comunicazione medico-paziente le sembra realmente migliorata?
Personalmente ritengo che negli ultimi anni la comunicazione, essendo diventata sempre più rapida e superficiale, sia peggiorata. Infatti sono proliferati gli esperti in comunicazione che tengono corsi per odontoiatri ma credo che, nella gran parte di questi corsi, si enfatizzi troppo la parte “tecnica” a discapito di quella “umana” e ormai sembrano corsi di persuasione e di manipolazione anziché di comunicazione. Per un medico le parti più rilevanti della comunicazione dovrebbero essere la lealtà, l’ascolto attivo del paziente e la reale empatia. Nel mio studio spendo moltissimo tempo ad ascoltare i pazienti piuttosto che a spiegare dettagli tecnici per lo più incomprensibili a gran parte di loro.

Se dovessi dare un consiglio ai giovani sarebbe: rallentate, rallentate, rallentate e godete del rapporto fiduciario che ci lega ai pazienti, fatelo crescere! È il più grande investimento che si possa realizzare nella vita professionale.

Dr. Calesini, l’appeal dei modelli proposti dai media e dalle “star” del mondo dello spettacolo induce forti aspettative nei pazienti. È giusto soddisfare richieste puramente estetiche?
Per rispondere devo necessariamente fare una premessa basata su tre considerazioni. La definizione stilata dalla OMS nel ’48 indicava la salute come “uno stato di completo benessere fisico, mentale, psicologico, emotivo e sociale”; tale definizione è stata revisionata nel 2011. L’attuale definizione di salute è: “la capacità di adattamento e di auto gestirsi di fronte alle sfide sociali, fisiche ed emotive”. A questo va aggiunto che il rapporto paternalistico, esistente fra il medico e il paziente fino a vent’anni fa, è stato sostituito dalla medicina democratica in cui la volontà del paziente è decisiva nella scelta delle terapie. Infine l’essere umano si adegua da sempre ai modelli della sua “tribù” di appartenenza o a quelli del gruppo con cui aspira a identificarsi. Ora torniamo alla domanda: se un paziente ha il desiderio di intervenire per cambiare qualcosa che migliori il suo benessere fisico, mentale, psicologico, emotivo e che lo aiuti ad affrontare le sue sfide personali o sociali, ritengo sia più che giusto intervenire con terapie eseguite lege artis ma ovviamente solo dopo averlo informato del pedaggio biologico che tali terapie, seppur “minimamente invasive”, comportano.

Ritiene che l’Odontoiatria cosiddetta evidence based sia credibile?
Evidence based dentistry significa lavorare usando i migliori dati presenti in letteratura associandoli alla propria esperienza clinica, alle possibilità logistiche ed alla necessità/volontà dei pazienti. Il clinico dovrebbe basare le sue decisioni su quelli che sono i migliori dati oggi disponibili in letteratura; il fatto è che attualmente le domande a cui non c’è ancora risposta sono infinitamente più numerose di quelle cui la EBD ha fornito evidenze. Non è quindi la credibilità della EBD in sé ad essere messa in discussione quanto piuttosto la scarsità dei dati realmente ed attualmente disponibili sui quali basarsi. In estrema sintesi le direttive cliniche ottenibili dalla EBD sono oggettivamente insufficienti! Dobbiamo quindi riconoscere che, ancora oggi, la stragrande maggioranza del nostro lavoro clinico non è basato su dati clinici scientificamente certi. Servirebbe più ricerca clinica impostata correttamente e condivisa in modo onesto con la comunità scientifica. In altre parole la evidence based dentistry è la meta, ma per raggiungerla c’è ancora molta ma molta strada da fare.

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