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Filippo Santarcangelo: come nasce la passione per l’Endodonzia

Arnaldo Castellucci e Filippo Santarcangelo.
Patrizia Gatto

Patrizia Gatto

mar. 7 giugno 2011

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Dental Tribune, in occasione dell’incontro a Milano di Endodonzia, ha incontrato il dott. Filippo Santarcangelo, giovane endodonzista di Bari, allievo di Arnaldo Castellucci, già da alcuni anni affermato in Italia e all’estero, in particolare per un numero importantissimo di ritrattamenti anche complessi conclusi con successo.

Dott. Santarcangelo cosa prova nel veder proiettati da grandi relatori del mondo le immagini dei casi trattati da lei?
Grandissima soddisfazione ed orgoglio, perché questo rappresenta il riconoscimento di anni ed anni di duro lavoro sempre improntato alla ricerca della qualità. Non le nego, tuttavia, che inizialmente ero io stesso incredulo dinanzi ai risultati raggiunti alla luce di una disastrosa esperienza universitaria, il cui unico merito è stato quello di conferirmi il classico “pezzo di carta” e null’altro. Il gap iniziale è stato poi colmato grazie ad una grande forza di volontà, passione ed entusiasmo, doti queste che consentono di “viaggiare” a velocità doppia recuperando il tempo male investito.

Da dove nasce questa passione per l’Endodonzia, quando la sua giovane generazione di odontoiatri nel mondo ha invece scelto la chirurgia e l’implantologia?
Si tratta – mi lasci passare il termine – di una generazione sciagurata , poiché purtroppo in molti tristemente dimenticano che l’Odontoiatria ha ancora come finalità principale la salvaguardia e il mantenimento degli elementi dentari, e non la loro sostituzione con i costosi impianti… Rispondendo alla sua domanda, ciò che mi appassiona e mi affascina dell’Endodonzia, rendendola enormemente stimolante e differenziandola da tutte le altre branche odontoiatriche, è la quotidiana sfida ad una microanatomia nascosta, imprevedibile e talora bizzarra. Si tratta di una vera e propria partita a scacchi con un sistema intricato di microspazi, e per raggiungere il successo del trattamento non sono solo necessarie tecnologie avanzate e abilità tecnica, ma anche pazienza, astuzia e perseveranza. In più le segnalo, a tal proposito, il ruolo fondamentale dei miei maestri che mi hanno insegnato ad amare l’Odontoiatria e nello specifico l’Endodonzia.

Quali sono stati i suoi insegnanti, e pensa che oggi sia ancora importante lo storico rapporto maestro-discente?
Ho avuto la fortuna di incontrare le persone giuste al momento giusto. Innanzitutto sono stato allievo del dott. Raniero Barattolo, che da oltre quindici anni organizza in Bari corsi di formazione in Endodonzia, facendo poi tirocinio nel suo studio per diversi anni. A lui non solo il merito di avermi fatto avvicinare all’Odontoiatria nel modo migliore, puntando cioè sempre alla qualità del trattamento, ma anche quello di avermi fatto conoscere il dott. Castellucci, il quale ha rivoluzionato positivamente la mia vita professionale. Arnaldo Castellucci è a mio avviso uno dei pochi maestri di tecnica endodontica; ciò significa che, a differenza di altri relatori, non si è legato a questo o a quello strumento in base alle mode o alle necessità del momento, ma insegna da vero maestro il corretto approccio razionale e tecnico al complesso sistema dei canali radicolari. La sua unicità risiede nel fatto che, oltre ad essere un professionista di livello mondiale, ha una didattica di una chiarezza impareggiabile e il tutto è condito da un entusiasmo e da una energia fuori dal comune. Se attualmente pratico esclusivamente l’Endodonzia e nessuna altra branca odontoiatrica è proprio per “colpa” sua: è riuscito a farmi innamorare di questa meravigliosa disciplina! Ritengo, inoltre, di estrema importanza e attualità il rapporto maestro-discente, non solo da un punto di vista scientifico-tecnico, ma soprattutto da un punto di vista morale. A mio avviso, prima ancora che insegnare una tecnica, il maestro deve inculcare negli allievi il rispetto a 360 gradi per il paziente: questo non dovrà essere visto come un semplice numero in una catena di montaggio, ma al contrario bisognerà prendersene cura con umanità, considerandolo (giustamente) una persona con legittime aspettative e spesso ansie e paure.

Lei per la parte scientifica e clinica lavora sia in Italia che all’estero. Senza chiederle dei giudizi generali per quel che riguarda l’Odontoiatria, almeno nella sua specialità quali differenze e quali aspettative di cambiamento ha un giovane endodonzista come lei nel nostro Paese?
In Italia vige purtroppo una sottocultura che considera l’Endodonzia una branca di serie B rispetto alla chirurgia implantare e alla protesi, le quali godono sicuramente di maggiore considerazione. Questo è semplicemente assurdo, dato che un’Endodonzia ben eseguita in primo luogo evita che il paziente perda i propri denti e arrivi agli impianti, in secondo luogo conferisce sicurezza e lunga vita alla protesi che spesso vi si appoggia. Una prova lampante di ciò è il fatto che negli studi dentistici l’Endodonzia è spesso delegata a giovanissimi dottori neo-laureati che si improvvisano endodontisti pur di poter effettuare le loro prime cure odontoiatriche su paziente: come logica conseguenza il trattamento canalare è in genere sottopagato e sottostimato dal paziente.
La colpa è dello Stato e delle leggi italiane che non tengono conto che l’Endodonzia è una branca altamente specialistica che richiede adeguate scuole di specializzazione post-laurea, come esistono in Paesi più sviluppati del nostro (vedi Nord e Sud America). Negli Usa, ad esempio, è materia obbligatoria di insegnamento, nelle scuole di specializzazione in Endodonzia, l’uso del microscopio operatorio.
Il mio augurio è che sotto la spinta forte della Società Italiana di Endodonzia (già promotrice di tante altre iniziative lodevoli) si possa convincere il nostro Governo a cambiare registro e ad istituire Scuole di specializzazione anche da noi in Italia, cosicché possano essere riconosciuti non solo dai pazienti, ma anche dai colleghi “distratti” sia l’importanza della terapia canalare che la figura dell’endodonzista.

In questi ultimi mesi abbiamo avuto modo di assistere ad alcune relazioni sue e del gruppo di lavoro nazionale e internazionale con cui collabora [dott. Barattolo di Bari e dott. Schoeffel suo maestro, Ndr] e sugli argomenti trattati le faremo alcune domande. Parliamo di ritrattamento endodontico: accanimento terapeutico o protezione del paziente?
Questa domanda vorrei idealmente girarla a quei poveri pazienti che, pur avendo ricevuto un trattamento canalare da altri colleghi, non hanno ottenuto giovamento e in buona sostanza sono afflitti dalla permanenza della patologia. Quei pazienti spesso mi supplicano di salvare il proprio dente nonostante talora gravi compromissioni di origine iatrogena, e non vogliono che il loro patrimonio dentario sia impoverito dall’estrazione. Ebbene, per rispondere alla sua domanda, il ritrattamento è assolutamente protettivo verso il signor paziente. Vorrei precisare che il ritrattamento si rende necessario talora per la negligenza di alcuni colleghi, talora per la brutalità di odontotecnici abusivi che profanano le bocche dei pazienti facendosi beffa della legge. In altri casi, nonostante la coscienza e la diligenza con cui la maggior parte dei colleghi opera, sono le oggettive difficoltà anatomiche ad indurli in errore: ciò mi consente di sottolineare, ancora una volta, la carenza e la necessità di specialisti in Endodonzia. Il ritrattamento, infatti, è pratica estremamente complicata e richiede profonda conoscenza dell’anatomia, esatte valutazioni pre-operatorie sulla difficoltà del caso, tecnologie avanzate come il microscopio e, in più, l’operatore deve avere familiarità con tecniche molto specifiche come le forze bilanciate e gli ultrasuoni. L’insieme di queste componenti spesso porta a risultati sorprendentemente positivi.

In una relazione abbiamo sentito che il ritrattamento è dovuto spesso a un fallimento dell’irrigazione o del metodo utilizzato. Ci vuole spiegare meglio questa tesi?
L’irrigazione endodontica riveste un ruolo cruciale nella buona riuscita del trattamento canalare, dato che ha il compito di distribuire al meglio nel sistema dei canali radicolari sia il disinfettante principale, e cioè l’ipoclorito di sodio, sia un chelante del calcio come l’edta. In questo modo, batteri, residui organici e inorganici possono essere inattivati, disciolti e rimossi dal dente. Ne consegue, secondo logica, che una irrigazione non corretta – poiché in genere praticata frettolosamente e con dispositivi inadeguati – porterà inevitabilmente alla permanenza nel dente di batteri e detriti e inficerà la guarigione rendendo indispensabile il ritrattamento.

Lei è un grande sostenitore della “negative pressure”, che si può ottenere con lo strumento EndoVac. Quali le differenze dai tradizionali metodi a pressione positiva e i vantaggi?
Fino ad oggi si è irrigato secondo la filosofia della pressione positiva, per la quale i disinfettanti vengono spinti nei canali attraverso siringhe ed aghi per effetto della pressione che l’operatore esercita sul pistone della siringa stessa. Al contrario, con la pressione apicale negativa (metodo EndoVac), gli irriganti depositati in camera pulpare vengono richiamati in apice grazie ad una micro cannula aspirante alloggiata al termine del canale. Adopero questo sistema da oltre 5 anni, e fra i principali vantaggi riscontrati vi sono indubbiamente la riduzione del dolore post-operatorio e la velocità di guarigione dei casi infetti.

La pressione negativa, o meglio il metodo EndoVac, è dunque predicibile e sicuro. Ci colpiscono due sue dichiarazioni in particolare, che peraltro ribadisce sempre anche Schoffel, inventore del metodo (vedi relazione all’ultimo congresso Sie lo scorso autunno): “Otteniamo sempre un risultato che non è operatore dipendente”, e ancora: “Il primo fattore da tenere in considerazione è la sicurezza per il paziente”.
Questa considerazione mi consente non solo di riallacciarmi alla precedente, ma anche di chiarire meglio le differenze con i metodi a pressione positiva e, di conseguenza, i vantaggi della nuova metodica. Il principale problema della tecnica tradizionale a pressione positiva è la scarsa predicibilità; infatti, quando adoperiamo siringhe ed aghi, non sappiamo se stiamo spingendo troppo gli irriganti o troppo poco. Nel primo caso, vi è il rischio che questi estrudano nei tessuti peri-apicali, causando al paziente danni talora gravi e con manifestazioni sintomatiche eclatanti come nell’incidente da ipoclorito, contraddistinto in genere da gonfiore e sanguinamento. Nel secondo caso, una pressione troppo timida impedisce all’irrigante di raggiungere il termine del canale, e così la non completa detersione che ne consegue conduce all’insuccesso del trattamento. Come si può evincere da quanto sopra si tratta di una tecnica operatore-dipendente, nel senso che gli operatori più abili sono in grado di inviare gli irriganti per l’intera lunghezza canalare senza danneggiare i tessuti che circondano il dente; i meno abili, irrigando in eccesso, danneggiano questi tessuti, e, irrigando in difetto, non disinfettano l’intero canale e si espongono al rischio di fallimento della terapia. Con la “Apical Negative Pressure”, per la prima volta nella storia della irrigazione endodontica, l’operatore – collocando una micro cannula al termine del canale – è in grado di esercitare un controllo preciso del flusso degli irriganti che inizierà in camera pulpare e terminerà sempre al forame apicale e non oltre. In altre parole, per la prima volta è possibile effettuare un’irrigazione predicibile, e ciò conferisce alte percentuali di successo all’intero trattamento, dato che i canali radicolari possono essere disinfettati da cima a fondo, e inoltre ci consente di salvaguardare la salute del paziente da incidenti legati alla fuoriuscita degli irriganti dal dente. Ottemperiamo così al nostro primo dovere di medici che è appunto la tutela del paziente, cui dobbiamo garantire non solo una terapia eseguita lege artis, ma prima di tutto l’incolumità.

Un unico strumento per irrigare e aspirare, quindi?
Proprio così. Il sistema è collegato all’aspirazione ad alta velocità del riunito e consta di tre componenti. Il primo, noto come Master Delivery Tip (MDT) rilascia l’irrigante in camera pulpare, il secondo e il terzo sono cannule aspiranti che richiamano gli irriganti all’interno del canale e aspirano i detriti ivi presenti. Quello di dimensioni maggiori è noto come macro-cannula e deterge terzo medio e coronale; quello di dimensioni minori, la micro-cannula, si occupa della detersione del terzo apicale. Per la prima volta vi è un ruolo attivo dell’assistente dentale durante la terapia canalare, dato che a lei è affidato il compito di rilasciare gli irriganti tramite la MDT: ho riscontrato che questo rende molto più partecipi e responsabili le nostre preziose collaboratrici.

Perché giudica questa tecnica molto semplice?
Poiché richiede una curva di apprendimento limitatissima; bastano infatti una quindicina di casi per acquisire familiarità con la metodica. Rispetto dunque ad altre tecniche, dopo breve tempo si è già in grado di praticarla con successo.

“Apical vapor lock”, un ostacolo che, se non considerato responsabilmente e superato, è causa di fallimenti.
Esattamente. La reazione di idrolisi fra tessuto pulpare (vitale o necrotico) e ipoclorito di sodio genera anidride carbonica e ammonio e questa componente gassosa – nota come apical vapor lock – localizzandosi nel terzo apicale ostacola l’arrivo dei disinfettanti in quella che è l’area più critica del canale (sono ivi localizzate più del 90% delle porte di uscita verso il parodonto nonché quella principale, e cioè il forame apicale). Il mancato arrivo degli irriganti favorisce la permanenza nel canale radicolare di tessuti patologici e batteri e, quindi, la permanenza della patologia stessa. Il sistema EndoVac, lavorando per aspirazione, è in grado di rimuovere questa bolla di gas, favorendo la completa diffusione degli irriganti all’interno del sistema dei canali radicolari.

Endovac consente anche di catturare ciò che lo strumento rotante non può fare. Ma quando le si chiede se è uno strumento miracoloso lei risponde “no, prima e dopo c’è tutta l’Endodonzia”. Cioè?
Una prova inconfutabile dell’efficacia di questo sistema si ottiene adoperandolo durante i ritrattamenti nei quali l’operatore è chiamato innanzitutto a rimuovere i materiali dentari impiegati nel precedente trattamento e dunque presenti nei canali. Tradizionalmente, questi materiali vengono rimossi grazie a strumenti manuali e rotanti e soluzioni solventi; oggi, in aggiunta, disponiamo della macrocannula del sistema EndoVac, e durante il suo utilizzo si può constatare visivamente quanti pericolosi residui vengono aspirati e rimossi dai canali, rendendoli molto più puliti e favorendo così un’otturazione tridimensionale dello spazio endodontico. Spesso, al termine di alcune mie conferenze in tema di irrigazione, mi è stato chiesto se sia proprio l’EndoVac lo strumento miracoloso che determina certe sorprendenti guarigioni. Ebbene mi sono affrettato a smentire una simile teoria, dato che in Endodonzia non vi è nulla di miracoloso a parte la pazienza e la dedizione con cui chi ama questa branca decide di praticarla. In concreto, per la buona riuscita di un trattamento, prima di irrigare con EndoVac bisogna aver fatto la giusta diagnosi, bisogna aver correttamente aperto la camera pulpare e sagomato i canali radicolari; inoltre, spesso, nei ritrattamenti si dovranno rimuovere ostacoli di vario tipo come tappi, gradini o strumenti rotti, oltre ai precedenti materiali da otturazione. Solo ora entra in gioco la tecnica di irrigazione e, se crediamo che sia una cosa buona disinfettare per intero un canale, allora adopereremo il sistema EndoVac, che a mio avviso, attualmente, costituisce il top. Dopodiché l’operatore dovrà otturare i canali in maniera tridimensionale plasticizzando al meglio la guttaperca col calore e condensandola verticalmente. Come vede, per il buon esito della terapia canalare non serve solo irrigare con EndoVac, ma serve praticare a 360 gradi un’Endodonzia di alto livello.

Schoffel precisa sempre che l’agitazione non è irrigazione. Quale la comparazione con altri sistemi?
E fa bene a precisarlo, perché purtroppo vi è grande confusione fra irrigazione e potenziamento degli irriganti, di cui l’agitazione è parte. Irrigare significa depositare gli irriganti all’interno del canale radicolare, e come sistemi di rilascio degli irriganti si possono usare siringhe ed aghi (Positive Pressure) oppure l’EndoVac (Apical Negative Pressure). Una volta depositati, gli irriganti possono essere potenziati nella loro azione tramite diversi sistemi che producono calore oppure generano ultrasuoni e subsuoni che li mobilizzano al meglio. Personalmente attivo gli irriganti coi suddetti mezzi, ma prima li deposito per l’intera lunghezza del canale a mezzo EndoVac.

In tutta sincerità, crede davvero che il sistema EndoVac rappresenti una svolta in Endodonzia?
Sì, rappresenta un enorme passo in avanti, in grado di conferire predicibilità all’intero trattamento, aumentandone le percentuali di successo. La mia ferrea convinzione nasce da cinque anni di pratica di questa metodica, che ha dato indubbiamente una marcia in più alla mia Endodonzia. Da un punto di vista culturale e scientifico, l’esperienza EndoVac è stata una delle più importanti e formative della mia carriera. Mi lasci spiegare il perché, è una bella storia. Il sistema EndoVac fu presentato in anteprima mondiale dal suo inventore John Schoeffel alla fine del 2006 durante un webinar in diretta dalla California. Io ne avevo sentito parlare casualmente mentre curiosavo su diversi siti odontoiatrici americani, così acquistai l’evento e per quattro ore, dalle 2 alle 6 del mattino, rimasi incollato al monitor del pc, sorpreso e affascinato da questa nuova metodica. La lezione di Schoeffel fu stupenda, chiarì magistralmente gli aspetti più oscuri della fluido-dinamica, supportando il tutto con leggi dalle basi robuste e inconfutabili attinte alla fisica e alla chimica. Qualche mese dopo frequentai un Master a Miami con lo stesso dott. Schoeffel, il quale mi insegnò nei dettagli la tecnica. A John, che ormai è un mio grande amico, riconosco il merito di avermi aperto la mente su tanti argomenti endodontici, sfatando falsi miti e arricchendo le mie conoscenze. In quell’occasione acquistai il dispositivo, che era ancora sconosciuto in Europa e non commercializzato. Quando iniziai ad usare l’EndoVac non era stato ancora pubblicato un solo studio in letteratura né vi erano colleghi con cui scambiarsi esperienze e impressioni. La cosa esaltante era che ogni giorno scoprivo qualcosa di nuovo riguardante le potenzialità del sistema, mi sono sentito… un “pioniere”! Le mie giornate lavorative sono diventate d’incanto meno faticose e più entusiasmanti. Dal 2007 ho trattato il 100% dei miei pazienti con questo sistema, accumulando una vasta casistica (più di 4000 casi) che mi è valsa l’invito come relatore durante il prestigioso congresso dell’AAE (American Association of Endodontics) in S. Diego nel 2010, nonché gli inviti da parte di due importanti Università americane, la Boston University e la Harvard University. Ultimamente ho presentato con orgoglio i risultati positivi di questi anni di lavoro con EndoVac a S. Antonio (Texas) nel corso del congresso annuale dell’AAE.

Sempre Schoffel, a Verona, ha citato 3000 suoi casi di ritrattamento tra il 2007 e il 2010. Lei ha sostenuto però, a Montecarlo in un congresso, che comunque esiste sempre anche un componente che si chiama fortuna. Lei quanto è fortunato?
Moltissimo perché ho avuto una famiglia in grado di trasmettermi valori morali importanti, ho una vita meravigliosa e svolgo una professione che amo.

Grazie e speriamo presto di ospitare alcuni suoi casi sul nostro inserto Endo Tribune.

 

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