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Dove la parodontologia è andata avanti

M. Bartold

M. Bartold

gio. 9 luglio 2015

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Recentemente, il prof. Mark Barthold dell’Università di Adelaide in Australia ha presentato un documento sulla medicina parodontale come parte della sessione di Asia Pacific nell’EuroPerio8 a Londra. Questo articolo, scritto in esclusiva per Dental Tribune Online, tratta di alcuni dei maggiori progressi fatti in parodontologia negli ultimi tempi.

Nel corso degli ultimi vent’anni sono stati fatti alcuni progressi eccezionali in parodontologia. Molti di questi hanno portato a cambiamenti nel nostro modo di pensare e nel nostro approccio alla terapia parodontale. Nel 1999, l’American Academy of Periodontology ha messo a punto un nuovo sistema di classificazione per le malattie parodontali, con cui sono stati identificati circa 50 tipi diversi di situazioni parodontali considerate degne di una propria specifica classificazione. Chiaramente, sarebbe stato un sistema poco gestibile e, in pratica, è stato ridotto a tre tipi principali di malattie parodontali associate alla placca: gengiviti, parodontiti croniche e parodontiti aggressive. Mentre si discuteva sull’appropriatezza dei termini “cronica” e “aggressiva”, questi sono serviti come quadro di riferimento sia per i medici sia per i ricercatori, allo scopo di definire i tipi specifici di parodontite sulla base di parametri clinici evidenti. Essi hanno inoltre fornito un riferimento per comprendere i protocolli di gestione e i risultati. Tuttavia, nel tempo, è diventato evidente che tali sistemi di classificazione (cronica e aggressiva) possono essere troppo semplicistici a causa dell’eterogeneità dei disturbi parodontali. Pertanto, è opportuno rivisitare un tale sistema di classificazione e stabilire se si possono utilizzare le attuali conoscenze dell’epidemiologia e della patologia di queste malattie per definirle meglio. Tuttavia, vale la pena notare che negli ultimi 25 anni sono stati proposti almeno dieci sistemi diversi di classificazione, nessuno dei quali adottati in toto.
Chiaramente rimane aperto un certo numero di sfide importanti in questo campo. Poiché, ad esempio, le parodontiti croniche e aggressive sono gruppi eterogenei di malattie, ci saranno specifiche sottocategorie legate a: la loro natura multifattoriale su base microbica, la risposta dell’ospite e le componenti ambientali. Al momento, oltre a una definizione placca-associata, l’attuale classificazione dell’American Academy of Periodontology non si basa su criteri associati alla causa.

Riconoscimento che i batteri sono necessari, ma non sufficienti, per sviluppare la parodontite
Negli anni Novanta c’è stato un progresso concettuale molto importante nella nostra comprensione della placca dentale e della sua interazione all’interno dell’ambiente subgengivale. Il riconoscimento che la placca subgengivale esisteva come biofilm con le sue proprietà di microregolazione e di comunicazione ha cambiato il nostro pensiero su come il microbiota subgengivale ha interagito non solo con se stesso, ma anche con l’ospite. Nonostante questo, la ricerca tra gli anni Novanta e Duemila ha cominciato a mettere in discussione il ruolo del biofilm e dell’insieme dei componenti batterici nel processo generale di sviluppo della parodontite. Mentre era molto chiaro che la parodontite non può, e non potrebbe, svilupparsi in assenza di batteri, stava diventando sempre più evidente clinicamente che c’erano alcuni pazienti i quali, nonostante la presenza di notevoli depositi di placca, non avevano sviluppato parodontite. Per contro, era anche evidente che persone con depositi visibili di placca molto minori avevano già sviluppato parodontiti molto avanzate e destruenti. Queste osservazioni hanno portato a un importante cambiamento di paradigma in parodontologia, con cui si è convenuto che, sebbene la placca sia necessaria per sviluppare la parodontite, non sarebbe sufficiente per svilupparla. Infatti, è ormai evidente che, oltre alla placca dentale, i fattori di risposta dell’ambiente e dell’ospite sono elementi critici per la manifestazione clinica della parodontite. Con ciò, un nuovo processo di gestione più consapevole dei nostri pazienti ha suggerito che, oltre alla gestione dell’igiene orale, i pazienti devono essere valutati per altri fattori che potrebbero portare allo sviluppo di parodontite, e che questi devono essere controllati per ottenere trattamenti di successo. Infatti, è ormai riconosciuto che la placca dentale (con i suoi elementi costitutivi) solo nel 20% costituisce un fattore di rischio per lo sviluppo della parodontite e, quindi, nel restante 80% si devono prendere in considerazione fattori predisponenti per la diagnosi e per la cura delle malattie parodontali.

Sviluppo della medicina parodontale come sottodisciplina
Offenbacher nel 1997 ha proposto per primo il termine “medicina parodontale” come “un termine ampio che definisce un settore della parodontologia in rapida espansione focalizzato su nuovi dati che stabiliscono una forte relazione tra salute o malattia parodontale e salute o malattia sistemica”. Scaturisce dalla chiara evidenza che un certo numero di condizioni sistemiche e di malattie parodontali siano interconnesse. Nel 2000, è stato dimostrato in modo molto convincente che la salute orale e la salute sistemica non dovrebbero essere separate. In effetti, il chirurgo generico degli Stati Uniti ha riconosciuto l’importanza della salute orale per la salute generale e per il benessere complessivo in una pubblicazione di riferimento dal titolo Salute orale in America. Questo documento ha affermato per la prima volta l’importanza della salute orale in un approccio olistico alle cure mediche. Nonostante il titolo, il suo contenuto ha avuto una rilevanza globale. Da qui, il concetto di medicina parodontale ha guadagnato ulteriori consensi, e la sua ipotesi centrale afferma che l’infezione e l’infiammazione parodontale hanno un peso significativo come infiammazione cronica a livello sistemico. Sebbene ci sia ancora molto lavoro da fare, negli ultimi dieci anni sono stati raggiunti progressi significativi. Il diabete è ora ben riconosciuto come fattore di rischio per lo sviluppo della parodontite e, viceversa, la parodontite è considerata una modificazione o un fattore di rischio significativo per il controllo glicemico nei diabetici. Altre condizioni per le quali ci sono buone evidenze a sostegno di interrelazioni con le parodontiti includono le malattie cardiovascolari, l’artrite reumatoide, l’obesità e le malattie renali. Resta da stabilire se il trattamento della parodontite abbia qualche impatto sulle condizioni sistemiche, ma stanno emergendo prove che può essere il caso del diabete, delle malattie cardiovascolari e dell’artrite reumatoide. Purtroppo, questo è diventato un campo di ricerca opportunistica e, ad oggi, si rivendicano circa 58 condizioni nel rapporto malattia parodontale/malattie sistemiche, molte delle quali hanno poca o nessuna plausibilità biologica o clinica.

Capire che la rigenerazione parodontale è biologicamente possibile
La rigenerazione dei tessuti parodontali danneggiati a causa di parodontiti è stato considerato il massimo traguardo della terapia parodontale. Nel corso dei decenni, sono state raccomandate molte procedure, per lo più associate al trattamento della superficie radicolare e all’impianto di sostituti ossei nei difetti parodontali come un mezzo per ottenere la rigenerazione parodontale. Purtroppo, questi primi concetti erano ingenui a causa di una scarsa comprensione dei requisiti per la rigenerazione parodontale, vale a dire la stimolazione di nuovo cemento, osso e legamento parodontale. È irrazionale riempire un difetto parodontale con una sostanza che non avrebbe alcuna rilevanza per la successiva fase funzionale di ricostruzione. Tuttavia, nella nostra professione abbiamo l’ossessione di riempire le cavità ossee, piuttosto che studiare i processi naturali di guarigione necessari per rigenerare l’apparato parodontale. Non conoscere il contributo delle diverse componenti tissutali nella guarigione delle lesioni parodontali spiega il cattivo uso dell’innesto osseo nel trattamento delle tasche intraossee, ancora molto diffuso in alcuni settori della parodontologia. È ormai riconosciuto che il trattamento rigenerativo dei difetti parodontali con un agente o una procedura richiede che ogni fase operativa della ricostruzione sia fondata su un processo controllato biologicamente. Con tali concetti in mente, gli studi originali di Karring, Nyman e collaboratori a Gothenburg in Svezia hanno consentito lo sviluppo della rigenerazione tissutale guidata (GTR) come metodica di trattamento. Sebbene questo sia stato un progresso significativo, è diventato evidente che, mentre la rigenerazione parodontale era biologicamente possibile, la realizzazione clinica su basi attendibili era molto difficile a causa di un’ampia gamma di variabili legate al paziente e all’operatore. Più di recente, abbiamo visto lo sviluppo di agenti biologici e di preparati che, quando applicati a superfici radicolari, possono determinare una significativa rigenerazione dei tessuti parodontali danneggiati. L’uso di tali agenti offre un approccio semplice alla rigenerazione parodontale con risultati equivalenti, e talvolta superiori, rispetto alle procedure GTR. Tuttavia, come è stato notato per il GTR, i risultati clinici con agenti biologici possono essere variabili, ed è necessario un lavoro ulteriore per migliorare la loro utilità clinica. Inoltre, con il proposito di ottenere la rigenerazione parodontale, si è indagato sull’utilizzo delle cellule staminali mesenchimali e sulla modulazione genetica delle cellule parodontali.
Il futuro sembra promettente, ma senza dubbio c’è ancora una notevole quantità di lavoro da fare prima che la rigenerazione parodontale affidabile e predicibile diventi una realtà.

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