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Tuteliamo quanto abbiamo: il fondo patrimoniale per soddisfare i bisogni economici della famiglia

Alfredo Piccaluga

Alfredo Piccaluga

mar. 9 aprile 2013

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Gli strumenti a tutela dei propri beni mirano a garantire se stessi o il proprio nucleo familiare, così come il proprio asse ereditario, rispetto al permanere dei diritti reali su proprietà acquisite con modalità lecite.

Va da sé che nessuno strumento è realmente utile né ancor meno consigliabile, se adottato per occultare profitti derivanti da attività illecite. Ciononostante permane ancora un’alea di diffidenza, e talvolta reale ignoranza, rispetto a questi strumenti espressamente previsti dalla norma. Spetta quindi ai professionisti dell’area fiscale e legale l’onere di tornare periodicamente sul tema.
Se è vero che negli ultimi anni lo strumento maggiormente diffuso è stato il trust – metodo di tutela tipico del diritto anglosassone – è altresì vero che permangono strumenti per certi aspetti similari e già previsti dalla normativa nostrana. Con l’evolversi della società e la conseguente scomparsa di consuetudini, quali la dote matrimoniale o la predisposizione di un patrimonio familiare, il legislatore ha infatti ritenuto di generare uno strumento sostitutivo e migliorativo denominato “Fondo patrimoniale” (regolato dagli artt. 167 e ss. del c.c.).
Si tratta di far confluire parte del proprio patrimonio coniugale in un apposito fondo vincolato, costituito con atto notarile, per destinarlo integralmente a soddisfare i bisogni della famiglia. Il fondo diviene quindi un complesso di beni – siano immobili, mobili registrati o titoli di credito – la cui proprietà rimane in capo a entrambi i coniugi, ma sui quali, stante la destinazione data in sede di stipula notarile, non è possibile agire forzosamente. Più precisamente, questo strumento giuridico è destinato non solo alle necessità primarie della famiglia, ma anche al mantenimento del tenore di vita dei coniugi, e i beni e i frutti che lo compongono non sono passibili di esecuzione forzata per debiti contratti a fronte di scopi estranei al fabbisogno familiare.
A titolo esemplificativo, non esaustivo, i debiti sorti in seguito ad attività imprenditoriali, commerciali o artigiane, ad attività professionali, ad obblighi di risarcimento danni, a sanzioni penali, a sanzioni amministrative, o a fronte di debiti fiscali, come recentemente ritenuto dalla giurisprudenza in Cassazione e in Commissione Tributaria, debbono fermarsi di fronte a beni costituiti in fondo patrimoniale.
Resta inteso che debiti pregressi, quindi esistenti prima della costituzione del fondo, possono dare titolo al creditore per richiedere la sua revocatoria e l’esecuzione forzata sui beni. Il tutto in virtù dell’interpretazione, comprensibile, che vuole la costituzione del fondo in “tempi sospetti” come lesiva dei diritti dei terzi. Come da premessa, quindi, il fondo non può essere adottato come escamotage per sfuggire a debiti pregressi e preesistenti.
Sebbene l’esistenza di un rapporto coniugale sia fondamentale per la sua costituzione, non accettandosi quindi convivenze more uxorio o vedovanze, i beni ad esso destinati possono provenire anche da un soggetto terzo e finanche estraneo alla famiglia. È inoltre possibile incrementarne la consistenza in qualsiasi momento, apportando ulteriori beni con nuove stipule notarili.
Come in tutti gli strumenti giuridici, esistono diversi limiti cui porre la dovuta attenzione. Proprio in quanto connesso al rapporto coniugale in essere, il fondo può proseguire in seguito a un’eventuale separazione solo nell’ipotesi di figli minori. Per contro, la minore età dei figli rappresenta un vincolo potenziale alla vendita dei beni i quali, salvo apposita deroga precisata in atto, potranno quindi essere ceduti previo consenso del tribunale.
Anche in questa ultima ipotesi, l’amministrazione e la vendita dei beni è subordinata al consenso unanime di entrambi i coniugi – situazione tutt’altro che scontata – anche qualora sia stato solo uno dei due a introdurre il bene nel fondo attingendo alle proprie risorse personali.
Quanto detto vuole essere un semplice sprone a un approfondimento della materia, doveroso per un professionista che oggi si confronta con un contesto sociale involuto e a tratti inaffidabile. A una successiva trattazione si rimanda l’accenno alla principale alternativa al trust e ai fondi patrimoniali: il vincolo di destinazione.

 

L'articolo è stato pubblicato sul numero 4 di Dental Tribune 2013 (aprile).

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