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Ricovero ordinario o day surgery?

A. Genitori

A. Genitori

gio. 28 maggio 2015

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La Corte di Cassazione, in una recente sentenza, si è pronunciata sul merito. Ci sono differenze sostanziali: il medico che sceglie per l'una o l'altra soluzione può incorrere in problemi penali. Oltre agli eventuali errori in fase di operazione chirurgica diventano anche rilevanti i passaggi pre operatori, tra cui la scelta del regime da adottare. Scelte che però possono anche scontrarsi con la “razionalizzazione” delle risorse del sistema sanitario nazionale.

Esiste una fondamentale differenza tra il ricovero di un paziente in regime di day surgery oppure in regime ordinario. Lo studio delle condizioni cliniche del soggetto può condurre il chirurgo e l'anestesista ad una prudente valutazione e far propendere per la classificazione del caso secondo una specifica classe di rischio, idonea a consentire l'uno o l'altro tipo di ricovero.

Essere imprudenti su tale scelta può rivelarsi purtroppo fatale. Operare in condizioni di scarso approfondimento delle reali condizioni di salute del paziente è pericolosissimo e può portare, come effettivamente è accaduto, a serie e complicanze fonti di responsabilità civile e penale del personale medico. L'intervento chirurgico preceduto da imperita analisi, in un caso posto al vaglio ultimo della Corte di Cassazione e deciso con sentenza n. 1832 del 15.01.2015, ha portato lo sventurato paziente ad aritmia cardiaca e instabilità emodinamica con conseguente arresto cardiocircolatorio, il tutto in un quadro di tardiva diagnosi delle complicanze seguita da anossia, coma atossico, decesso successivo. Già i giudici di merito, in particolare la Corte di Appello, avevano appurato che era stato l'intervento chirurgico a determinare la morte del paziente, in particolare conducendolo ad arresto cardiocircolatorio a fronte di una pessima gestione anestesiologica.

Nel corso della causa, l'istruttoria aveva posto in luce due aspetti di colpa rimproverabile ai Sanitari: una legata alla fase pre operatoria, l'altra al momento intra operatorio. Il primo step palesava l'erronea valutazione anestesiologica, la classificazione di rischio ASA II, il ricovero in regime di day surgery; il secondo metteva in chiara evidenza che durante il corso dell'intervento l'anestesista non aveva assicurato una sua costante presenza, oltre a porre in luce l'avventata sottovalutazione dei sintomi premonitori manifestati dal paziente.

Queste problematiche però sono da valutare anche in relazione di un sistema sanitario nazionale che in virtù di una “razionalizzazione” delle risorse e di scelte tendenti sempre più verso il risparmio di quest’ultime impone all’intero personale sanitario percorsi che potrebbero andare a discapito del paziente. I “day surgery” sono nella fattispecie considerati opportunità razionali ed economiche per la struttura ospedaliera, sottolineando anche il beneficio per i pazienti nel poter tornare nelle loro abitazioni subito dopo le operazioni considerate più semplici. Ma quando un’operazione può definirsi semplice e quando dietro l’apparente semplicità possono nascondersi delle insidie? Casi che, sfortunatamente, rischiano di diventare di estrema attualità.

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