L’impianto di recupero delle acque meteoriche evita lo spreco della risorsa più preziosa e gratuita che abbiamo: l’acqua. Se nelle abitazioni circa il 50% dei consumi dell’acqua è dovuto ai cicli di lavaggio (lavastoviglie e lavatrice), alle vaschette del WC (30%) e all’irrigazione delle aree verdi, per quanto riguarda gli studi medici il valore è molto più alto. Questa quantità può essere fornita attraverso il recupero delle acque piovane.
Per la progettazione dell’impianto, si deve effettuare un’indagine sui bilanci idrici medi del luogo, per verificare da un lato il reale rapporto costi-benifici dell’impianto, dall’altro per calcolarne il corretto dimensionamento, (rapporto tra le acque raccoglibili ed i fabbisogni dell’acque di consumo). Il sistema di recupero delle acque meteoriche è strutturato in diversi sottosistemi: captazione, filtraggio, stoccaggio, rete distributiva ed utilizzatori. Uno degli aspetti più importanti sono i materiali, che non devono essere tossici e creare rischi di contaminazione chimica o batteriologica inficiando così il riutilizzo dell’acqua. Di solito, per praticità e per costi, è preferito il polietilene, ma materiali quali acciaio o cemento sono corretti. È buona regola scegliere tra i materiali normati dalla vigente legislazione per la conservazione delle acque domestiche per il consumo umano.
L’acqua piovana viene raccolta dalle superfici di captazione (tetti, lastricati solari, balconi, giardini…) attraverso le grondaie ed i pluviali; a monte di questi si deve applicare un filtro per evitare che detriti e fogliame li intasino. In commercio esistono diverse tipologie di filtro (coassiali, centrifughi, manuali...), ma l’ideale è il filtro autopulente perché, con la sua efficienza tra il 70 ed il 95%, garantisce la miglior resa di setaccio ed evita la manutenzione ordinaria dello stesso.
A questo punto l’acqua, prima di essere stoccata in cisterna, deve essere depurata per evitare la presenza di inquinanti o batteri che alterano la qualità dell’acqua ivi raccolta. Esistono molti metodi di filtraggio: il filtro a dislivello di funzionamento, a maglia rotativa, a lamine triangolari con contro-lavaggio, sistema di dissabbiatura-disoleatura, multi-stadio (con prima filtrazione 90 micron, successiva a 25 micron e trattamento a carbone attivo per rimuovere odori e colori assunti nel percorso).
Quello con resa migliore ed ideale per localizzazioni in contesti fortemente urbanizzati o in vicinanza di zone industriali e/o strade di gran traffico è la fitodepurazione. Questo sistema di filtrazione vegetale è una tecnica naturale attraverso percolazione delle acque in manto di sabbia o ghiaia piantumato a macrofite acquatiche (canapa acquatica, Iris pseudacorus, lythrum salicaria…).
La cisterna di accumulo può essere posizionata sia fuori sia dentro terra. Le differenze tra i due posizionamenti sono enormi. Per la prima bisogna tenere presente di avere un serbatoio resistente agli UV, una superficie esterna ampia e non essere a latitudini che gelano in inverno. La scelta interrata, pur se più onerosa, è quella che garantisce la miglior salubrità dell’acqua stessa. Questo perché in terra non vi è alterazione organolettica o fermentativa dall’irraggiamento UV, la temperatura è stabile durante tutto l’anno e non produce consumo di suolo.
Penultima parte è l’impianto di distribuzione; questo deve essere differenziato e realizzato separatamente rispetto alle altre condutture idriche. Esso è composto da tubature di mandata e da una pompa elettrica (volendo alimentata con fotovoltaico) che spinge l’acqua nei tubi fino agli utilizzatori.
Importante nell’efficienza totale dell’impianto di recupero sono gli utilizzatori finali che dovranno essere a basso consumo d’acqua come i rubinetti dotati di rompigetto e di riduttore di pressione, le lavastoviglie e le lavatrici con ciclo di lavaggio a basso utilizzo d’acqua, le cassette di scarico a doppio pulsante e i wc a flusso ridotto.
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