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Ogni promessa è debito… (anche in odontoiatria)

Maria Sofia Rini

Maria Sofia Rini

mar. 19 giugno 2018

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XY, paziente cinquantenne, si rivolge a un noto odontoiatra a causa di una leggera cacosmia e di un sanguinamento gengivale. Già altri odontoiatri hanno diagnosticato una parodontite avanzata, ma il paziente non ci crede. Sostanzialmente si sente bene, nonostante i suoi chili di tartaro e la leggera mobilità di alcuni denti, non vuole estrazioni e protesi.

Il dottore conferma la diagnosi, ma minimizza la portata del problema e, soprattutto, promette e garantisce una guarigione escludendo estrazioni e protesi (esistono a riguardo informative sottoscritte e filmatini pubblicitari). Propone ortodonzia, trattamenti endodontici e parodontali, promettendo grandi risultati, in tempi brevi, attraverso il ricorso a metodiche innovative, sconosciute ad altri in Italia.

Iniziano le terapie (ablazioni tartaro, ortodonzia, scaling e root planing, curettages gengivali, farmaci nelle tasche, laser, test microbiologici ripetuti e trattamenti endocanalari) che si protraggono da febbraio 2012 al maggio 2015. Costo? Circa 11.500 euro, ma inizialmente i risultati ci sono: il paziente sta meglio, l’alitosi si ridimensiona, i denti perdono l’iniziale mobilità e si sono rapidamente allineati, anche se il livello di igiene domiciliare non è proprio migliorato.

Poi, però, la situazione cambia: i denti si sventagliano, alcuni risultano avulsi dagli alveoli (12, 22, 15, 25) restano in bocca solo perché attaccati al filo ortodontico. Altri si muovono più di prima. Poi qualche dente viene spontaneamente “sputato”. Il dottore da la colpa alla scarsa igiene domiciliare e propone alcune estrazioni (12, 22, 15, 25), interventi di chirurgia parodontale, altra endodonzia e protesi, con ulteriore richiesta di € 15 mila euro.

XY ha qualche perplessità, effettua alcune consulenze e scopre che le terapie praticate non hanno risolto i suoi problemi, né potevano farlo. Terapie inutili e dannose. Infatti deve estrarre denti prima recuperabili e ha perso ulteriore supporto osseo (già scarso in partenza), soffrendo per nulla. Discute con il professionista, ne richiede le ragioni, chiede i danni, lo chiama a mediazione, tenta una transazione (non ha soldi e vorrebbe intervenire per salvare il salvabile), ma il curante non risponde, non si presenta, rifiuta qualsiasi idea di transazione («XY non si pulisce!») ed infine comunica gli estremi della propria assicurazione.

Certamente XY è poco motivato, continua a pulirsi poco e male, ma le terapie effettuate non hanno dato i risultati promessi e risultano inidonee e scorrette. Le promesse quindi non sono state mantenute. La vicenda non si risolve e si va in Tribunale. Il CTU riconosce l’esecuzione di terapie inutili (prive dei risultati garantiti - inadempimento) e dannose (es. ortodonzia), terapie che assieme alla scarsa compliance, hanno compromesso definitivamente il quadro.

Risultano omesse estrazioni necessarie ab initio mentre oggi sono necessarie altre estrazioni e il supporto osseo si è ulteriormente ridotto. Esiste una concorrenza di cause (condotta professionale e scarsa compliance del paziente) parimenti idonee a produrre la compromissione rilevata, ma se entrambi i soggetti della vicenda hanno contribuito al peggioramento del quadro, il medico, specialista della materia ha promesso miracoli impossibili.

Alla visita del CTU le condizioni cliniche sono peggiori di quelle oggettivate (Figg. 1-4) alla fine del rapporto. Il riconoscimento di concorrenza di cause porta ad accollare a YZ solo parte dei danni rilevati (danno biologico 1% e ITP al 10% per 50 giorni), ma l’inadempimento fa riconoscere anche l’obbligo di rendere quanto percepito per prestazioni inutili e non indicate. Dovrà quindi restituire di tasca propria competenze per almeno 10.000 euro oltre alla franchigia prevista dal contratto di polizza in materia di risarcimento e alle spese legali. Nelle incaute promesse il Giudice riconosce, inoltre, un grosso vizio di consenso.

Morale della favola? Non promettere mai quello che non si potrebbe mantenere, ma soprattutto non documentare tranelli e bugie. La vicenda nella sua apparente semplicità porta ad altre importanti riflessioni: le promesse ampliano le obbligazioni del professionista ben oltre all’obbligo di mezzi, ma anche questi ultimi devono risultare adeguati, appropriati, giustificati e bene utilizzati.

Allontanarsi dalle buone pratiche, dalle linee guida, dalle raccomandazioni deve trovare precise giustificazioni, che nel caso narrato non c’erano. Il ricorso a miracolosi protocolli sconosciuti in Italia e non convalidati dalle evidence è proibito. L’operato del professionista deve prevedere condotte idonee, scelte procedurali corrette e condivise sulla base di informative veritiere, a fronte di interventi necessari.

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