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Meglio un sorriso perfetto o “globalizzzato” oppure con qualche difetto ma personale?

Joana Lopes/Shutterstock
L. Gallo

L. Gallo

ven. 14 luglio 2017

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Leggendo il libro “Individualità v/s globalizzazione” di Roberto Deli, docente di Ortognatodonzia all’Università Cattolica di Roma, ho avuto modo di riflettere su l’omologazione, tema a me caro e ben argomentato in questo volume che entrerà a far parte di una collana di approfondimento sulle conoscenze pratiche in Ortodonzia.

Sull’omologazione, “scorciatoia” troppo spesso imboccata nel trattamento odontoiatrico, riporto un passo tratto dal testo. “Seguendo la morale di Kant, alcuni pazienti preferiscono che i propri denti, pur se malposti, così restino, poiché non amano perdere l’identità anche se data loro dalla malocclusione. Se questo atteggiamento appare esagerato, mette tuttavia in evidenza il rispetto dovuto a chiunque chieda un aiuto ortodontico: magari la sua motivazione è solo di un miglioramento e non di perfezione (che costa un cambiamento non desiderato, fatica, tempi lunghi e denaro)”.

Esposto ad esperienze molteplici, da sempre l’uomo cerca di rintracciare nella diversità una regolarità che lo aiuti a capire meglio la natura. Quando in un afoso pomeriggio d’estate mangio un ghiacciolo, se non mi affretto, fonde, colando sulle mani. Ancora: se dimentico di mettere l’olio nel motore della macchina, si surriscalda e fonde anch’esso. È chiaro che due fenomeni così diversi si possono ricondurre sotto una regola comune: il calore dilata i corpi. I mille differenti casi di variazione di volume in un corpo, a causa del calore, vengono raggruppati sotto una legge che vale per tutti quei casi.

Così opera la nostra mente. Così noi abbiamo imparato a leggere il libro della natura, costruendo in definitiva un metodo scientifico in grado di anticipare i problemi. Tutto sta nella capacità di cogliere caratteri comuni a esperienze diverse, talvolta lontanissime tra loro, come nell’esempio del ghiacciolo e del motore. Parlando di Odontoiatria, il problema nasce quando il dentista operante sul versante dell’estetica, cerca di ricondurre le molteplici forme in cui si presenta il sorriso delle persone sotto una regola comune detta anche “canone estetico”.

Cosa si perde e cosa si guadagna? I vantaggi di una procedura standardizzata in Ortodonzia e nella Protesica si conoscono: rapidità di trattamento e certezza di risultato. Un sorriso uguale a quello della tale attrice o cantante, può tuttavia esser troppo simile al sorriso della vicina di casa che confiderà l’indirizzo del dentista come fosse un segreto di stato. Perché azzerare le asimmetrie a favore di una struttura ordinata e regolare può dare l’idea di aver finalmente raggiunto un’armonia espressa dalla regolare disposizione dei denti ed assenza di difetti, anche minimi.

Per approfondire la riflessione vale, a tale riguardo citare Kant e la sua Critica del Giudizio: “Un volto perfettamente regolare, quale un pittore potrebbe desiderare d’avere per modello, ordinariamente non esprime niente, non avendo nulla di caratteristico: esprime piuttosto l’idea della specie [umana] che il carattere di una persona”.

La bellezza di un volto non risiede quindi nelle proporzioni esatte, nella così detta “regola aurea” ma nel carattere che esprime l’individualità di una persona. Ignorando il proprio condizionamento subliminale, il paziente fisserà spesso la richiesta del trattamento odontoiatrico ai canoni della moda del momento. Là dove si presentano difetti evidenti esistono margini di correzione tuttavia, come suggerisce Deli, “il trattamento non può mirare alla perfezione. Tra tutti gli oggetti del mondo, l’uomo è il solo capace dell’ideale della bellezza, come la sola intelligenza dell’umanità è capace di nutrire l’ideale di perfezione".

L’ideale di bellezza può essere auspicato dal paziente e intravisto dallo specialista che tenta di conseguirlo con tecnica ed intuizione. La prima consistente nell’applicare al caso specifico procedure conosciute con opportune variazioni e su cui si gioca il risultato, mentre la seconda è una facoltà che anticipa in un’immagine mentale la forma in cui costringere la materia. Proprio come uno scultore che dinanzi al blocco di marmo, intravvede la statua. La comunità umana può raggiungere la perfezione non certo nell’estetica ma nella morale, auspicava Kant. Sul piano individuale l’organismo vivente è già di per sé un miracolo di perfezione cui l’uomo non potrà aggiungere nulla.
 

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