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Le polizze di assicurazioni della responsabilità civile professionale con clausola “claims made”

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Enrico Angesia

Enrico Angesia

ven. 12 settembre 2014

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Con la recente sentenza 18/12/13 – 17/2/14 n. 3622, la Cassazione è nuovamente intervenuta sul contratto di assicurazione della responsabilità civile con clausola “claims made” ossia a “richiesta fatta”.

Secondo il disegno del legislatore codicistico, la clausola riguarderebbe gli eventi lesivi verificati nel periodo di polizza (la cosiddetta “loss occurrence”, perdita subita), nell’ambito di una polizza assicurativa inerente i danni che un professionista può arrecare a terzi.
In altre parole se un contratto di assicurazione va dal 1° gennaio 2013 al 31 dicembre 2013, la polizza coprirebbe gli errori commessi in quel lasso di tempo, anche se denunciati dal danneggiato nel decennio successivo. Il rischio naturalmente è che, stipulata anni prima, una polizza possa risultare non più adeguata rispetto al momento in cui dovrebbe intervenire a favore dell’assicurato. Basti pensare alla svalutazione di un certo massimale con il trascorrere di un decennio.

Si è pertanto sempre più diffusa sul mercato delle polizze professionali la copertura della RC con clausola “claims made”, dove la garanzia assicurativa scatta solo se c’è una richiesta danni da parte del cliente nel periodo di vigenza della polizza. Si tratta di un contratto “atipico”, riconosciuto legittimo dalla giurisprudenza della Suprema Corte, da ultimo, con la sentenza citata. Per riprendere l’esempio già fatto, se un contratto di assicurazione RC professionale ha effetto dall’1 gennaio 2013 al 31 dicembre 2013, l’assicurato sarà coperto per le richieste danni che gli pervengano solo ed esclusivamente in quel preciso lasso di tempo. Se una diffida risarcitoria fatta oggi è riferita a eventi dannosi verificatosi in passato, non essendovi una clausola “claims made”, ha il pregio di estendersi agli eventi pregressi verificatisi 2, 3, 5 anni addietro, secondo le previsioni di polizza.

Una polizza di questo tipo, se ha il vantaggio di intervenire nella denuncia del sinistro in cui la copertura assicurativa diventa necessaria (magari per errori commessi in passato allorché non si era assicurati), ha lo svantaggio di lasciare scoperte le denunce tardive. Se per negligenza non mi assicuro per l’anno successivo, e in quel frangente mi viene chiesto il risarcimento di un certo danno per gli anni passati per i quali ero assicurato l’anno prima, resto privo di copertura. Con la clausola “loss occurrance”, invece, se io mi ero assicurato solo per un certo periodo anni or sono e un cliente mi chiede il risarcimento di un fatto verificatosi mentre vigeva la vetusta polizza di allora, io sarò coperto (pur con i limiti citati).
Posto che così funziona, a grandi linee, il meccanismo della polizza con clausola “claims made”, qualora io, non assicurato (o non assicurato in modo conveniente) mi accorga di aver commesso un errore di cui in futuro potrei essere chiamato a rispondere, potrei anche essere tentato di stipulare una polizza senza dar conto al mio assicuratore dell’errore a me noto. In tal caso il contratto potrebbe essere annullato dal giudice per reticenza su istanza della compagnia dell’assicurato.

Non si tratta di un silenzio qualsiasi. Tale reticenza potrebbe portare all’invalidità della polizza al verificarsi di tre condizioni, da accertarsi caso per caso:
a) tacendo l’evento dannoso;
b) per reticenza dolosa, ossia volontaria o per colpa grave;
c) se ha determinato il consenso dell’assicuratore (si veda da ultimo, Cass. 22/3/13 n. 7273).
Con un esempio concreto, è possibile vedere in pratica i principi sopraesposti.
Un avvocato ottenne una sentenza a favore di un proprio cliente, con la quale la controparte veniva condannata a corrispondere al suo assistito l’importo di euro 100,00. Teniamo ora presente che, per regola generale, il credito del cliente vittorioso a favore del proprio avversario si prescrive con il decorso di 10 anni qualora il creditore non abbia chiesto a controparte nel decennio il pagamento del suo debito. Poiché la parte soccombente non adempie spontaneamente, l’avvocato di cui stiamo parlando promuove un’esecuzione forzata contro il debitore. Il legale in seguito si dimentica della pratica e il processo esecutivo si estingue per inattività delle parti. A un certo momento, però, il cliente comincia a chiedere informazioni all’avvocato in merito al pignoramento, ma quest’ultimo, resosi conto dell’errore professionale, gli si nega.
Passano i giorni (10 anni dall’inizio dell’esecuzione forzata per l’esattezza) e l’avvocato si rende conto non solo di aver lasciato estinguere la procedura esecutiva (che avrebbe comunque potuto riattivare), ma di non aver neppure interrotto il decorso della prescrizione, causando al suo cliente la perdita definitiva del credito di 100.

A questo punto seccato per l’atteggiamento dell’avvocato, il cliente minaccia un’azione di danni, se continuerà a non rispondergli. L’avvocato, allora, decide astutamente di rivolgersi a una compagnia per assicurarsi per fatti avvenuti nel passato, tramite una polizza con clausola “claims made”. Parte finalmente la causa del cliente contro l’avvocato, il quale evoca in giudizio la compagnia, che però riesce a dimostrare in corso di causa che il legale era perfettamente al corrente del danno provocato al suo assistito prima di assicurarsi, e ottiene così l’annullamento del contratto di assicurazione.

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