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La leadership ai nostri giorni: quanto vale e come si impara tra intelligenza emotiva e competenze

Amm. Giacinto Ottaviani Presidente del Centro Alti Studi per la Difesa.
Patrizia Gatto

Patrizia Gatto

mer. 30 agosto 2023

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L’esperienza dell’Amm. Giacinto Ottaviani Presidente del Centro Alti Studi per la Difesa.

Lo scorso 26 Luglio la Dental Tribune Italia ha avuto l’opportunità di intervistare l’Ammiraglio di Squadra Giacinto Ottaviani, attuale Presidente del Centro Alti Studi per la Difesa, laurea in fisica ottenuta presso l’Università di Parma e Master in Business Administration a Boston. Il motivo di questa intervista è la Sua presenza come ospite d’onore al prossimo congresso di Fiuggi del Cenacolo Odontostomatologico Centro Italia (C.O.C.I.), presieduto dal Prof. Francesco Riva Consigliere del CNEL,  che si terrà l’8/9 settembre dal titolo “Salute, alimentazione, sport e benessere: il nostro ruolo in campo europeo”, dove terrà una relazione sulla leadership sulla base della personale esperienza maturata.

Nell’ambito della Difesa, la tematica della leadership ha sempre fatto assolutamente scuola e non è la prima volta che il settore sanitario attinge dei dirigenti della Difesa per affrontare questa tematica. Ammiraglio: leader si nasce o si diventa? Una persona può acquisire le skills da leader?
Questa è una domanda ricorrente. Ritengo che non ci sia una sola risposta esatta: ci sono diverse scuole di pensiero e posso dire quale sia la mia opinione, anche in base alla mia lunga esperienza. Sebbene si pensi che i maggiori leader mondiali della storia siano persone nate leader, io credo che leader si diventi. Non credo che una persona nasca già con la capacità di dirigere efficacemente un team e di entrare in empatia con le persone. Credo piuttosto che i grandi leader siano persone che sin da giovani, sin dai primi passi della loro carriera siano stati molto attenti alle tematiche della leadership, quindi, alle dinamiche quotidiane di interazione con i collaboratori, ad osservare come agivano i loro superiori, sia nel bene sia nel male, a partire dalle dinamiche emozionali nelle interazioni fra leader e followers, investendo tempo per migliorarsi. Oggi viene dato molto peso nel campo della leadership agli aspetti emozionali. Si parla di intelligenza emotiva che è un concetto nuovo nato negli anni 90. Molte strutture che in passato basavano l’accesso sulla base del quoziente intellettivo ora lo incentrano anche sugli aspetti emozionali. Gli scienziati relativamente all'intelligenza emotiva, che è un cardine di un leader efficace, dicono che può essere migliorata proprio con l’esercizio. Oggi non esiste una ricetta su come essere un perfetto leader. Se ci fosse, sarebbe tutto semplice. Questo da una parte può sembrare un handicap, perché effettivamente è una materia ancora da scoprire, da investigare, dall’altra invece è un vantaggio perché induce a investire tempo sulla leadership, a studiare i meccanismi oltre, empiricamente, la storia ponendosi delle domande: cosa è successo? Cosa abbiamo visto nei nostri superiori? Cosa succede a noi quotidianamente?
In sintesi io ritengo che leader si diventi: step by step si migliori, soprattutto per gli aspetti emotivi, riuscendo a essere più efficaci.

Questa sua risposta penso che tranquillizzi tutti noi, poiché se fosse una caratteristica innata, sarebbe davvero sconfortante. Ci sono in ogni caso delle caratteristiche rilevanti che deve avere un leader, secondo lei e secondo la letteratura?
Non essendoci una ricetta, ognuno esprime la propria leadership in parte sulla base di com’è fatto e in parte su quello che è l’ambiente. La leadership è influenzata molto dall’ambiente in cui si opera. Ci sono degli aspetti che sono ricorsivi, che rientrano nella letteratura, nella bibliografia, però le caratteristiche che io adesso vorrei enunciare sono quelle che io personalmente, sulla base della mia quarantennale esperienza, ho maturato. La caratteristica principale è quella dell’essere onesti. Un leader onesto è un leader efficace. Se un leader è efficace, è un leader che è seguito dai propri collaboratori. Cosa intendo per onesti? Intendo che un leader deve avere il coraggio, la forza, la disciplina di anteporre sempre il bene e gli interessi collettivi agli interessi personali.
Io credo in una leadership di servizio, quindi per questo parlo di disciplina innanzitutto con se stessi. Il leader in primis deve essere autodisciplinato prima di chiedere le cose agli altri. Autodisciplinato significa non sentire le sirene che lo inducono a dire “ma fai come ti pare adesso che hai il potere, segui questa strada che è quella che ti dà maggiore beneficio personale”. Provenendo dal mondo navale farei questo esempio. Il mondo di una nave è un mondo ostile, non naturale. Su una nave si vive insieme, in promiscuità. Quando la nave naviga per lungo tempo, non esiste un orario di fine attività, non c’è un orario in cui è possibile andare via. Si vive in un ambiente senza whatsapp, senza collegamenti con i familiari… si vive tutti insieme. Non esiste notte, giorno o domenica. Per questo motivo lo definisco un ambiente ostile, ma molto formativo, perché su una nave si capisce quanto sia importante interagire con gli altri, quanto sia importante essere onesti ed essere come si è.
I nostri collaboratori ci guardano e dopo qualche ora capiscono perfettamente come siamo. Se sanno che alla base delle nostre decisioni c’è l’interesse collettivo, allora ci seguiranno e acquisiremo credibilità. Se invece vedono che le nostre decisioni sono basate sull’interesse personale, non ci saranno le basi per creare quello spirito di squadra necessario. Ritengo che quanto detto sia replicabile in tutte le organizzazioni. Adesso presto servizio in una struttura a terra, non su una nave, però credo che sia sempre importante porsi in maniera onesta e forse fra le 1.000 caratteristiche del leader io mi sforzo di interiorizzare quella che io chiamo la cosiddetta “regola aurea”, che insegna a trattare gli altri come vuoi che tu sia trattato. Perché se io tratto gli altri come vorrei essere trattato, significa che io tratterò gli altri quasi con amore, con spirito familiare, che credo sia il vero punto di sintesi finale di una leadership efficace.
Un leader deve comunicare con gli altri, indicare gli obiettivi e la missione della struttura che dirige.
Anche le competenze sono un aspetto importante, ma anteporrei l’intelligenza emotiva, che in sintesi è conoscere sé stessi. Anche Socrate diceva “conosci te stesso”. Se noi non investiamo parte del nostro tempo sul fare un’attività di esame interiore, non saremo in grado di conoscere noi stessi. Personalmente ritengo che prima di guidare gli altri, un leader debba essere padrone del timone della propria vita, senza essere in balia delle emozioni e deve essere capace di capire quali sono i propri punti deboli per poter investire del tempo nel migliorarsi.
Un altro aspetto fondamentale è l’umanità. Io credo in una leadership umana. Non credo assolutamente in un leader che sta su un “cloud” dispensando pillole di saggezza ogni tanto a suo piacimento. Credo che una leadership efficace sia un po’ quella che io definisco molto personalmente il “modello del capitano di rugby”, richiamando un po’ le mie pregresse esperienze sportive. Il capitano di una squadra di rugby sta nel fango in mezzo agli altri, non si tira fuori dalla mischia. È una persona che è diventata capitano non perché viene nominato da qualcuno fuori, ma perché gli altri vedono in lui la persona di maggior carisma. Con l’'umiltà di migliorarsi si può meritare di essere il capitano di una squadra.

L’esempio che ha fatto in precedenza sulla difficoltà nell’essere su una nave può essere riflesso in una struttura sanitaria, dove ci sono medici e sanitari a contatto con la malattia, che lottano contro batteri e virus per la guarigione o l’insuccesso del proprio operato. Le capacità che lei ha elencato fanno ritenere che un leader possa essere trasversale in qualunque ambito lavorativo e settore di riferimento oppure deve essere uno specialista, un tecnico?
Credo che le caratteristiche che ho presentato nella precedente domanda siano, a mio personalissimo avviso, le caratteristiche trasversali principali. Ritengo che quelle caratteristiche debbano essere possedute da un primario di chirurgia come da un comandante di una nave, perché concordo con lei che il parallelismo con il mondo della medicina è estremamente calzante. Sono due mondi comunque “ostili” in senso lato.
È chiaro che c’è un altro elemento importante che è quello delle competenze specifiche. Spesso esorto gli studenti e i frequentatori del nostro Centro - dove ospitiamo anche studenti civili, essendo una neo istituzione universitaria - a studiare molto per essere competenti: infatti, quando si affronta un nuovo progetto, il primo elemento che ci consente di instaurano i primi link con i collaboratori sono quelli sulle competenze. In sintesi c'è un set generoso di competenze a fattor comune trasversali ma poi servono le competenze tecniche.

Quindi le competenze richieste a un leader sono un mix di competenze tecniche e di management generali.
Concordo sul fatto che si debbano studiare gli aspetti tecnici, quindi anche il management su cui da sempre c'è stata convergenza. In passato c’era la convinzione che l’aspetto della gestione delle persone, delle interazioni in un team fosse un qualcosa di innato, e invece può essere imparato. Non si trova scritto sui libri perché non esiste la ricetta sulla leadership, però si possono migliorare le proprie capacità, quelle trasversali di gestione delle interazioni con gli altri e di gestione del sé, l’empatia per poter entrare in sintonia con gli altri e addirittura prefigurare un po’ le emozioni altrui. Per fare questo bisogna essere umili, perché se non lo si è, si rischia di pensare di sapere tutto e di non interessarsi di cosa pensano gli altri, pensando di essere perfetti senza guardare a come si è fatti. Queste sono le premesse per fare dei danni.

Nel passato la figura del leader era molto individualista. Oggi quanto conta essere supportato dal team e avere poche capacità di delega?
Secondo la mia personale visione e valutazione, che non rispecchia quindi alcuna posizione della Marina Militare ne’ tantomeno della Difesa, la percentuale di individualismo deve essere lo 0%. Se faccio una domanda a me stesso e mi chiedo quale attività nell'ultimo anno ho svolto dall'inizio alla fine da solo, la risposta è nessuna, soprattutto nel mondo d’oggi, un mondo totalmente interconnesso, che non è fatto per i solisti o per gli individualisti, il mondo in cui viviamo è un mondo complesso, un mondo “unpredictable”. Questo mondo non può essere affrontato da soli, ecco perché ritengo che siano necessarie le capacità, l’intelligenza emotiva, le capacità relazionali, perché un direttore o un responsabile di qualunque struttura necessariamente deve saper interagire sia con i propri collaboratori e con l'esterno.
Questo è valido anche per un chirurgo. Un network ha le capacità di interagire con gli altri e quindi di cogliere delle opportunità per migliorarsi: l'uomo che vive in bolla da solo, secondo me, non è un soggetto attagliato al mondo attuale.

In alcune interviste, lei ha detto che le attuali dinamiche che governano il mondo non sono necessariamente collegabili da un rapporto di causa effetto. Potrebbe spiegare anche ai nostri lettori?
Tutti i giorni si parla di complessità in vari campi. Il professor Parisi ha vinto un premio Nobel per lo studio della complessità nella fisica dei sistemi termodinamici. Ma cosa significa complessità? Il nostro mondo è complesso perché la realtà è volatile, dinamica, cambia rapidamente ed è sostanzialmente “unpredictable”. Gli eventi maturano molto più velocemente. Probabilmente la complessità c’è sempre stata, ma non ce ne siamo accorti in passato perché il mondo andava in maniera più lenta. Cosa ha dato questa forte spinta agli eventi? Cosa ha incrementato la velocità degli eventi? Probabilmente la rivoluzione digitale. Oggi siamo connessi a milioni di persone, i fatti sembrano non correlati.
Il rapporto causa-effetto non è più così perché il mondo ha delle dinamiche più rapide, più complesse. Anche in ambito civile si usa un termine coniato a fine anni 90 nel mondo militare, che serve a indicare l’incertezza e l’ambiguità in qui si vive, il termine è “Fog of War” nebbia di guerra. Con questo termine si vogliono richiamare le situazioni operative reali in cui per rapidità di evoluzione degli eventi si vive una situazione in cui non sono chiari tutti gli aspetti.
Mentre prima c’erano manager esperti che pianificavano una soluzione e poi la implementavano, adesso il mondo è delle persone adattive che vanno e si buttano nel mercato, vedono cosa succede per adattarsi velocemente. Oggi si parla di Big data e di intelligenza artificiale, ritenuta più efficace di noi perché è capace di processare l’infinità di dati che ci sono. Ecco in un mondo come questo, dove bisogna vedere che cosa succede nell’ambiente in cui viviamo, adattarsi, trovare immediatamente delle soluzioni, è chiaro che il solista non ha più motivo di esistere ed ecco che il tool, lo strumento migliore per operare in un mondo complesso, in un mondo “unpredictable”, sia uno strumento complesso quale il team. Per cui credo molto nelle dinamiche relazionali, nella capacità di lavorare in team e nella capacità di stimolare il team.

Questo argomento dell’adattabilità del team e della reazione rapida sono elementi fondamentali in ambito sanitario ed odontoiatrico, dove gli imprevisti e le minacce nel corso del piano terapeutico sono molto frequenti.
Un’ultima domanda. Per il successo di un progetto o di una struttura, da 1 a 10 quanto la capacità di leadership contano?

Personalmente darei un voto alto. Esclusi quelli che possono essere degli elementi strutturalmente fondamentali, risponderei con un valore di 7-8 punti. Molto dipende dal leader, dal responsabile e dalla sua capacità di realizzare un network efficace. L’ho appurato nel corso degli anni. Tra due persone diverse vince chi ha mostrato delle capacità umane e relazionali migliori, perché ha come dote la possibilità di avere una rete di persone e strutture a cui chiedere, a cui far riferimento. Fatte salve delle lacune strutturali esogene che esulano completamente dall’alveo della capacità del responsabile del progetto, credo che tutto il resto sia nelle mani sue, dalle cose più semplici fino alle cose più difficili.

Grazie di questa conversazione che ci ha permesso di capire anche il motivo del titolo della relazione che farà al congresso di Fiuggi “La mia leadership”. Ci ha dato delle indicazioni frutto di una sua lunga esperienza e del suo pensiero
Grazie a voi. Grazie, è stato un piacere per me.

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