MONACO/TORINO, Italia: In occasione dell’ultimo congresso della European Association for Osseointegration, tenutosi a Monaco dal 30 settembre al 3 ottobre con la presidenza congiunta italo-francese dei professori Carlo Maiorana e Pascal Valentini, il premio per la miglior ricerca clinica è stato assegnato al dottor Mario Roccuzzo, libero professionista torinese. Ospitiamo una breve intervista del nostro Editore al premiato, con la soddisfazione di quando i ricercatori italiani ricevono riconoscimenti internazionali.
Durante l’ultimo congresso della European Association for Osseointegration (EAO) di Monaco, il premio per la miglior ricerca clinica è stato assegnato al dottor Mario Roccuzzo, perfezionato in parodontologia a Stoccolma e a Siena, clinico specialista in paradontologia e implantologia. La ricerca, dal titolo “Gli impianti nei pazienti parzialmente edentuli affetti da malattia parodontale: risultati di uno studio prospettico a 10 anni”, è stata selezionata tra oltre 500 provenienti da tutto il mondo.
Dottor Roccuzzo, può sintetizzare la sua ricerca e i risultati ottenuti?
Questa ricerca ha dimostrato, su più di cento pazienti seguiti per 10 anni, come il trattamento implantare possa essere eseguito, con una elevata percentuale di successo, anche nei pazienti affetti da malattia parodontale grave, a condizione che questi seguano un protocollo preciso e severo prima, durante e dopo il trattamento chirurgico. Tuttavia, i pazienti affetti da malattia parodontale dovrebbero essere informati che presentano un rischio maggiore di andare incontro nel tempo a complicanze biologiche periimplantari. Inoltre, i pazienti dovrebbero ricevere chiare informazioni, prima della terapia chirurgica implantare, che il successo a lungo termine è strettamente legato alla loro capacità di aderire fedelmente a un adeguato programma di mantenimento.
Quanto modifica questa ricerca le opinioni precedenti?
Nel lontano passato si diceva comunemente che gli impianti nei pazienti “con la piorrea” non funzionavano. Negli ultimi anni si è passati all’accesso opposto. In molti casi, il posizionamento di impianti viene eseguito anche in assenza di una adeguata preparazione parodontale iniziale. Inoltre, si parla con troppa facilità di carico immediato o di posizionamento assistito dal computer, dimenticando che le complicanze biologiche continuano a essere sottostimate.
Cosa significa questo premio nella sua professione, nella sua carriera?
Il riconoscimento ha premiato il lavoro di un gruppo di persone che ha lavorato molto con me in questo decennio. Ha confermato la bontà di una intuizione che ho avuto una dozzina di anni fa, quando ho deciso di limitare la mia attività alla parodontologia e implantologia per poter fornire ai miei pazienti il miglior trattamento possibile.
Oggi la malattia parodontale è considerata un fattore di rischio per altre importanti patologie e se ne studia sempre di più le connessioni con diabete, parto prematuro, malattie cardiovascolari. Alcuni – tra cui il professor Genco degli Usa, anche in una recente conferenza a Roma – auspicano un più importante lavoro interdisciplinare tra medici di base, specialisti in altre discipline e odontoiatri nel trattamento dei pazienti. Lo crede personalmente utile e fattibile nella nostra realtà italiana?
Le collaborazioni, a tutti i livelli e in tutti i paesi, non sono mai facili, ma rappresentano nel mondo moderno l’unico modo per progredire nella ricerca scientifica.
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