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Là dove la cura è speranza: il progetto odontoiatrico di SMOM in Burundi

Progetto odontoiatrico SMOM in Burundi

gio. 27 novembre 2025

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Da oltre trent’anni SMOM – Solidarietà Medico Odontoiatrica nel Mondo – è impegnata nello sviluppo sanitario in diversi Paesi, attraverso programmi di prevenzione e formazione che integrano salute e crescita socio-economica. Dal 2004 l’associazione opera come realtà strutturata di cooperazione internazionale, collaborando con istituzioni e comunità locali in sei Paesi dell’Africa sub-sahariana. Al centro delle sue attività vi sono la creazione di sistemi sanitari sostenibili e la formazione di operatori locali.

In questo contesto si inserisce la recente missione in Burundi, realizzata in partnership con l’Istituto Stomatologico Toscano e la Fondazione Castagnola-Perrini e il contributo del Rotary Pisa San Rossore. Il Prof. Ugo Covani e la Prof.ssa Annamaria Genovesi hanno contribuito a un progetto formativo rivolto agli operatori odontoiatrici del territorio, vivendo un’esperienza intensa in un contesto fragile ma ricco di umanità. Il loro impegno testimonia la visione di SMOM: portare competenze, responsabilità sociale e un messaggio concreto di solidarietà. Per approfondire questa iniziativa, abbiamo il piacere di intervistare il dott. Pino La Corte, socio fondatore di SMOM.

Come è nata SMOM e qual è oggi la sua mission?
L’associazione è nata dall’iniziativa di alcuni medici e odontoiatri, professionisti nella vita e accomunati dalla passione per i viaggi nelle terre spesso più povere del pianeta. Percorrendo questi itinerari siamo venuti a contatto con realtà di estrema miseria, che hanno profondamente colpito le nostre coscienze e fatto nascere il bisogno di intervenire con un contributo professionale. La scintilla da cui nacque SMOM fu il tragico evento della morte, sul Monte Cervino, di tre scalatori: tre volontari impegnati in un progetto di sviluppo della salute orale sulle Ande peruviane. Quell’estate, mentre mi trovavo in viaggio in Perù con la famiglia, andammo a San Marcos, sede della loro iniziativa con cui già collaboravo. Tornai con la convinzione che il loro sogno e il loro altruismo dovessero essere onorati attraverso il nostro impegno nel portare avanti gli obiettivi posti dai colleghi scomparsi.
In quegli anni, in Italia, si era formata una galassia di iniziative spontanee di odontoiatri, liberi professionisti poco inclini a essere soffocati dai riti associativi. Ci ritrovammo attorno a questo progetto e, nel 2004, nacque SMOM. Inviammo a San Marcos, a 3.000 m s.l.m. sulle Ande peruviane, un collega bergamasco per 18 mesi e molti volontari per missioni brevi, con l’obiettivo di curare i 4.680 giovani studenti che scendevano nel fondovalle per studiare a San Marcos. In Perù, in quegli anni, la prevalenza della patologia cariosa era fra le più alte del mondo: realizzammo un’indagine epidemiologica che confermò un DMFT di 3,5 a 12 anni. In sei anni eseguimmo oltre 16.000 prestazioni terapeutiche, accompagnate da attività preventive.
La nostra mission? Sviluppo e Salute: un binomio indissolubile. Fame e povertà sono ancora oggi la prima causa di malattia nel mondo. Da qui un focus particolare sulla salute orale sostenibile, senza dimenticare i suoi fattori determinanti: sociali, ambientali, culturali ed economici. In questi anni abbiamo promosso la salute orale anche costruendo scuole, pozzi e centri di formazione professionale, volti all’emancipazione sociale, sanitaria ed economica delle comunità locali. SMOM importa in Europa e commercializza, anche sul proprio sito smom.care, prodotti realizzati dalle proprie iniziative.

In quali Paesi operate e perché avete scelto il Burundi come area di intervento?
Nei primi anni, con grande entusiasmo, abbiamo operato in tutti i continenti – compresa l’Oceania – rispondendo a ogni richiesta d’aiuto con un approccio spontaneo e caritatevole. Tuttavia, come professionisti della salute, ci siamo presto resi conto che interventi sporadici non avrebbero mai inciso sulle cause profonde della povertà e sull’assenza di servizi sanitari adeguati. È così maturata in noi la consapevolezza di dover professionalizzare il nostro operato, adottando le linee guida internazionali della Cooperazione allo Sviluppo nei Paesi a basso reddito. In queste aree, ancora oggi, si muore per patologie orali infiammatorie.
L’obiettivo non era più semplicemente “fare del bene”, ma contribuire a rafforzare i sistemi sanitari nazionali; in realtà, ci siamo trovati a crearli quasi da zero. Un altro evento doloroso segna il nostro cammino: la scomparsa della volontaria Alice Netikova, che desiderava lasciare un segno in Burundi. Decidiamo di onorarne la memoria proprio in questo Paese, dove la povertà è una realtà schiacciante che condiziona la vita di oltre 12 milioni di persone. Il Burundi è infatti uno dei Paesi più poveri al mondo, con un’economia fragile basata sull’agricoltura di sussistenza. Quando siamo arrivati, la situazione odontoiatrica era drammatica: un solo dentista per un milione di abitanti. Abbiamo quindi attrezzato e avviato un ambulatorio odontoiatrico nell’ospedale rurale di Mivo, ma ci siamo subito accorti che, al di fuori della capitale Bujumbura, non esistevano altri professionisti: i dieci dentisti laureatisi all’estero lavoravano tutti nella capitale.
Nonostante le risorse limitate, proprie del volontariato, e l’incertezza sulla disponibilità di volontari e di fondi adeguati, abbiamo deciso di affrontare il problema alla radice: la mancanza di formazione professionale. Importantissimo è stato il contributo economico dei fondi dell’Otto per Mille della Chiesa Valdese. Abbiamo quindi siglato un accordo con l’Université de Ngozi per attivare corsi universitari triennali, come indicato dall’OMS per i Paesi a economia fragile. L’Hôpital de Ngozi ci ha messo a disposizione l’ex reparto di ostetricia, un’area di 300 mq. Nel 2016 una nostra missione – composta da dentisti e da un chirurgo maxillo-facciale – ha riqualificato completamente gli spazi, trasformandoli in un moderno centro di formazione con due aule didattiche, sei unità operative odontoiatriche e un laboratorio odontotecnico.


È iniziato così il percorso universitario, sostenuto da una straordinaria rete di 30 dentisti italiani volontari, che hanno dedicato due o tre settimane del loro tempo al progetto. Grazie al loro impegno abbiamo potuto formare e laureare 53 terapisti dentali. Già nel 2018, con gli studenti del terzo anno e poi con i neo-laureati, abbiamo iniziato a supportare gli ospedali principali del Paese. Oggi sono operativi 25 servizi ospedalieri di salute orale, e continuiamo a garantire attività preventive e terapeutiche nei maggiori ospedali del Burundi e non solo.
I Ministeri della Salute dei Paesi in cui operiamo hanno riconosciuto l’importanza dei cambiamenti strutturali che stavamo realizzando e ci hanno chiesto di proseguirli in coordinamento con le istituzioni. Così, quella che era nata come una piccola associazione di colleghi volenterosi è oggi un’organizzazione che collabora stabilmente con le autorità sanitarie nazionali, attraverso accordi istituzionali.

In che modo la collaborazione con l’Istituto Stomatologico Toscano ha contribuito allo sviluppo del progetto formativo in Burundi?
Nei Paesi africani in cui operiamo, la possibilità di curare le patologie dentali non è mai stata realmente disponibile. La formazione scolastica è stata a lungo condizionata da guerre, instabilità e mancanza di docenti qualificati. Durante la formazione universitaria ci siamo scontrati con diversità culturali alle quali non eravamo preparati: spesso manca la percezione del valore dell’evoluzione del sapere e della complessità delle conoscenze. Per questo dobbiamo iniziare i corsi parlando di Socrate e del suo costante “sapere di non sapere”.
La collaborazione con l’Istituto Stomatologico Toscano e la Fondazione Perrini & Castagnola e il contributo del Rotary Pisa San Rossore è stata fondamentale per colmare queste lacune. Insieme abbiamo organizzato il II Congrès de Médecine Dentaire, durante il quale 90 dentisti burundesi hanno potuto ascoltare relazioni di alto livello scientifico: il prof. Ugo Covani, la prof.ssa Anna Maria Genovesi, il dr. Terzo Fondi, il dr. Francesco De Simone e, dall’Italia in collegamento, il dr. Vitaliano Martin Paoletti.
Il congresso aveva un duplice obiettivo: rafforzare le competenze cliniche dei professionisti locali e promuovere un modello culturale basato sull’aggiornamento continuo come dovere etico.

 Qual era l’obiettivo principale della formazione rivolta agli operatori odontoiatrici locali?
Abbiamo dovuto iniziare con un approccio emergenziale. L’OMS raccomanda, nei Paesi a economia fragile, programmi triennali per Terapisti Dentali, figure professionali già presenti con successo in Canada, Australia, Nuova Zelanda e in molti Paesi africani. La formazione ha coperto tutte le branche dell’odontoiatria, con un’enfasi particolare sull’Odontoiatria di Comunità, sulla prevenzione e sulle indagini epidemiologiche.
Grazie a queste attività abbiamo pubblicato i risultati di una ricerca epidemiologica nazionale su una rivista internazionale, dati oggi riconosciuti dall’OMS. I terapisti dentali formati da SMOM hanno aperto servizi di salute orale negli ospedali regionali, punti di riferimento per oltre 500.000 abitanti, dove in precedenza l’odontoiatria era affidata a infermieri generici che, in caso di necessità, intervenivano con pochi mezzi rudimentali.

Quali condizioni sanitarie e sociali avete trovato in Burundi e quali sfide comportano per l’assistenza odontoiatrica?
Il Burundi è uno dei tre Paesi più poveri al mondo: circa la metà della popolazione è analfabeta e la mortalità infantile sfiora il 7%. L’elevato tasso di inflazione incide pesantemente sui determinanti sociali della salute, aggravando le difficoltà del sistema sanitario nazionale. La carenza di personale sanitario è drammatica: medici e dentisti continuano a emigrare in massa verso Paesi che offrono migliori prospettive professionali ed economiche. Un problema analogo riguarda la formazione: la mancanza di insegnanti qualificati sin dalle scuole primarie rende difficile la crescita educativa dei giovani. Di conseguenza, molti studenti universitari arrivano ai nostri corsi senza adeguate basi di studio, penalizzando anche i progetti di cooperazione che cercano di trasferire competenze tecniche complesse.
La prossima grande sfida è realizzare un progetto di odontoiatria sostenibile nella regione più povera del Burundi, dove i bambini possono ancora morire di Noma. In quest’area siamo già presenti nei tre ospedali distrettuali, che tuttavia rappresentano l’unico punto di accesso alle cure per le fasce più povere della popolazione. Il progetto prevede la formazione del personale sanitario dei dispensari, per portare assistenza nelle zone più remote e svantaggiate del Paese. Dopo aver formato e laureato 53 terapisti dentali e aperto 25 centri ospedalieri, il nostro obiettivo è ora operare direttamente nei territori, nelle scuole e nei dispensari, promuovendo prevenzione primaria e secondaria tramite attrezzature semplificate ma sostenibili.
Un punto particolarmente delicato riguarda l’intercettazione dei giovani pazienti affetti da Noma, una malattia oggi sconosciuta in Europa dalla chiusura dei campi di concentramento, ma ancora presente nelle aree più povere dell’Africa subsahariana. I bambini colpiti, se non curati tempestivamente, sono destinati alla morte. Nella provincia in cui interverremo ne abbiamo già trattati tre, ma – come evidenziato dall’OMS – non sappiamo quanti altri non riescano a raggiungere gli ospedali perché troppo poveri o troppo lontani dai servizi sanitari.

Quali prospettive future vede per il progetto e quale messaggio vuole dare ai giovani che desiderano impegnarsi nella cooperazione internazionale?
Oggi, per i giovani, è più difficile trovare motivazioni forti per impegnarsi nella riduzione delle diseguaglianze globali. La mia generazione, cresciuta nel dopoguerra, respirava un forte senso di responsabilità collettiva: era naturale credere nella necessità di costruire un mondo più giusto. Oggi l’orizzonte è più complesso e le sfide non sono diminuite. Ma proprio per questo il contributo dei giovani è fondamentale. La cooperazione internazionale non è un gesto caritatevole: è un investimento nella dignità umana, nella stabilità dei Paesi fragili e nella costruzione di società più eque. Il mio messaggio è semplice: non lasciate che la complessità del mondo vi scoraggi. Il cambiamento nasce sempre da piccoli gruppi di persone che decidono di agire con competenza, visione e umanità.

Per coloro che volessero contribuire a sostenere i progetti dello SMOM, è possibile donare il 5×1000 indicando il codice fiscale 97372180154.
Per  maggiori dettagli sul progetto SMOM clicca QUI.

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