La chirurgia orale, e in particolare la chirurgia dell’ottavo inferiore, costituisce alcuni dei momenti più complessi dell’attività odontoiatrica e, nonostante i più sofisticati e attenti accorgimenti clinici e profilattici, non è priva di rischi e complicanze. L’odontoiatra ha l’obbligo, per quanto possibile, di prevenire, gestire e/o saper fronteggiare eventuali complicanze ed errori.
Negli ultimi anni le tecniche chirurgiche si sono evolute, ma risultano stabili le percentuali degli esiti negativi indesiderati, esiti che rappresentano una delle più comuni cause di contenzioso tra odontoiatra e paziente. È possibile rilevare intenti speculativi da parte di alcuni pazienti e anche condotte censurabili da parte di alcuni colleghi, ma il problema è di fatto più complesso e di non facile risoluzione, soprattutto in un Paese come l’Italia, dove il livello medio di professionalità e competenza risulta piuttosto elevato. L’argomento di fatto è spinoso e, purtroppo, non di rado, al di là delle problematiche di oggettivazione e di quantificazione/qualificazione del danno, l’operato professionale risulta non difendibile a fronte all’impossibilità di documentare e provare diagnosi appropriate, indicazioni cliniche, adeguata gestione dell’intervento e dell’eventuale complicanza/errore, correttezza ed efficacia delle relazioni interpersonali nella relazione di cura, anche attraverso i messaggi e le informazioni trasmesse (consenso).
In buona sostanza, elementi che solo marginalmente possono apparire marginali, di fatto condizionano il rapporto con il paziente e la sua risposta a eventuali esiti diversi da quelli sperati. Molti elementi assumono rilevanza in caso di valutazione medico-legale, valutazione che ovviamente avviene a posteriori, e come tale spesso condizionata più degli esiti che da una serena e appropriata valutazione dell’iter diagnostico-terapeutico. Ne derivano l’opportunità e l’utilità di una corretta pianificazione degli interventi estrattivi a partire dalla fase diagnostica, dalle valutazioni delle effettive indicazioni all’intervento e, in caso di evento negativo, dalla capacità di gestione di esiti.
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Oggi si tende a valutare con maggior rigore le effettive indicazioni terapeutiche all’intervento estrattivo in termini di appropriatezza anche della tipologia di intervento eseguito, indipendentemente dalle modalità in cui l’odontoiatra ha operato. In buona sostanza, risulta importante poter stabilire se l’estrazione eseguita sia stata necessaria, utile, opportuna, indifferente, inutile o addirittura dannosa, in poche parole “appropriata”.
Diversi autori sostengono l’opportunità di prendere in considerazione in tutti i soggetti tra i 14 e i 25 anni la necessità di estrarre tali elementi, ma sicuramente un corretto bilanciamento tra dati oggettivi e soggettivi, evidenze radiologiche, possibili rischi e benefici, conduce a considerazioni più appropriate in tema di indicazioni all’intervento avulsivo (problematiche parodontali, ortodontiche, profilattiche, infettive/infiammatorie acute e croniche, carie ecc.).
Le controversie in materia di indicazioni terapeutiche sono piuttosto accese, ma risulta opportuno e utile per il professionista documentare e motivare secondo logica le diverse scelte comportamentali, escludendo scelte azzardate o inutili, ma anche, talora, dannosi comportamenti prudenziali, sulla base di un’approfondita conoscenza dell’anatomia, della fisiopatologia e anche del singolo paziente, della sua psicologia e delle sue necessità. Non è mai da sottovalutare il caso di incorrere in importanti complicanze anche con atteggiamenti non interventisti, laddove contrariamente si possano rilevare chiare indicazioni all’estrazione, sebbene complessa e ad alto rischio. Piuttosto che dover intervenire d’urgenza o rammaricarsi a posteriori per esiti, parimenti importanti, di una condotta omissiva (sempre censurabile e, qualora provata, giuridicamente perseguibile), valutare le indicazioni e le opportunità d’intervento può risultare clinicamente, deontologicamente, eticamente e legalmente corretto. Non è, al contrario, inopportuno delegare per competenza colleghi più esperti e capaci in caso di riconosciuti limiti o timori.
La letteratura internazionale fa spesso riferimento a percentuali relativamente elevate di estrazioni “inutili”, ma nell’ambito del contendere e di un’attenta valutazione medico-legale, rileva i singoli casi specifici anche in relazione al timing, alle condizioni fisiche e psicologiche del paziente e alle modalità di intervento. Non è poi da escludere la possibilità di indicazioni “relative” all’intervento avulsivo in relazione all’opportunità di escludere la possibilità di problemi o estrazioni in “urgenza” in momenti delicati o particolari (gravidanza, missioni militari ecc.) o a prevenire possibilità di fratture mandibolari (atleti, in particolare pugili, giocatori di hockey, rugby, motociclisti).
Un “cattivo risultato”, l’evidenza di una complicanza o di un errore, non costituiscono di per sé evidenza di condotta erronea, negligente e imperita. Né tale esito si pone necessariamente in rapporto di nesso causale con una condotta inidonea del professionista. Esiste la possibilità che si verifichino eventi che, benché possibili e prevedibili, risultino imprevenibili (complicanze, casi fortuiti) anche a fronte di diagnosi adeguate, di condotte chirurgiche ineccepibili, che tuttavia il professionista deve poter provare (rilevanza della documentazione) assieme alla condivisione della scelta terapeutica con il paziente adeguatamente informato (e non superficialmente rassicurato o impropriamente spaventato). La possibilità di complicanze tecnicamente incolpevoli sposta l’interesse sul consenso e su elementi solo apparentemente marginali, indipendenti anche dagli obblighi deontologici o normativi.
La condivisione di una scelta e la possibilità di complicanze non escludono il dovere di un’eventuale corretta gestione di queste ultime e un atteggiamento di “vigilanza” nel post-operatorio (obbligo accessorio, seppur dotato di propria individualità).
Atteggiamento di vigilanza, prudenziale e di collaborazione, che coinvolge lo stesso paziente e gli impone degli obblighi comportamentali. In materia di diritto al risarcimento non si esclude la possibilità che sia il paziente a non cooperare, a non seguire le prescrizioni terapeutiche e i consigli clinici o, addirittura, a interrompere il rapporto di cura.
Tali evenienze, adeguatamente documentate e provate hanno il potere di ridimensionare la portata di eventuali responsabilità del professionista e del diritto al risarcimento del danno, qualora oggettivato.
L'articolo è stato pubblicato sul numero 1 di Implant Tribune Italy 2014
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