Tra gli innumerevoli riconoscimenti attribuitigli durante la carriera, forse quello più prestigioso assegnato a Myron Nevins, professore di Parodontologia all’Università di Harvard, è di “mentore dei mentori, docente dei docenti”. Basta invero una rapida carrellata nell’interminabile lista dei meriti didattici e non, per realizzare quale sia il “peso” che l’illustre cattedratico ricopre nel vasto ambito della parodontolgia e dell’implantologia mondiale, non solo americana.
Per rimanere solamente in ambito accademico, Nevins non insegna “solo” ad Harvard come professore associato di Parodontologia, ma anche alla University of Pennsylvania School of Dentistry e alla Temple University Kornberg School of Dentistry, essendo al contempo direttore dell’Institute for Advanced Dental Studies ed editore dell’International Journal of Periodontics & Restorative Dentistry, nonché fondatore e presidente di Perio Imp Research e – ça va sans dire – titolare di un avviato studio a Swampscott, nel Massachusetts.
Se ci soffermassimo anche sulla lista delle onorificenze e degli incarichi di prestigio, rischieremmo di annoiare, essendo anch’essa piuttosto corposa. Basterà dire che Nevins, socio onorario di prestigiose associazioni di varia nazionalità, è stato past-president dell’American Academy of Periodontology, direttore e chairman dell’American Board of Periodontology, dove il suo contributo è stato premiato con la medaglia d’oro e con il “Master Clinician”.
Il breve accenno ai meriti di questo gigante della parodontologia e implantologia, che ama l’Italia e ci viene spesso, serve a spiegare il compiacimento nell’aver potuto intervistarlo, grazie a Daniele Cardaropoli, fondatore (nel 2009) e direttore scientifico della Proed di Torino, società di ricerca scientifica e di aggiornamento continuo in odontoiatria.
L’intervista, infatti, ha avuto luogo il 12 dicembre 2013 in occasione della “Proed Alumni Reunion”, la prima organizzata dal Proed Study Club, con Nevins ospite d’onore e relatore sulla “Stabilità nel lungo termine dei tessuti duri e molli parodontali e perimplantari”, argomento a lui molto caro, come rivelerà l’intervista stessa. Ospite d’onore e relatore, Nevins è stato anche al 1° International Meeting di Viareggio, dedicato a “Immediate post extraction implants: state of art”, svoltosi il 13-14 dicembre a cura dell’Istituto Stomatologico Toscano (si veda, a tal proposito, l’ampio servizio sul sito e sul numero di gennaio di Dental Tribune Edizione italiana).
La particolare attenzione data all’evento non è stata ispirata infatti solamente dalla presenza di questo e altri personaggi scientificamente e clinicamente autorevoli, come Nevins (e come Cardaropoli, anch’egli invitato come relatore), ma dal fatto che il Meeting abbia segnato l’esordio dell’Istituto, un unicum nel panorama odontoiatrico italiano.
L’intervista
Dopo aver accennato ad alcune domande ricorrenti che il paziente pone a fronte di un futuro trattamento implantologico (quale disagio dovrà affrontare, in quante sedute si articolerà, quanto durerà il trattamento, quanto verrà a costare ecc…), l’attenzione di Nevins si fissa su un argomento forte, giudicato di capitale importanza: la cosiddetta “longevità del risultato”.
Nevins si spiega meglio: «Quand’ero giovane, mi dava emozione, professionalmente, dover ipotizzare un piano di trattamento. Con il passare degli anni mi accorsi invece che in realtà eravamo carenti di informazioni ben organizzate sul lungo termine. Quando vado ai congressi sento infatti parlare, di solito, di follow-up varianti da 4 ai 12 mesi. Ma se io fossi un paziente la prima cosa che chiederei sarebbe: “Quale sarà il mio follow-up tra tot anni?”».
L’interrogativo è diventato per Nevins dominante al punto da fargli ridurre la pratica clinica, lasciando lo studio nelle mani di fidati collaboratori: «Stavo dando troppo tempo ed energie ai miei impegni. Di qui, la mia decisione di sottrarre loro del tempo al privato, per dedicarmi allo studio e alla ricerca».
Al Congresso di Viareggio, dove il professore ha parlato di impianti post-estrattivi nella pratica quotidiana, ha anche accennato a un follow-up “monstre” di oltre cinquant’anni: «Naturalmente, giovane com’ero, non fui io a iniziare quel trattamento. Trovai quel paziente già acquisito nello studio di Boston [la città dove si laureò nel 1967 e dove iniziò l’attività a fianco del professore del Dipartimento di Parodontologia, nda]. Un inizio veloce, rapido – ricorda –. Lavorare con gli accademici mi consentì di portare avanti più tardi anche la mia attività privata con criteri universitari. Tradotto nella pratica di tutti i giorni, significava radiografie tutte ben organizzate, anamnesi e record ben schedati, che consentivano di tenere d’occhio nel tempo i vari follow-up. Trattamenti che, diventando sempre “più vecchi”, consentivano di valutarne meglio il prosieguo».
Accennando alla relazione svolta a Viareggio, Nevins sottolinea che uno degli aspetti chiave da trattare è sempre la scelta di quale sia la miglior opzione per il paziente: se trattare uno o più denti di quella o altre arcate, tenendo sempre presente che «i pazienti tendono sempre a mantenere i loro denti». Molti sono gli impianti cui Nevins ha posto mano, avendo cominciato l’attività implantare sin da giovane.
Parlando del futuro, «il più grande interesse verrà dalla possibilità di risolvere il genoma umano – dice il professore –. Saremo allora in grado di capire esattamente le proprietà delle proteine che intervengono nella fase di guarigione». Grande oggetto di interesse, a questo proposito, è l’utilizzo sia dei fattori di crescita ricombinanti sia delle proteine morfogenetiche in terapia rigenerativa.
In chiusura di intervista, un pensiero deferente all’odontoiatria italiana: «Molti sono i professionisti di valore in questo paese. Alcuni hanno studiato con me in America e quindi li conosco bene. Non hanno nulla da invidiare a nessuno».
Guarda la video intervista.
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