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Impianti osteoinduttivi

Particolare Fig. 3c. La concavità quindi è come un bioreattore capace di iniziare l’induzione ossea senza l’aggiunta di proteine morfogenetiche. Le concavità sono state quindi assemblate nell’impianto di titanio rivestito poi di idrossipatite sintetica altamente cristallina. Da notare come il disegno geometrico con concavità ripetitive crei un bioreattore concavo, che selettivamente assorbe sangue nelle concavità (freccia magenta), mentre la superficie planare non assorbe (freccia azzurra/blu).
Ugo Ripamonti, Sud Africa

Ugo Ripamonti, Sud Africa

mer. 23 gennaio 2013

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Introduzione all’induzione ossea Questo articolo per la nuova rivista Implants, edita da Tu.e.or., nasce durante una bellissima mattinata negli ampi spazi del tavolato africano, nella Cradle of Humankind [la “Culla dell’umanità” è un’area classificata come patrimonio protetto dall’Unesco a partire dal 1999. Si trova a circa 50 chilometri a nord-ovest di Johannesburg, nella provincia sudafricana di Gauteng, NdR], quando rilessi l’articolo di Arthur Lander “Morphogens unbound: Reimagining the morphogen gradient”, pubblicato dalla rivista Cell (128:245-256).

Rileggendolo, ho immaginato le multiple e complesse interazioni tra cellule – differenziate e staminali – matrici extracellulari, recettori e morfogeni. Il desiderio di capire come i vari tessuti si formino, come si raggiunga la morfogenesi tissutale, è stato studiato da secoli e ha portato a scoperte meravigliose e importanti, ma ha anche causato grandi frustrazioni, almeno sino a quando furono scoperti i morfogeni, che sappiamo ora essere essenziali per l’induzione e la morfogenesi dei tessuti.
Come si attiva l’induzione e la morfogenesi tissutale? È stato postulato che esiste un gradiente morfogenetico differenziativo che procede per diffusione tra gli spazi extracellulari; d’altro canto, è stato anche presupposto che il gradiente morfogenetico differenziativo sia invece attivato consecutivamente dall’azione continua e ripetitiva da parte dei recettori cellulari innescati da un gradiente morfogenetico continuo. Quello che è importante, se non assolutamente vitale per l’induzione della morfogenesi, è che i morfogeni devono essere rilasciati, liberati, dalla matrice sia cellulare che extracellulare. Quando liberati, sono poi diffusibili nella matrice extracellulare e capaci di legarsi a recettori specifici extracellulari, e promuovere quindi la fosforilazione del recettore. Il recettore attivato induce perciò una serie di RNA messaggeri di proteine specifici, cui segue l’attivazione del nucleo, l’attivazione dell’acido ribonucleico (RNA) e quindi l’espressione e la secrezione di proteine induttive a cui corrisponde l’induzione della morfogenesi (Ripamonti 2006; 2009). Queste proteine vengono poi espresse e secrete nel compartimento extracellulare. Tutto questo però non sarebbe possibile senza i morfogeni, che vengono espressi e poi rilasciati come proteine attive e solubili dalla macchina biologica cellulare nel compartimento extracellulare.
Che il gradiente morfogenetico venga attivato consecutivamente da una serie di morfogeni espressi e secreti negli spazi extracellulari, o che i morfogenei secreti riescano ad indurre un’attività morfogenetica stabile, attiva e ripetitiva anche, e soprattutto, a distanza dall’applicazione o rilascio del morfogeno, soltanto “Morpheus unbound” il morfogeno rilasciato e attivato può iniziare la sequenza cellulare, biochimica e molecolare della formazione dei tessuti, l’induzione tissutale e l’induzione della morfogenesi (Lander 2007; Turing 1952).
Ma i tessuti, lo scheletro e le ossa, i denti, i tessuti parodontali, la dentina, il cemento, come si formano? Esiste un piano costruttore, regolatore, morfogenetico comune?
Per prima cosa, definiamo la morfogenesi come la genesi di forma con funzione, e definiamo la medicina rigenerativa e l’ingegneria tissutale come il connubio biologico e molecolare tra le conoscenze più straordinarie della biologia molecolare e della chirurgia biologica ricostruttiva, per costruire su basi molecolari e biologiche la rigenerazione dei tessuti in contesti clinici.
La rigenerazione e l’ingegneria tissutale dovrà essere dimostrata non solo in contesti pre-clinici in animali da esperimento, ma anche e soprattutto in contesti clinici (Ripamonti et al. 2012). La ricerca scientifica del secolo scorso ha identificato dati biologici fondamentali, anche nel campo della biologia orale e parodontale, così come dell’implantologia orale.
L’ingegneria tissutale ha avuto la capacità di creare e guidare nuove scoperte come nuovi paradigmi biologici in chirurgia ricostruttiva (Reddi 2000). Nonostante la biologia molecolare e la biologia chirurgica abbiano permesso di identificare una serie di nuove strategie ricostruttive, brillantemente testate in contesti pre-clinici in animali da laboratorio, tuttavia nessuna strategia rigenerativa dimostrata nella sperimentazione pre-clinica in animali da esperimento è oggi usata in modo routinario in contesti clinici (Williams 2006; Ripamonti et al. 2012). L’uso delle proteine morfogenetiche ossee o proteine osteogenetiche (bone morphogenetic proteins/osteogenic proteins, BMPs/OPs) hanno fallito la translazione dal contesto pre-clinico al contesto clinico (Ripamonti et al. 2012). Inoltre, anche i test su primati non umani potrebbero non translare la risposta biologica del morfogeno come riprodotta dalla risposta terapeutica a seguito dell’applicazione del morfogeno nel primate umano Homo sapiens (Ripamonti et al. 2012).

Il paradigma dell’ingegneria tissutale e dell’induzione ossea
Esiste un piano costruttore, morfogenetico e rigenerativo comune (Ripamonti 2011)? In un articolo precedente (“Il nuovo impianto Diamond LSS Ilic’ Ripamonti - La concavità: la forma della vita® ”. Implant Tribune, Anno V, n. 4 - Novembre 2011, pp. 28-32) furono elencate le regole biologiche e molecolari che controllano la rigenerazione dei tessuti e la morfogenesi post-natale (Ripamonti 2011). Lo sviluppo di organi, tessuti e strutture biologiche anche totalmente diverse nello sviluppo post-natale, è regolato e modulato da prodotti genici generanti forma e le proteine morfogenetiche, che sono capaci di indurre e generare la morfogenesi tissutale (Fig. 1) (Reddi 2000; Ripamonti 2006).
Nel suo lavoro del secolo scorso, Turing definì i morfogeni come “sostanze capaci di generare forma con funzione”, in altre parole, sostanze capaci di indurre morfogenesi (Turing 1952). La Natura ha voluto mettere in atto un piano regolatore e costruttore stupendo che si è sviluppato consequenzialmente durante i processi evolutivi biologici (Ripamonti 2006; Ripamonti 2009). Invece di generare nuovi prodotti genici capaci di preparare la nascita e lo sviluppo dei vertebrati, la Natura, parsimoniosa ma biologicamente perfetta, già costruì la nascita del vertebrati e quindi dello scheletro, più di 800 milioni di anni fa, avendo creato i morfogeni omologhi alle proteine morfogenetiche ossee (BMPs/OPs); infatti, decapentaplegic (dpp) e 60A, prodotti genici del moscerino della frutta Drosophila melanogaster, che non ha scheletro né ossa, inducono osso encondrale nel mammifero, in roditori con scheletro (Sampath et al. 1993). In questo magnifico esperimento, Kuber Sampath e collaboratori dimostrano come il piano costruttore del vertebrato e del mammifero fu già costruito quasi un miliardo di anni prima dell’emergenza del vertebrato con scheletro ed ossa (Sampath et al. 1993; Ripamonti 2006; 2009).
La presenza di proteine morfogenetiche, già inserite nel codice genetico del moscerino della frutta Drosophila melanogaster, fece sì che la potenza costruttiva e morfogenetica della Natura esplodesse, modificando in modo minore la sequenza degli aminoacidi inserita nel motivo carbossilico terminale (sequence motif) delle proteine, creando un pool di proteine morfogenetiche multiple e plurime, molecolarmente diverse e quindi differenti, ma omologhe nella struttura terminale degli aminoacidi (Ripamonti 2006; 2009). Questo creò un effetto ridondante di una serie di proteine omologhi, tutte capaci di indurre nuovo osso se impiantate in sedi eterotopiche non-scheletriche (Ripamonti 2006; 2009; 2011). Proteine molecolarmente diverse con capacità di indurre attività molecolari e morfogenetiche plurime e differenti, con effetti multipli definiti anche pleiotropici (Ripamonti 2006; 2009; 2011; Reddi 2010). Importante è notare che questi effetti plurimi o pleiotropici sono effetti biologici e molecolari fini, che controllano in modo specifico gli aspetti di tutti i tessuti. Infatti, a questo proposito, Reddi volle anche chiamare le BMPs non solo bone morphogenetic proteins (BMPs), ma anche body morphogenetic proteins (BMPs) (Reddi 2008).
Quando si estraggono BMPs/OPs da matrici ossee bovine o di babbuino, si ottengono due segnali: i segnali solubili – le proteine, tra cui naturalmente le BMPs/OPs estratte dalla matrice ossea demineralizzata – e il residuo essenzialmente collagenico e inattivo dopo l’estrazione proteica con soluzioni caotropiche (Sampath & Reddi 1981; Sampath 1983; Ripamonti & Reddi 1995; Ripamonti 2006). I due segnali, quando ricostituiti, dimostrano ancora attività induttiva ossea simile, se non superiore, alla matrice ossea demineralizzata intatta, mentre il segnale solubile e il segnale insolubile, se testati singolarmente, sono incapaci di indurre osso quando impiantati in sedi eterotopiche non-scheletriche (Sampath & Reddi 1981; 1983; Ripamonti & Reddi 1995; Ripamonti 2006).
La scoperta che l’estrazione dissociativa con soluzioni caotropiche, come l’urea o il guanidinio, abolisca l’attività induttiva della matrice ossea demineralizzata, e che l’induzione ossea possa essere ricostituita ricombinando il segnale solubile, le proteine, con il segnale insolubile, la matrice demineralizzata ed estratta, furono esperimenti che diedero il via all’ingegneria tissutale ossea (Reddi 1996; Sampath & Reddi 1981; 1983; Ripamonti & Reddi 1995; Ripamonti 2006; Reddi 2010). Questa ricombinazione di un segnale solubile attivo con un segnale insolubile inattivo costituì la nascita dell’ingegneria tissutale ossea e stabilì anche il paradigma molecolare e operativo dell’ingegneria tissutale, e non solo ossea (Sampath & Reddi 1981; Sampath 1983; Ripamonti & Reddi 1995; Ripamonti et al. 2004; Ripamonti 2006; 2009).
Risultati importanti, poi diventati classici della letteratura specifica, hanno dimostrato che l’induzione ossea è possibile solo se il segnale molecolare solubile è ricostituito con il segnale insolubile, una matrice capace di veicolare l’attività molecolare del morfogeno ricombinato con la matrice inattiva (Sampath & Reddi 1981; 1983; Kuori et al. 1991; Ripamonti & Reddi 1995; Wozney et al. 1998; Ripamonti et al. 2000; Reddi 2000; Ripamonti 2006). Innumerevoli lavori scientifici hanno studiato la biologia molecolare del segnale solubile induttivo, capace di indurre la morfogenesi e scolpire l’induzione di osso neoformato in sedi eterotopiche non scheletriche come il sottocute o in sedi intramuscolari. D’altro canto, è stato molto più difficile raggiungere traguardi importanti studiando il segnale insolubile, cioè il substrato capace di veicolare l’attività biologica delle proteine morfogenetiche osee (Ripamonti and Reddi 1995; Ripamonti et al. 2000; Reddi 2000; Ripamonti 2006; Ripamonti 2009).
Mentre la biologia molecolare dei segnali solubili ha fatto grandi progressi nella comprensione dei meccanismi delle attività cellulari, subcellulari e molecolari, minori risultati hanno caratterizzato la ricerca biologica delle matrici insolubili capaci di veicolare il segnale solubile induttivo (Reddi 2000; Ripamonti et al. 2004). Una domanda importante che è ora al centro della medicina rigenerativa del nostro secolo è la seguente: «È possibile che l’induzione ossea venga iniziata dalla matrice insolubile, senza che sia aggiunto un segnale molecolare solubile?». Parafrasando la domanda, «è possibile generare una matrice biomimetica che, inerentemente alla propria struttura per sé, riesca a generare e secernere prodotti genici morfogenetici capaci poi di indurre osso? Una matrice, o segnale insolubile, che possa generare osso unicamente in virtù della propria struttura, quando viene impiantata in sedi non scheletriche, dove non ci sono ossoterotopiche non scheletriche e senza l’aggiunta di BMPs/OPs?» (Ripamonti 2004; 2006; 2009).

Induzione ossea spontanea ed effetto della geometria
Il Bone Research Laboratory dell’Università di Witwatersrand, Johannesburg (Sud Africa) è stato il primo laboratorio al mondo a dimostrare come l’induzione ossea possa anche essere iniziata dal segnale insolubile (Fig. 2) (Ripamonti et al. 2009), e senza l’applicazione di un segnale molecolare solubile come le BMPs/OPs o, nei primati e nei primati soltanto, le proteine dei fattori di crescita trasformanti -β (transforming growth factor-βs, TGF-βs) (Ripamonti et al. 1997; 2000; 2008; Ripamonti & Roden 2010).
Il menù che enuncia le regole che scolpiscono l’architettura delle strutture ossee neoformate e mineralizzate comprende anche modificazioni strutturali geometriche di matrici biomimetiche, capaci di indurre osso in tessuti eterotopici non scheletrici, anche in assenza di proteine osteogeniche della superfamiglia dei fattori TGF-β (Ripamonti 2006; 2009; “The concavity: The ‘shape of life’ and the control of cell differentiation. Science in Africa, May 2012; Ripamonti et al. “The influence of geometry on bone: formation by autoinduction”. Science in Africa, May 2012, http://www.scienceinafrica.co.za/2012/ripamonti_bone.htm).
In una serie di articoli sistematici e sostanziali nel primate non umano Papio ursinus, abbiamo dimostrato come una serie di idrossiapatiti generate da idroconversione del corallo Goniopora in idrossiapatiti, quando inserite chirurgicamente nel muscolo retto addominale di Papio ursinus, e senza l’aggiunta di proteine morfogenetiche ossee, siano tuttavia capaci di generare la morfogenesi ossea negli spazi macroporosi (Fig. 2) (Ripamonti 1990; 1991; Ripamonti et al. 1993; van Eeden & Ripamonti 1994). Qual è il meccanismo molecolare e cellulare che inizia l’induzione ossea negli spazi macroporosi delle idrossiapatiti formate da idroconversione dei coralli Goniopora?
In questi studi sul primate non umano Papio ursinus abbiamo dimostrato come la geometria della matrice idrossiapatitica sia assolutamente critica per l’inizio dell’induzione ossea spontanea o, come da noi definita, “intrinseca” (Ripamonti 1990; 1991; 2006; 2009; Ripamonti et al. 1993: van Eeden & Ripamonti 1994). Uno studio importante nel ratto dimostrò come la geometria del segnale insolubile sia così importante da bloccare addirittura il segnale solubile morfogenetico legato alla matrice idrossiapatitica (Ripamonti et al. 1992). Vennero studiate e impiantate nel sottocute toracico del ratto due matrici geometriche diverse, ottenute dalla conversione idrotermica del corallo Goniopora. Le matrici erano in conformazione granulare macroporose o in blocchi a disco di 10 mm di diametro; i granuli, di dimensioni da 1.5 a 2.5 mm, e i blocchi a disco avevano la stessa struttura idrossiapatitica dopo la conversione idrotermica del corallo Goniopora (Ripamonti 1991; Ripamonti et al. 1992). Usando la proteina ricombinante umana BMP-4 radio-attivata (Ripamonti et al. 1992), fu anche dimostrato che l’adesione e l’attacco da parte della proteina ricombinante umana BMP-4 fu uguale nelle due matrici, anche se profondamente differenti a livello geometrico (Ripamonti et al. 1992). L’espianto dei tessuti impiantati nel sottocute del ratto dimostrò come le matrici a dischetto/blocchi di idrossiapatite, ricostituite con proteine morfogenetiche ossee altamente purificate da matrici ossee bovine (Luyten et al. 1989; Ripamonti et al. 1992), erano veicolatrici ottimali dell’attività biologica induttiva delle BMPs/OPs (Ripamonti et al. 1992); d’altro canto, e anche con una certa sorpresa, idrossiapatiti in forma granulare, non riuscirono a indurre osso nel sottocute dell’animale da esperimento, anche quando ricombinate con dosi identiche di BMPs/OPs altamente purificate da matrici ossee bovine (Ripamonti et al. 1992). Lo studio eterotopico nel ratto dimostrò chiaramente l’importanza critica della geometria nell’induzione eterotopica ossea da parte delle BMPs/OPs altamente purificate da matrici ossee bovine (Ripamonti et al. 1992).
Altri esperimenti, ma su primati non umani con identiche idrossiapatiti porose con geometrie differenti, furono effettuati inserendo le matrici macroporose nel muscolo retto addominale dove non c’è osso (Ripamonti 1991; Ripamonti et al 1993; van Eeden & Ripamonti 1994). Usando ancora le idrossiapatiti ottenute dalla conversione idrotermica del corallo Goniopora, studi sul primate non umano Papio ursinus avevano indicato come la forma degli spazi macroporosi fosse critica e importante per l’induzione ossea spontanea in matrici derivate dal corallo Goniopora (Ripamonti et al., 1993; van Eeden & Ripamonti 1994). In particolare, le sezioni preparate dai blocchi operatori di matrici a disco verso idrossiapatiti granulari dimostrarono l’effetto diretto della geometria, poiché in un blocco di idrossiapatite granulare l’osso si formò solo in una concavità della matrice idrossiapatitica (Fig. 3a) (van Eeden & Ripamonti 1994).
Da notare che in tutti gli altri preparati istologici di idrossipatiti granulari, l’osso non si formò, esattamente come fu dimostrato nello studio precedente per i roditori, dove la geometria del substrato aveva addirittura bloccato l’attività morfogenetica delle proteine BMPs/OPs (Ripamonti et al. 1992).
I risultati di van Eeden e Ripamonti (1994) furono essenziali per capire come l’effetto geometrico fosse una forza nuova, trainante i processi biologici induttivi e morfogenetici nel primate non umano. Non solo, lo studio formulò anche l’ipotesi biologica della concavità: la forma della vita, come il segnale morfogenetico e molecolare capace di indurre spontaneamente nuovo osso (van Eeden & Ripamonti 1994; Ripamonti 2006; 2009). Ancora, lo studio di van Eeden e Ripamonti (1994) dimostrò come l’impianto di biomateriali di idrossiapatite, o di altri biomateriali, fosse un test chirurgico e biologico per accertare o meno che un biomateriale fosse intrinsecamente capace di indurre o non indurre nuovo osso (van Eeden & Ripamonti 1994).
Per dimostrare l’induzione ossea geometrica, usando soltanto il segnale insolubile creato da matrici biomimetiche (The geometric induction of bone formation, Ripamonti et al. 1999), furono impiantati dei dischi di idrossiapatite altamente cristallina, con motivi geometrici inseriti, nel muscolo retto addominale di una serie di primati non umani Papio ursinus (Ripamonti et al. 1999; Ripamonti 2004). Le superfici planari di questi dischi contenevano una serie di concavità, come descritto da Ripamonti (Ripamonti et al. 1999) già pubblicato dall’ufficio brevetti degli Stati Uniti (Ripamonti U., Kirkbride A.N. Biomaterial and bone implant for bone repair and replacement. US Patent No PCT WO95/3200, 1995; Ripamonti U., Kirkbride A.N. Biomaterial and bone implant for bone repair and replacement. US Patent No. 6,302,913B, 2001). Sezioni istologiche preparate a 30 e 90 giorni dopo l’impianto nel muscolo retto addominale del Papio ursinus, dimostrarono la neoformazione ossea soltanto nelle concavità preparate nel substrato idrossiapatitico (Ripamonti et al. 1999; Ripamonti 2004).

Impianti capaci di generare osso: l’importanza della superficie geometrica che determina impianti dentali osteoinduttivi
Naturalmente, geometrie specifiche, come le concavità ripetitive inserite nelle strutture macroporose di idrossiapatiti biomimetiche, sono state utilizzate anche per preparare impianti solidi con una serie ripetitiva di concavità sulla superficie esterna, i.e. concavità preparate in impianti di titanio poi rivestiti da idrossiapatite sinterizzata altamente cristallina (Ripamonti U., Kirkbride A.N. Biomaterial and bone implant for bone repair and replacement. US Patent No. PCT WO95/3200, 1995; Ripamonti U., Kirkbride A.N. Biomaterial and bone implant for bone repair and replacement. US Patent No. 6,302,913B, 2001; Ripamonti et al. 2012).
Impianti dentali con superfici geometriche con serie ripetitiva di concavità sono stati impiantati nelle sedi edentule di primate non-umani Papio ursinus (Fig. 4c).
Impianti geometrici furono anche inseriti nelle tibie e nel muscolo retto addominale. Quest’ultima operazione è servita per testare la capacità induttiva intrinseca dell’impianto geometrico. Dopo 30 e 90 giorni, i pezzi operatori, gli impianti con i tessuti neoformati, sono stati prelevati e preparati per l’esame istologico, dopo aver preparato i blocchi operatori per sezioni non decalcificate preparate con lame diamantate (Exakt Apparatebau, Nordestedt, Hamburg, Germany) (Donath & Breuner 1982). L’esame istologico e istomorfometrico quantitativo hanno dimostrato come le superfici geometriche trattate con una serie ripetitiva di concavità, preparate sulla superficie dell’impianto geometrico, determinarono una più rapida e robusta osteointegrazione, se comparata alle superfici di titanio standard (Figg. 4, 5) (Ripamonti et al. 2012).
Più importanti, tuttavia, furono le sezioni istologiche di impianti geometrici inseriti nel muscolo retto addominale di Papio ursinus. L’esame istologico a 31 mesi dopo l’impianto nel muscolo retto addominale dimostrò come l’impianto era stato capace di generare nuovo osso all’interno delle concavità, quando impiantato nel muscolo retto addominale (Fig. 6). La concavità generò un bioreattore all’interno del muscolo retto addominale, capace di generare osso. L’induzione ossea fu ottenuta inducendo cellule staminali pericitiche e mioblastiche a differenziarsi in osteoblasti capaci di secernere proteine morfogenetiche ossee, capaci quindi di indurre nuovo osso nel bioreattore della concavità (Fig. 6) (Ripamonti et al. 2012; Ripamonti, Renton, Petit CRC Book, 2012 in stampa).
L’impianto osteoinduttivo, ora commercializzato col nome Diamond LSS ILIC’Ripamonti (Fig. 7), non solo permette una più rapida e robusta osteointegrazione, quando impiantato in mandibole edentule e nelle tibie del primate Papio ursinus, ma soprattutto è anche un impianto capace di generare nuovo osso, anche se inserito nel muscolo retto addominale. Il disegno geometrico, costruito sulla superficie del titanio, induce nuovo osso senza l’aggiunta di proteine morfogenetiche, ed inizia l’induzione ossea anche quando l’impianto Diamond LSS ILIC’Ripamonti è inserito nel muscolo retto addominale dove non c’è osso; in altre parole, l’impianto Diamond LSS ILIC’ Ripamonti è l’unico impianto osteoinduttivo capace di per sé di generare nuovo osso (Ripamonti et al. 2012; Ripamonti, Renton, Petit CRC Book, 2012).

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Ringraziamenti
L’autore ringrazia l’Università di Witwatersrand, Johannesburg e la National Research Foundation del Sud Africa per il continuo supporto economico per gli studi sulla geometria dei materiali porosi, così come sulla geometria costruita in impianti di titanio osteoinduttivi. L’autore è sempre stato affascinato dagli effetti della geometria del substrato insolubile e sull’induzione ossea con modificazioni molecolari altamente significative, controllate dalla struttura geometrica del substrato; gli studi globali dell’autore sono stati recentemente presentati sul giornale on line Science in Africa nell’edizione del maggio 2012. Ringrazio Barbara van den Heever per le innumerevoli sezioni istologiche e il Consiglio per la Ricerca Scientifica e Industriale (Council for Scientific and Industrial Research, CSIR, Pretoria) per la preparazione degli impianti di titanio rivestiti di idrossiapatite altamente cristallina. Ringrazio gli studenti e scienziati collaboratori da tutto il mondo che hanno permesso lo sviluppo dei nuovi concetti presentati in questo articolo. In particolare, ringrazio Hari A. Reddi, Barbara van den Heever, Laura Yates, Manolis Heliotis, Torsten Mohel, Carlo Ferretti, Wim Richter, Michael Thomas. Un ringraziamento particolare al dottor Carlo Brambilla, per l’amicizia e la generosità, che include anche un’eccezionale connessione Internet a mia disposizione nella sua “Residenza alla Stazione”, dove il testo è stato ultimato. Ringrazio l’amico Riccardo Ilic’ per tutto il supporto operativo per il lancio dell’impianto, e naturalmente Franco Azara della LSS per aver condiviso con me e Riccardo questo impianto che meravigliosamente è capace di indurre osso all’interno delle concavità che, come bioreattori, producono osso continuamente e senza l’aggiunta di proteine morfogenetiche ossee. La novità assoluta e mondiale di questa scoperta e invenzione è che il bioreattore della concavità fa sì che l’impianto di per sé faccia produrre al nostro paziente quelle stesse proteine che iniziano la formazione dell’osso. Ringrazio tutti questi anni di studio e di lavoro meravigliosi che mi hanno fatto capire l’importanza della concavità: la forma della vita®.

 

L'articolo è stato pubblicato sul numero 1 di Implants Italy 2013
 

 

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