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Seattle, Stati Uniti – Uno studio compiuto dall’Università di Washington afferma che i programmi di desensibilizzazione, comprese la ripetizione delle visite, potrebbero giovare a molti bambini affetti da “disturbo dello spettro autistico” (ASD) quando si sottopongono alle necessarie cure dentali. Si è valutata sia l’efficacia di un protocollo di desensibilizzazione dentale per tali pazienti sia di controlli che hanno dato buoni risultati.
Travis Nelson, professore associato nel Dipartimento di Odontoiatria pediatrica dell’Università ed autore principale della ricerca, spiega che i bimbi autistici hanno meno probabilità di ricevere cure odontoiatriche dei loro coetanei privi di tale disturbo, per via dei limiti imposti dal loro comportamento. Tuttavia se la cura odontoiatrica viene impartita ai “loro” ritmi, la maggior parte dei pazienti autistici – afferma la ricerca – è in grado di sedersi e di sottoporsi al controllo dello specchietto odontoiatrico.
Nel complesso, sono stati oggetto di indagine 168 bambini affetti da ASD, che avevano preso parte ad un programma di desensibilizzazione dentale in ambito universitario. Gli autori della ricerca hanno effettuato un’analisi retrospettiva dei loro dati clinici comportamentali e dei questionari pre-visita. Ne è emerso che oltre il 77 per cento dei bambini sottoposti al programma di desensibilizzazione era stato in grado di sottoporsi all’esame nell’ambito di una o due visite dentistiche e 88 per cento entro cinque.
La desensibilizzazione ha aiutato a compiere un esame di minima su bimbi seduti, per la maggior parte, sul riunito. Nell’esame compiuto su bambini affetti da disturbi più lievi, maggiore è risultata la probabilità di successo. «I protocolli che abbiamo utilizzato sono piuttosto semplici – dice Nelson – e potrebbero essere arricchiti ulteriormente per venire incontro alle necessità odontoiatriche dei bimbi autistici».
“Predicting successful dental examinations for children with autism spectrum disorder in the context of a dental desensitization program” (questo il titolo della ricerca) è stato pubblicata a luglio dal Journal of American Dental Association.
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