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Il 2 aprile scorso, nella storica cornice di Palazzo Verità-Poeta a Verona si è svolto il 1° Closed Meeting Restorative di Dentsply, evento di approfondimento scientifico in merito alle ultime tecnologie in ambito odontoiatrico e ai nuovi materiali Dentsply.
Tra gli eccellenti relatori abbiamo rivolto alcune domande al primo relatore italiano della mattinata,
il Professor Simone Grandini, dell’Università di Siena, opinion leader internazionale, autore di numerose pubblicazioni nazionali e internazionali, membro di Style Italiano, che ha svolto una lezione introduttiva dal titolo: “La saga delle II classi: evoluzione dei concetti e delle tecniche”.
Qual è il restauro più frequente e quanto vale negli studi in termini numerici e di fatturato?
Senza dubbio la II classe. Più di due terzi dei nostri pazienti ricevono restauri diretti, e il 50% di questi sono restauri di II classe. Tutto ciò ha un grande impatto anche in termini di fatturato, con i restauri diretti che ne rappresentano circa 1/3 per i nostri studi odontoiatrici.
Perché si dà poca importanza al restauro diretto?
Perché molti di noi ritengono che sia una cosa molto semplice e poco remunerativa (sbagliando, come abbiamo già detto prima), e spesso la conservativa è affidata a collaboratori di minore esperienza all’interno del team odontoiatrico.
Nella sua relazione ha detto che solo il 20% si basa sull’Evidence Based Dentistry. Quale conoscenza è importante per avere un risultato predicibile?
È fondamentale conoscere i materiali, le loro caratteristiche, i punti di forza e le criticità. Una tecnica operativa standardizzata e un protocollo clinico corretto ci aiuteranno a ottenere risultati “consistenti”, con una possibilità di errore molto bassa.
Quanto dura un composito e quanto dura un amalgama?
Uno studio del 2013, su restauri effettuati tra il 2000 ed il 2002 ha dimostrato una longevità superiore ai 10 anni sia per l’amalgama che per il composito. Chiaro che il tipo di materiale, l’operatore e la tecnica utilizzata influiscono notevolmente sul risultato.
Nelle seconde classi la possibilità di rifacimento è dieci volte superiore, ha dichiarato. In caso di fallimento perché normalmente si dà la colpa al materiale? Dove, invece, secondo lei dobbiamo ritrovare l’errore?
In realtà, la II classe in composito ha una possibilità dieci volte superiore rispetto all’amalgama di dover essere rifatta. L’errore spesso risiede in un’errata preparazione cavitaria e in una tecnica di stratificazione poco corretta. Il risultato di una II classe scorretta è quasi sempre evidente anche per il paziente, che si ritrova un punto di contatto non corretto e spesso impaccio alimentare, cosa che risulta essere particolarmente fastidiosa e invalidante per il paziente stesso.
Quali sono i goal della tecnica di stratificazione? Può illustrarci brevemente il suo protocollo?
Essendo continuamente in contatto con studenti e “masterizzandi”, vedo le loro difficoltà e mi rendo conto che la marea di tecniche proposte li può mettere in confusione. Indipendentemente dalla tecnica prescelta (ognuna ha pregi e difetti), ritengo che si debba applicare la filosofia del “feasible, teachable, repeatable” (principio fondante del nostro gruppo Style Italiano). Per prima cosa è necessario preparare la cavità evitando di danneggiare i denti contigui. Si deve poi applicare l’adesivo in maniera corretta, e trovo di giovamento l’idea di applicare un sottile strato di flowable al di sopra dello strato adesivo stesso, permettendo quanto meno di polimerizzare l’adesivo per un tempo maggiore. A questo punto si dovrebbe trasformare la seconda in prima classe: da anni utilizziamo la “centripetal technique” proposta da Bitchacho. Si deve poi ricostruire la porzione dentinale con compositi flow, bulk-fill o regular, e infine si esegue la stratificazione occlusale per ripristinare una morfologia il più possibile vicina a quella naturale.
Come creare un buon punto di contatto? Quali possibilità offrono le nuove matrici?
Le matrici sezionali hanno sicuramente cambiato il panorama delle seconde classi. Prima del loro avvento ci si affidava al cuneo per la creazione dello spazio per compensare quello della matrice. Grazie agli anelli separatori, adesso sono loro a creare distanziamento e i cunei servono essenzialmente a “chiudere” a livello cervicale per evitare debordamenti di materiale. La forma anatomica di queste matrici è un’altra loro peculiarità particolarmente interessante e vantaggiosa.
È stato il primo relatore al Closed Meeting Dentsply, con uno slogan: «Molte esigenze, una soluzione». Può indicare le sue considerazioni relativamente al composito Ceram.x® e all’adesivo Prime & Bond XP e al loro utilizzo universale?
Il nuovo composito presenta una tecnologia innovativa, ma le caratteristiche più intriganti per il clinico sono la grande maneggevolezza e la facilità di uso. Il nuovo adesivo “universale” garantisce invece ampia possibilità al clinico nello scegliere tra una tecnica total etch, self etch o selective etching con grandi vantaggi in termini di versatilità.
Oggi, dunque, ci sono grandi opportunità di semplificazione. Cosa insegnate ai vostri studenti e quali risultati può ottenere un giovane odontoiatra con poca esperienza?
Il termine “semplificazione” ha spesso una accezione negativa. Si possono fare cose molto buone con tecniche non necessariamente complicate. In inglese c’è una parola – simplexity – che sta a significare una possibile relazione tra complessità e semplicità. Ai miei studenti chiedo grande conoscenza dell’anatomia, base fondamentale per qualsiasi disciplina medica. Con applicazione e dedizione, e adottando i protocolli in maniera attenta, i risultati verranno di sicuro.
Lei ha avuto un grande maestro, i cui trattamenti in restaurativa avevano dei follow-up anche a 33 anni di distanza. Un commento conclusivo?
Mi ritengo molto, ma molto fortunato. Ho avuto il privilegio di vedere lavorare mio padre (e lo vedo tuttora – non riesco a farlo smettere!), che è un vero maestro e che tratta ogni paziente con attenzione e dedizione totale. Negli anni ’80 e ’90 mi ha fatto conoscere tutti i più grandi interpreti della conservativa italiana; alcuni di questi sono diventati a loro volta miei maestri e io non lo ringrazierò mai abbastanza per questo.
Voglio concludere con una delle sue raccomandazioni, che ancora ritengo molto preziosa: «Una tecnica non vale niente se non la puoi spiegare a un tuo studente del IV anno».
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