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Gli accessi alla facoltà di Medicina tendono ad aumentare, ma ancora troppi laureati in Italia vanno all’estero

mer. 18 giugno 2014

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Sono 6637 unità, ossia il 17% dei neolaureati in Medicina. Costituiscono il “piccolo esercito” di giovani medici che rimangono fuori dalle scuole di specializzazione e dal corso di formazione in Medicina generale, sospesi in una specie di limbo che preclude l’accesso al mondo del lavoro. La specializzazione, infatti, oppure l’attestato del corso in Medicina generale, è requisito necessario per accedere all’ottanta per cento dei posti di lavoro.

È uno dei dati allarmanti che emergono dagli studi e dalle proiezioni presentate in anteprima al Convegno “Formazione e accesso al lavoro: innovare per garantire il futuro della professione medica”, che si è tenuto a Bari il 13 e 14 giugno, con la partecipazione di 400 giovani medici provenienti da tutta Italia, di 35 delegazioni delle Federazioni europee dei medici, dei 106 presidenti che compongono il Consiglio nazionale della FNOMCeO, del Comitato centrale, di rappresentanti della politica e delle istituzioni, per un totale di 1400 invitati.

«Tutti concordiamo sul fatto che un corso di studi così lungo e impegnativo per le famiglie e lo Stato debba sfociare subito nell’ingresso al mondo del lavoro» – ha affermato il presidente della FNOMCeO Amedeo Bianco. «Oggi, invece, ci troviamo di fronte a un paradosso: da un lato abbiamo la spinta ad aumentare il numero di accessi al corso di laurea, dall’altro abbiamo i laureati italiani che prendono la strada dell’estero, oltre a un piccolo esercito di medici disoccupati o paraoccupati». Tutto questo implica anche forti perdite per lo Stato anche in termini economici: formare un laureato in Medicina costa infatti allo Stato circa 150 mila euro, per l’intero iter di 11 anni.

«Se un euro sprecato nella pubblica amministrazione è una cosa immorale, un euro sprecato in sanità può avere conseguenze devastanti e questo non lo possiamo permettere», dichiara il Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, che, non potendo essere presente a Bari, ha rilasciato, sull’argomento dei giovani medici a lei tanto caro, una lunga intervista: «La politica non deve più entrare nelle questioni tecniche, sanitarie e scientifiche» – dice il Ministro. «In Sanità ancor più che in altri ambiti è imprescindibile che vada avanti chi merita, perché ci sono di mezzo la salute e la vita delle persone. I cambiamenti in Sanità» – conclude – «assai spesso partono proprio dalla parte migliore e più innovativa della medicina, capace di intercettare i bisogni dei cittadini e di fornire risposte adeguate. Per questo io ripeto da sempre che non esiste sanità di domani senza professione medica».

«Un altro versante da affrontare è quello della programmazione» – ha spiegato Filippo Anelli, presidente dell’ordine dei medici di Bari. «Nei prossimi quindici anni, saranno 167.782 i medici che andranno in pensione, corrispondenti al 47% del totale. A causa dell’incremento di accessi degli ultimi anni, rimane un surplus di 6450 medici che non si collocheranno e che impongono pertanto di rivedere i criteri della programmazione».

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