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Farmaci equivalenti o eguali per la salute pari non sono…

Barbara Impagliazzo

Barbara Impagliazzo

ven. 13 aprile 2012

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Confermato l’obbligo per il medico di indicare il farmaco generico «se di minor prezzo» rispetto al medicinale griffato ovvero “Dal momento in cui è immesso in commercio un farmaco generico, il medico, salvo che non sussistano ragioni terapeutiche contrarie nel caso specifico, inserisce in ogni prescrizione medica anche le seguenti parole: 'o farmaco equivalente se di minor prezzo' ovvero specifica l’inesistenza del farmaco equivalente".

Farmaci generici (Art.11, comma 9 Legge 2012 “Decreto Monti”).

Ma la salute del paziente vi interessa ancora?
Ci risiamo. Lo si è scritto più volte sui giornali, in internet si trovano specifiche sull’argomento, i medici ne discutono ai congressi, la TV affronta il problema. Ma forse non hanno sentito. Torniamo dunque a parlarne, si spera stavolta con maggior fortuna.
Il decreto di cui sopra conferma l’obbligo del medico di acconsentire, tramite prescrizione su ricetta, alla sostituzione di un farmaco etico qualora esista l’equivalente, un termine che non è sinonimo di uguale. Eppure le campagne pubblicitarie su questi farmaci (nelle farmacie, in studi medici, nelle riviste specializzate) lasciano intendere una totale “uguaglianza” con il griffato (denominato e distribuito dall’azienda produttrice). Nei primi anni della loro commercializzazione la normativa li indicava come “generici” (denominati solo dalla molecola di varia produzione e distribuzione) ma insinuandone l’uguaglianza si è successivamente deciso di definirli con il termine “equivalente”, sorvolando sulla variazione della parola che descrive la verità sull’argomento.
Sarebbero sostituibili se non venisse variata la biodisponibilità (quantità di farmaco che entra nell’organismo dopo la somministrazione) del 20% in più o in meno, portando, in alcuni casi, il paziente a gravi complicanze, formando resistenze agli antibiotici, non rispettando le posologie (ogni 5 compresse di antipertensivo corrisponderebbero 4 ecc.).
Il medico di famiglia, che non può conoscere l’effettiva equivalenza, sia nel principio attivo che negli eccipienti e nemmeno l’esattezza delle indicazioni terapeutiche stabilite dalle industrie farmaceutiche, si trova ad assumere una responsabilità che viola il giuramento di Ippocrate e imposta da chi, per ignoranza, non è in grado di tutelare medici e pazienti.
È opportuno in questi casi evitare la parola “obbligo”, meglio forse “in piena coscienza”. Utile obbligare, piuttosto del medico generico, le aziende produttrici a immettere sul mercato sostanze “equivalenti” identiche agli etici (altra definizione di griffato) in ogni loro forma e a sottoporsi ai controlli di qualità (chi produce farmaci equivalenti può non subirne, soprattutto se prodotti all’estero).
Risparmiando sulla Sanità, profumatamente pagata con le tasse dei cittadini, viene richiesto comunque un ticket, un incremento se pur minimo sul costo del farmaco. E come se non bastasse s’indora la pillola (è il caso di dirlo) rilevando un risparmio per le famiglie, che non vengono neppure tutelate nel diritto alla salute.
 

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