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Domine, ut videam (Signore, fa che io veda). Perrini (Amici di Brugg) invoca una “vera” ricerca scientifica

Foto: Nicola Perrini
Nicola Perrini

Nicola Perrini

mer. 9 luglio 2014

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Rifacendosi all’Economist dell’ottobre 2013, Nicola Perrini, stimato Presidente degli Amici di Brugg e noto studioso, riflette sul fatto che molte scoperte «sono il risultato di esperimenti di scarsa qualità e di analisi mediocri. La probabilità che una ricerca scientifica sia falsa – osserva – è che molte difficilmente possono essere replicate da altri ricercatori, mentre la riproducibilità di un esperimento (cioè la mancanza di studi di conferma) è alla base del metodo scientifico moderno; la non replicabilità di certe ricerche è in realtà la conseguenza di una strategia di convenienza che mira a presentare come conclusivi degli studi basati solo su ricerche preliminari realizzate attraverso una valutazione statistica formale».

Sfortunatamente c’è la convinzione diffusa che gli articoli debbano essere interpretati nel modo più appropriato solo tramite valori statistici: in base a questi criteri, stando al modo in cui sono progettati e impostati gli studi, nella maggior parte dei casi i risultati tendono ad essere più falsi che veri. Il lavoro scientifico tende pertanto ad essere falso (scienza e falsificazione della scienza) quando gli studi sull’argomento sono pochi, pochi gli effetti dimostrati e quand’è testato solo un numero piccolo di campioni (la statistica invece è la scienza dei grandi numeri) e dietro allo studio c’è un forte interesse economico o di altro tipo.

Talvolta la progettazione dello studio, i dati, l’analisi e la presentazione sono perfetti ma ci può essere una manipolazione a livello dell’analisi e della presentazione dei risultati, quando il risultato della ricerca risulta negativo. Per esempio con l’inclusione o esclusione di certi elementi nel gruppo dei campioni in esame o nel gruppo di controllo oppure con la ricerca di differenze non specificate all’inizio. I risultati delle ricerche con esiti “negativi” sono rappresentati solo marginalmente sulle pubblicazioni delle riviste scientifiche: sapere che cosa è negativo, in ambito scientifico (e non solo) è importante quanto conoscere ciò che è positivo. Le riviste dovrebbero tornare a pubblicare con maggior costanza le ricerche che hanno fallito nel provare le teorie di partenza. La pubblicazione dei fallimenti potrebbe purtroppo significare che i ricercatori sprecano denaro e risorse degli sponsor per esplorare vicoli ciechi senza vantaggi economici.

L’apice delle ricerche false si raggiunge su quella che molti ricercatori definiscono “ricerca per antonomasia”. Cioè praticata, con tecniche raffinate, su gruppi di animali resi ammalati artificialmente o sottoposti ad interventi di diverso tipo, paragonati con gruppi di animali sani per acquisire dati da riversare sulla specie umana. In seguito a nuove conoscenze e a revisioni sistematiche più recenti e corrette, sono sorti invece molti dubbi sulla rilevanza del modello animale per la specie umana.

Sorvolando sulla validità o meno di questo tipo di ricerca, spessissime volte le immagini istopatologiche sono assenti o scarsamente indicative oppure interpretate in maniera superficiale e spesso fantasiosa. Per il ricercatore il reperto istopatologico obbiettivo deve essere espressione del senso di responsabilità delle proprie affermazioni. Il desiderio di chiarezza deve essere una dote connaturata in chi si dedica a trasmettere le proprie acquisizioni scientifiche e questo comporta una costante e serena apertura ai problemi della ricerca.

Il ricercatore non deve proporsi con meschini mezzi di promozione alla comunità scientifica e tanto meno con parole magiche (false) che gli aprano l’ingresso ad una casta, ma sentirsi partecipe di certe scelte, conquistate col duro lavoro di sperimentazione, lo studio e la riflessione. Scriveva Galileo Galilei nel “Saggiatore” che era sua “prima intenzione […] di promuovere quelle dubitazioni che ci è paruto che rendano incerte l’opinioni avute sin qui e di proporre alcune considerazioni di nuovo, acciò sia esaminato e considerato se vi sia cosa che possa in alcun modo arrecar qualche lume e agevolar la strada al ritrovamento del vero”. Tutte le branche mediche in genere rappresentano una dialettica tra le “sensate esperienze” e la “certe dimostrazioni” messe continuamente a confronto reciproco. Questo deve comportare una cultura fondata soprattutto sulla logica ma anche sulla disponibilità a mantenere suscettibili di critica gli ultimi risultati.

Fra tanta disinformazione,tanta povertà scientifica mediata dall’inquinamento commerciale, in un mondo condizionato dall’apparenza e non dalla sostanza, se i giovani fossero invitati ad esprimere le loro aspirazioni di fondo sulla corretta strada da seguire ,suggerirei loro di chiedere come il cieco di Gerico: “Domine, ut videam”, Signore, fa che io veda (Luca 18, 41).

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