Las Vegas ‒ Poche scoperte sono così cariche di promesse in singole applicazioni mediche come lasciano invece intravvedere le cellule staminali. La ricerca ha sviluppato ora un nuovo metodo per estrarre la polpa dalla radice dei denti che quadruplica il numero di cellule da coltivare e replicare per vari trattamenti.
Con una miracoloso capacità di trasformarsi ‒ ricreandosi o modificandosi in vari tipi di cellula presenti negli organismi da cui provengono ‒ le cellule staminali danno all’umanità la speranza di nuove e più efficaci terapie contro varie malattie croniche e terminali. Ed è anche facile reperirle.
«Le cellule staminali possono essere estratte da quasi tutti i tessuti viventi» dichiara James Mah, Direttore del Programma di Formazione avanzata in Ortodonzia dell’Università del Nevada (UNLV, Las Vegas), «In realtà si possono anche reperire nei tessuti dei defunti». Ma c’è un ma… «Le maggiore difficoltà posta dalle cellule staminali ‒ osserva ‒ è raccoglierne un numero sufficiente per lavorarci e tenerle vitali finché se ne ha bisogno».
Insieme a Karl Kingsley, Direttore della Ricerca studentesca alla UNLV e ad alcuni studenti di odontoiatria, Mah ha deciso di affrontare la sfida, sviluppando di conseguenza un nuovo metodo per estrarre da una fonte inaspettatamente abbondante come i terzi molari, un gran numero di cellule da conservare: «Sempre più adulti, più o meno 5 milioni in tutto il paese, subiscono l’estrazione dei denti del giudizio o terzi molari» osserva Kingsley. «L’estrazione è relativamente comune fra pazienti che si sottopongono a cure ortodontiche. Ma la maggior parte di questi denti è sana e contiene una polpa radicale vitale che offre opportunità per riprodurre cellule danneggiate o distrutte da traumi o malattie».
Avendo risolto il problema di rifornimento grazie alla polpa radicale, i ricercatori hanno cercato di determinare quante cellule staminali vitali si potessero recuperare dai denti fratturati. A questo fine Mah e Kingsley hanno colorato 31 campioni di radici di denti fratturati per evidenziare le cellule staminali contenute. Quelle morte sarebbero diventate blu quando esposte al colorante e le vitali invece sarebbero apparse di colore chiaro. Al microscopio l’80 percento delle cellule estratte sono rimaste tali dopo l’introduzione del colorante. Secondo Mah, il recupero medio con i comuni metodi estrattivi (come frantumazione e la trapanatura) si aggira sul 20 percento.
«Affermare che i risultati del test siano promettenti è una minimizzazione grossolana» dice «Ci siamo resi conto di aver inventato un tipo di estrazione tanto efficace da produrre un recupero quadruplo di cellule staminali vitali. A questo punto le applicazioni potenziali sono letteralmente enormi».
Successivamente il gruppo ha isolato le cellule staminali dal resto della polpa dentale. Dopo averle raccolte le hanno coltivate sulla “piastra di Petri”. Una volta che le cellule l’hanno coperta hanno diviso la coltura a metà e ripetuto il processo tra le dieci e le 20 volte. Le cellule normali all’interno del corpo di solito muoiono dopo dieci repliche o passaggi, mentre le staminali possono replicare infinitamente, secondo Kingsley.
Verso la fine della coltura, tutte le cellule non staminali erano morte. Kingsley ha raccolto le restanti staminali, preso il loro RNA (acido ribonucleico), convertendolo in proteine diventate biomarcatori che il team ha utilizzato per caratterizzare ciascun tipo di cellula staminale e il relativo tasso di riproduzione. Il successivo passaggio logico in questa ricerca sarebbe metterle alla prova sull’uomo in patologie croniche tipo Alzheimer e Parkinson.
Compito del team di ricerca sarà raccogliere e conservarle in maniera affidabile in modo da poterle utilizzare quando necessario. «Il lavoro che Kingsley e io stiamo facendo fa parte di una disegno più ampio ‒ dice Mah ‒ Il nostro procedimento di scissione potrebbe infatti accelerare sia la raccolta sia il trattamento criogenetico, conservando in tal modo un elevato numero di cellule staminali che possa incrementare la ricerca sul come il loro utilizzo sia in grado di curare e guarire malattie».
Nota editoriale: Questo studio è stato pubblicato in anteprima sull’edizione 2017 della rivista “UNLV Innovation”.
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